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QS Edizioni - martedì 30 aprile 2024

Lettere al Direttore

Bisogna valorizzare la figura dello studente nel sistema sanitario

di Eleonora Franzini Tibaldeo
15 ottobre - Gentile Direttore,
Vorrei contribuire, come studentessa di medicina, alla questione sollevata dall’Anaao-Giovani sul caos formazione, e di rimbalzo, partecipare ai diversi punti evidenziati da Cavicchi su QS del 26 Settembre e aggiungere delle considerazioni che sono emerse leggendo l’articolo, sempre di Cavicchi, pubblicato su questo giornale il 14 Ottobre. Ovviamente non posso approfondire la questione lavorativa e sindacale in quanto studentessa, potrei invece argomentare e intervenire quale futuro lavoratore di un sistema sanitario ormai perdutamente perduto nel suo naufragare tra riforme mancate e rattoppi di scafi invecchiati, tra demansionamento o iper-responsabilizzazione (vedi articolo Anaao-Giovani 14 Ottobre), e contratti atipici; e ancora, evidenziare le criticità formative e ipotizzare quindi delle soluzioni, il tutto sempre dal punto di vista di un giovane laureando.

Come si evince dall’articolo dell’Anaao-Giovani (QS 14 Ottobre 2014) ci si auspica una Jobs-Act per conciliare formazione e lavoro: mi soffermerei su questo punto e aggiungerei che vi è la reale necessità di migliorare la didattica professionalizzante: la figura dello studente di medicina nel sistema sanitario, dovrebbe essere valorizzata fin da subito, non dopo anni ; inoltre non si capisce come mai in Italia l’interazione tra malato e studente, avvenga non prima del quarto anno ed è circoscritta e ancorata a modalità didattiche tradizionali che si limitano a mettere gli studenti in corsia; ci sarebbero ancora altri punti da discutere ma credo che questo sia principale, per il semplice fatto che avere uno studente motivato, in grado di essere autonomo e responsabile già alla fine dei sei anni formativi, sia un guadagno indiscutibile per il sistema sanitario nazionale. Avere un esubero di 12.000 studenti, che alla fine dei sei anni non sono pronti né ad affrontare la realtà complessa del malato, né a essere e sentirsi dottori, credo sia il più grande ed inimmaginabile spreco che la formazione universitaria abbia creato negli ultimi tempi.

Purtroppo la preparazione italiana è ancora troppo teorica e dogmatica, ed è tuttora ancorata ad una didattica frontale senza considerare e favorire lo sviluppo di modelli innovativi di pedagogia medica: problem solving, problem based learning e prove di verifica delle discipline cliniche basate sull’analisi di casi clinici concreti, cosa che già molti Stati Europei hanno adottato da tempo.

Perché rimarcare una tale criticità formativa? Perché lo studente è “regressivo” e dunque non adeguato per il semplice fatto che viene formato in tal maniera; questa situazione non è più trascurabile, e più volte è stata evidenziata, su questo giornale, proprio per la sua centralità (vedi Anaao-Giovani 14 Ottobre, Cavicchi 14 Ottobre, e nel libro “Il riformista che non c’è”): pertanto la preparazione dei giovani medici, eseguita in quest’ottica di medico tradizionale invariante, crea problemi che sono intrecciati e interconnessi con le diseconomie della medicina difensiva, e l’eccesso prescrittivo , ed è quindi spreco.

È ovvio pensare, pertanto, che contenere questo tipo di spreco, (lo spreco formativo), possa avere delle ripercussioni favorevoli sul deficit, credo inoltre, che avere strategie ed idee sia la carta vincente per uscire da questo stallo generalizzato che sta impattando negativamente sulla sanità. Quello che sta capitando oggi avrà delle ripercussioni che non si limiteranno a noi futuri medici ma saranno ripercussioni trans-generazioniali: noi oggi abbiamo enormi responsabilità: ogni riforma non adottata, ogni innovazione non approvata, ogni idea non pensata ricadrà su di noi e la nostra professione, sui nostri figli e sui nostri nipoti. Tutti noi pagheremo il conto salato dovuta a questa invarianza.

E non credo che spendere parole su “ipotesi sì o ipotesi no” di eliminare una selezione o adottarne un'altra (vedi proposta ventilata di adottare il modello francese di selezione, senza però considerare la diversità sociologica, antropologica e culturale dei francesi rispetto a noi) senza avere idee innovative, sia di vantaggio alcuno; è invece certo che permanere in questo status che escluda un cambio di paradigma, acceleri verso una catastrofe ormai annunciata.

Concludendo, le soluzioni ci sarebbero: Cavicchi ne “Il riformista che non c’è” suggerisce di riorganizzare la Tabella XVIII con altre epistemologie e altre pragmatiche, e suggerisce di riorganizzare l’insegnamento della clinica in modo cognizionale e relazionale, facendo in maniera che la formazione diventi clinical oriented; oppure riorganizzare la selezione valorizzando gli aspetti vocazionali oltre che cognizionale-relazionali, come hanno suggerito molti; e aggiungo per ultimo, valorizzare fin da subito la figura dello studente nel sistema sanitario, affinché possa sviluppare le abilità necessarie perché sia adeguato alla realtà del malato oltre che lavorativa.
 
Eleonora Franzini Tibaldeo
 
15 ottobre 2014
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