6 luglio -
Gentile Direttore,ci troviamo davanti ad un pericolo rilevante per gestione clinica dei neonati e dei bambini che necessitino di supporto vitale in ambiente intensivo. Ancor più, tuttavia, ci troviamo davanti ad una filosofia che mostra tutti i suoi limiti quando si scontra con realtà particolari. La normativa europea n.745/2017 (cosiddetta EU Medical Device Regulation 745/2017 (EU MDR)) ha voluto rinforzare gli standard di valutazione clinica e sicurezza dei dispositivi medici ad alto rischio. Mentre questi scopi sono in linea di principio condivisibili, la loro applicazione alle problematiche pediatriche e neonatali sta portando molti più danni e rischi che benefici. Infatti, la necessità di approfonditi studi clinici per nuovi dispositivi o tecnologie mediche ha portato ad un aumento di costi e tempi molto spesso insostenibile per le aziende produttrici da un lato e per i ricercatori clinici dall’altro.
Le une non riescono a compensare i costi di tali studi con i ricavi eventuali di un mercato – quello pediatrico/neonatale – infinitamente più piccolo di quello dell’adulto ma soggetto agli stessi criteri. Gli altri, i clinici già oberati di lavoro, soprattutto se dipendenti di sistemi sanitari nazionali che in molti Paesi europei arrancano a sopravvivere, non hanno possibilità di dedicare tempo e risorse per tali studi. Come se non bastasse, in molti casi, non si tratta di tecnologie e dispositivi totalmente nuovi ma già in uso da quando la normativa non era così stringente. Si tratta dunque di strumenti ben noti a chi lavora nei centri di riferimento per sicurezza ed efficacia oltre che per la loro necessità. A questo si aggiunga la mastodontica proliferazione di passaggi burocratico-amministrativi anche per studi di tipo non – interventistico che dovrebbero essere invece estremamente facilitati.
Il combinato disposto di tutto questo é che si sta assistendo con rassegnazione alla mancanza di strumenti medici salva-vita in terapia intensiva neonatale/pediatrica. Tra essi in molti Paesi Europei troviamo:
- i cateteri per la settostomia di Rashkind (una procedura salva vita per neonati affetti da certune cardiopatie congenite);
- circuiti e filtri per emodialisi ed altre terapie extra-corporee salvavita usate in caso di insufficienza renale, respiratoria, cardiaca o multiorgano;
- palloncini per occlusione tracheale fetale (usati prima della nascita in neonati affetti da ernia diaframmatica congenita, una malformazione ad alta mortalità che richiede interventi sia prima che dopo il parto).
La lista potrebbe continuare ma né a livello europeo, né nazionale esiste un registro degli strumenti e tecnologie già perse o a rischio di essere perse. Sembra comunque esserci un’altissima probabilità di perdere molti strumenti che nel nostro lavoro erano semplicemente “dati per scontati”.
Si corre il rischio concreto di somigliare sempre di più agli USA ove molti di questi strumenti (per es: cateteri vascolari e ventilatori neonatali) mancano per un atteggiamento miope della FDA che non li autorizza in assenza di studi. Essi sono resi a volte disponibili solo attraverso una procedura di “uso umanitario” che bypassa la obbligatorietà di studi clinici dedicati basandosi sull’esperienza accumulata e sulle necessità cliniche. Ecco l’aspetto filosofico: si rischia di essere più “realisti del re”, salvo poi scaricare ogni responsabilità davanti a delle necessità e delle peculiarità assolutamente uniche, note solo a neonatologi e rianimatori. Sarebbe allora decisamente più logico valutare a priori con gli specialisti cosa è necessario e cosa si può migliorare. Non è un caso che oltre il 90% degli interventi terapeutici in terapia intensiva neonatale siano off-label: questo dovrebbe far suonare un allarme e ricordare che è estremamente importante che i clinici di tale nicchia vengano seguiti giacché solo loro conoscono le peculiarità del campo.
Poche settimane fa come Presidente della European Society of Pediatric and Neonatal Intensive Care (EPSNIC) insieme ad altre 21 società scientifiche pediatriche ho firmato un
appello alla Commissaria UE alla Salute e Sicurezza Alimentare Hon. Stella Kyriakides sottolineando che la normativa deve essere cambiata velocemente se non si vuole assistere a centinaia di morti e sequele ed a viaggi della speranza fuori dai confini dell’UE.
Non basta procrastinare la data per mettere in regola i vari dispositivi. Bisogna cambiare filosofia, adattare la normativa alle necessità del neonato/bambino a rischio di vita e considerare gli strumenti per questa popolazione come “orphan medical devices”. Si tratta di non essere “piu realisti del re” ma illuminati. La salute di pochi pazienti, con davanti decenni di vita, può anche rappresentare un mercato finanziario molto piccolo, ma ha certamente un grandissimo peso in un’ottica di medicina di valore.
Tuttavia, per la sua ampiezza limitata, solo gli specialisti possono fornire la valutazione adeguata su cosa è necessario e come migliorarlo: catalogarlo a tavolino non è possibile. Parimenti non è possibile il rischio zero e neppure condurre mille studi per approssimarlo, ma bisogna invece bilanciare il rischio dell’uso di un dispositivo medico contro… quello di non usarne alcuno. In molti casi, per i nostri piccoli pazienti, questo vuol dire un grande passo indietro nel tempo ed aumentarne la mortalità.
Prof. Daniele De LucaOrdinario di Neonatologia, Università Paris Saclay