19 febbraio -
Gentile direttore,
a proposito di quanto avvenuto in Sicilia è più che comprensibile la reazione dell’opinione pubblica e del Ministro della Salute ma purtroppo d’incidenti in ambito sanitario ne avvengono di gravi tutti gli anni e possono colpire casualmente sia servizi sanitari virtuosi che meno. Vorrei evitare di ricordarli ma basta associare in qualsiasi motore di ricerca il termine malasanità a una regione per avere una interessante rassegna e se non dovesse venire fuori nulla mi preoccuperei riguardo alla trasparenza di quel servizio sanitario rispetto a quanto accade al suo interno.
È ovvio, anche se le strumentalizzazioni politiche sono scontate, che il livello di qualità e sicurezza di un servizio sanitario regionale non si misura su singoli eventi, seppur gravi e pubblicati dai giornali. Servono dati, misure, visite costanti nelle strutture sanitarie, per capire il livello di qualità delle cure. Ormai molti importanti ospedali sono classificati nel mondo in base a un “patient safety score”, una misura sintetica che indica il loro grado di sicurezza, è questo uno degli obbiettivi a cui Agenas, Ministero della Salute e Commissione salute devono arrivare.
La valutazione dell’assistenza sanitaria è complessa anche per gli stessi medici che quando devono decidere a chi mettere in mano la propria salute o quella dei loro familiari continuano a basarsi più sulle loro personali conoscenze piuttosto che su dati oggettivi di esito.
Dispiace che questo evento sia avvenuto in Sicilia, una regione che, con assessori di opposti schieramenti, Massimo Russo e Lucia Borsellino, ha svolto in questi ultimi anni un buon lavoro sulla gestione del rischio, costituendo prima la rete dei responsabili aziendali del rischio clinico e poi introducendo una pesatura dei DRG in base all’applicazione delle pratiche per la sicurezza delle cure, una novità importante e da emulare. Criticità evidentemente ancora esistono e quanto avvenuto a Catania lo testimonia, il rischio zero è una tendenza non un traguardo per una scienza “non esatta” come la medicina. Quello che si può ragionevolmente pensare rispetto a quanto avvenuto è che ci sono stati non solo errori di valutazione della gravità del caso ma anche “fallimenti latenti”, così come li definiscono gli specialisti di risk management: errori associati ad attività distanti (sia in termini di spazio che di tempo) dal luogo dell'incidente, come le attività manageriali, normative e organizzative. Le conseguenze dei fallimenti latenti possono restare silenti nel sistema anche per lungo tempo e diventare evidenti solo quando si combinano con altri fattori in grado di rompere le difese del sistema stesso.
Personalmente credo che per approfondire quanto accaduto non siano necessarie task force ispettive, che rischiano per la diversità dei ruoli e funzioni degli attori coinvolti di non giungere a conclusioni chiare ma team di esperti in risk management con finalità di auditing piuttosto che di ricerca di responsabilità, per questo c’è già la magistratura inquirente. E’ necessario trovare subito delle soluzioni di miglioramento senza attendere risultati di inchieste, talvolta con tempi troppo lunghi, per poter rimuovere in modo rapido le condizioni di pericolo.
Malgrado la crisi economica e quanto avvenuto a Catania, nel nostro Paese sono stati fatti importanti passi avanti sulla gestione del rischio clinico, tant’è che il recentissimo rapporto dell’OCSE sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia loda l’impegno del servizio sanitario nazionale per la sicurezza delle cure, evidenziando proprio il lavoro svolto da Agenas, Ministero e dalla Conferenza Stato-Regioni sulla disseminazione delle buone pratiche cliniche e assistenziali volte ad anticipare i rischi prevenibili. Eppure, l’OCSE rappresenta anche una serie di criticità di tipo sistemico, relative sia allo scarso coordinamento tra i servizi, che alla limitata collaborazione tra le regioni nell’accreditamento ed impiego dei dati disponibili sui risultati delle cure, sia per la comunicazione ai pazienti che per uno sviluppo organizzativo
evidence-based.
Una possibile risposta a queste critiche risiede nelle capacità dei professionisti e dell’organizzazione sanitaria di apprendere dagli eventi avversi, individuando nelle misure di esito uno strumento fondamentale per la valutazione ed il confronto tra servizi, da impiegare per valorizzare economicamente le prestazioni delle strutture sanitarie, premiando chi si impegna per ridurre i rischi e sanzionando chi produce eventi avversi prevenibili. Il controllo degli eventi avversi, oggi raccolti con gli studi retrospettivi ed il sistema di reporting, resta alla base del sistema di gestione del rischio ed è un dovere sia professionale che istituzionale.
Una seconda linea di lavoro riguarda l’affidabilità dei processi clinici, amministrativi e logistici, da intendersi come una responsabilità condivisa tra gli operatori di linea, che individuano i propri standard professionali e registrano i fatti salienti relativi alle proprie attività, delle strutture tecnico-scientifiche, che conducono analisi aggregate sui dati clinici ed economici della produzione, del management che agisce la propria leadership selezionando le priorità sulla base dei report di analisi.
Una terza linea di lavoro riguarda il consolidamento delle attività per l’anticipazione dei rischi: le pratiche per la sicurezza delle cure hanno bisogno di estendersi in tutti i ‘setting’ dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria, permeando i comportamenti degli operatori, delle persone assistite e dei ‘caregiver’. Le pratiche sono anche il possibile punto di partenza per un nuovo accreditamento condiviso e comprensibile, nonché un
passepartout per scardinare le cattive abitudini cliniche e amministrative, a patto che restino semplici e flessibili. È inoltre fondamentale costruire organizzazioni sanitarie resilienti capaci cioè di rispondere agli eventi inattesi senza lasciare gli operatori soli per poi colpevolizzarli nel caso in cui non riescano a colmare i buchi e le inefficienze create dal sistema.
È necessario e fondamentale che la sanità sia valutata in termini di miglioramento del valore della cura. La riforma della sanità di Obama in merito a questo punto ha posto importanti obiettivi al sistema Medicare, l’85% dei servizi sanitari pagati entro il 2016 in base alla qualità ed esito della cura e il 90% entro il 2018.
La sicurezza delle cure è un pilastro invisibile perché si nota solo quando manca, in occasione di incidenti gravi e malamente comunicati, eppure, come affermato da Atul Gawande, la sicurezza è la più importante innovazione nell’organizzazione sanitaria degli ultimi due decenni, in grado di salvare più vite di tutti i farmaci immessi sul mercato nello stesso periodo.
Riccardo Tartaglia
Coordinatore Comitato Tecnico delle Regioni e PA per la Sicurezza delle Cure
Centro GRC Regione Toscana