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QS Edizioni - venerdì 3 maggio 2024

Lettere al Direttore

Ministro, ci si sono ristretti i LEA chirurgici

di Claudio Maria Maffei
25 maggio -

Gentile Direttore,
in modo progressivo, ma rapido, si stanno in molte Regioni riducendo i LEA portando sempre  più alcune prestazioni in regime privato, con costi a carico del cittadino costretto a pagarsele o a rinunciarci. Si tratta sia delle prestazioni ambulatoriali (fenomeno ormai consolidato) che delle  prestazioni chirurgiche erogabili in regime diurno o comunque di bassa complessità, fenomeno in parte nuovo da guardare con grande preoccupazione. I fattori alla base di questa situazione in area chirurgica sono diversi e tutti intrecciati tra loro.

Il primo fattore è la riduzione della offerta pubblica. Purtroppo, abbiamo grossi ritardi nella produzione istituzionale di dati sulla produzione sanitaria (il Rapporto SDO 2020 deve ancora uscire e siamo a maggio 2022), ma segnali su quella riduzione in area chirurgica ne abbiamo tanti lo stesso. Ad esempio l’impatto della pandemia sulla attività chirurgica nelle strutture pubbliche è stato documentato e discusso su queste pagine dalla Società Italiana di Chirurgia nel gennaio di quest’anno. In una situazione in cui si sono accumulate liste di attesa anche per le patologie chirurgiche complesse la attività programmata sta privilegiando ovviamente queste ultime a scapito  di attività meno complesse ma ad elevato impatto sociale, come i trattamenti per la cataratta, la patologia flebologica e la ipertrofia prostatica benigna, solo per fare alcuni esempi.

Per rimanere nell’area pubblica, la ripresa della produzione programmata è ostacolata nel pubblico dalla carenza di risorse umane, specialisti ma non solo, su cui solo due giorni fa l’ANAAO ha mandato un ulteriore segnale. Su questa carenza influisce poi la “fuga” degli specialisti dagli ospedali pubblici verso le strutture private in cui la chirurgia programmata trova maggiore spazio e dove gli specialisti trovano spesso condizioni di maggiore efficienza e sempre (o quasi sempre) condizioni migliori in termini economici e di organizzazione del loro lavoro.

La dispersione della attività chirurgica in troppi ospedali pubblici si traduce poi in un impegno enorme almeno in termini di orario dedicato alla continuità assistenziale nelle 24 ore per far fronte alle (spesso rare) urgenze. Aggiungiamoci che spesso i grandi ospedali hanno fortemente ridotto le attività di bassa complessità in base al principio assai discutibile che gli ospedali complessi trattano solo patologie complesse.

Se ci spostiamo nell’area del privato accreditato e contrattualizzato non troviamo una compensazione adeguata alla riduzione della offerta pubblica di alcune tipologie di prestazioni chirurgiche per almeno due ordini di motivi. In primo luogo la produzione delle strutture private si confronta con dei budget che fissano tetti al valore economico della produzione sia verso la Regione di competenza che in mobilità attiva (o almeno così dovrebbe essere) e quindi a tetti invariati alla domanda che aumenta il privato non riesce a rispondere con prestazioni intra-budget e risponde in larga misura con prestazioni a carico del cittadino o della sua Assicurazione.

Un secondo motivo sta nel fatto che spesso alle Case di Cura Private si lascia mano libera nella selezione delle casistiche. E siccome a  volte la chirurgia di giorno o quella di bassa complessità ha tariffe poco premianti ecco che il gioco (si fa per dire) è fatto: queste prestazioni escono progressivamente dai LEA come sta avvenendo per molte prestazioni ambulatoriali. Per fortuna (si fa per dire) ci pensano le Assicurazioni. In rete per l’intervento di cataratta ne trovo subito 10 che la coprono. I budget le strutture private li usano per linee produttive più redditizie, come del resto ci si può aspettare  da loro.

A questa situazione c’è rimedio? Ci  deve essere, perché il numero di persone  che rinunciano alle cure è sempre più alto. A inizio di quest’anno è stato dato ampio spazio al Rapporto Cerved secondo cui in metà delle famiglie italiane qualcuno ha dovuto rinunciare alle cure nel 2021. In realtà se si va a leggere bene (anzi basta andare a leggere) il dato poi si ridimensiona perché la rinuncia è spesso stata dettata dalla paura del contagio e decisamente meno spesso per problemi di carattere economico. Rimane comunque la difficoltà di accesso ad un numero crescente di prestazioni che cominciano a riguardare anche quelle chirurgiche di minor complessità, ma non per questo tecnicamente semplici o di basso impatto sociale, tradizionalmente coperte dal sistema pubblico.

I rimedi sono diversi e potrebbero seguire tre direttrici:

  • monitorare il fenomeno, cosa che non sta avvenendo;
  • rendere la offerta pubblica maggiore e più efficiente, con investimenti in termini di risorse umane e una programmazione e gestione migliore della attività di area chirurgica;
  • governare la produzione delle strutture private contrattualizzate in modo da orientare la selezione delle loro casistiche  anche in funzione della domanda e non solo della convenienza.

La cosa da evitare è far finta di niente, perché questi problemi sono molto più che “niente” per i cittadini.

Claudio Maria Maffei

25 maggio 2022
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