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QS Edizioni - venerdì 3 maggio 2024

Lettere al Direttore

Il comma 566 e gli aspetti giuridico legali. Non facciamo confusione

di Luca Benci
16 marzo - Gentile direttore,
rispondo alla “Lettera al direttore” pubblicata ieri dal titolo “Comma 566. Atto medico, atto sanitario e profilo di colpa” a firma congiunta del dott. Domenico Crea e della dottoressa Maria Ludovica Genna dell’Osservatorio sanità di Napoli, perché trovo le argomentazioni confuse e imprecise.
 
Crea e Genna partono dal presupposto di “verificare quanto già prevedano i nostri codici in materia di esercizio abusivo della professione medica”. I nostri codici (rectius il solo codice penale) non tratta l’esercizio abusivo della professione medica in particolare ma solo dell’esercizio abusivo di qualunque professione per la quale è necessaria una speciale abilitazione da parte dello Stato. Sono quindi tutelate tutte le professioni.
 
Crea e Genna non sottolineano un punto fondamentale della costruzione della norma penalistica sull’abusivismo: l’art. 348 del codice penale è infatti una “norma in bianco” destinata a essere riempita di contenuto dalla normativa di settore extra-penale e, quindi, anche dal “comma 566” della legge di Stabilità 2015 laddove, attraverso l’atto della Conferenza Stato Regioni, sposti il limite delle competenze delle professioni sanitarie.
Gli strali della legge penale si abbattono contro coloro che, da non abilitati, svolgono attività “tipiche ed esclusive” della professione tutelata. Se cambiano o si modificano le norme e viene intaccata l’esclusività non si può neanche invocare l’attività abusiva.
 
Quanto al consenso informato la confusione che operano Crea e Genna è massima. L’informazione al paziente e l’ottenimento del consenso è presupposto di ogni atto sanitario e assistenziale e non il presupposto del solo “atto medico”.  Lo stesso comma 2 dell’art. 32 della Costituzione è chiarissimo: “Nessuno può essere sottoposto a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Questo articolo è alla base del c.d. consenso informato. Ogni attività sanitaria necessità di informazione e consenso (che può essere acquisito sia in modo verbale che scritto).
Sarebbe ben curioso che il medico nel suo agire professionale necessitasse del consenso del paziente mentre l’infermiere o l’ostetrica no.
 
Anche sulla ipotesi di intervento senza consenso Crea e Genna confondono i piani. E’ noto, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, che di per sé un atto sanitario senza consenso determina un illecito indipendentemente dai danni. Si domandano gli autori: “Pertanto in occasione di specifiche manovre o atti sanitari tipicamente medici, ma affidati - secondo l’ipotesi del comma 566 - concretamente anche agli infermieri, cosa accadrà nel caso eventuale di postumi ed esiti invalidanti?”.
 
Se le specifiche manovre o atti sanitari “tipicamente medici” vengono “affidati”, per usare il loro linguaggio, dal comma 566 “anche agli infermieri” vuol dire che una legge ordinaria dello Stato, quale la legge di Stabilità, stabilisce che quell’attività non è più esclusivamente medica.
Sul comma 566 si è sviluppato un dibattito acceso. I dati giuridici di realtà, però, non possono essere affrontati con questa superficialità.
 
Luca Benci
Giurista
16 marzo 2015
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