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QS Edizioni - domenica 5 maggio 2024

Lettere al Direttore

La sentenza della Corte Ue sull’orario di lavoro “allargato” riguarda anche i medici fiscali Inps

di Associazione nazionale medici di medicina fiscale
14 settembre - Gentile direttore,
pochi giorni fa è stata ripresa sulle testate specialistiche una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che riguarda alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro e che, a nostro parere, potrebbe riguardare i medici fiscali INPS. Secondo la sentenza del 10 settembre 2015 (causa C‑266/14, riferimento all’articolo 2, punto 1, della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003) per i lavoratori che non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale costituisce «orario di lavoro» il tempo di spostamento che questi impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro.
 
Esplicita al meglio il provvedimento l’articolo “Orario di lavoro allargato”, di cui è autore Daniele Cirioli, pubblicato il giorno dopo su “Italia Oggi”. Egli infatti scrive: “per il dipendente che non lavora in azienda, ma presso i clienti di volta in volta indicati dal datore di lavoro, la giornata lavorativa inizia quando sale in macchina. Infatti, il tempo speso per gli spostamenti quotidiani tra il suo domicilio e i luoghi dei clienti fino a quello di rientro a casa va conteggiato come orario di lavoro”.
 
La sentenza seguiva ad un ricorso di un’azienda spagnola d’installazione e manutenzione impianti sicurezza, nella quale “alcuni dipendenti tecnici non hanno un luogo di lavoro fisso, ma si recano di volta in volta presso i clienti indicati dal datore di lavoro in virtù della propria zona territoriale di competenza”. Nel caso in questione i lavoratori però dispongono di un veicolo di servizio per spostarsi quotidianamente dal proprio domicilio verso i clienti, a differenza dei medici fiscali INPS, che adoperano il mezzo personale con cui percorrere anche lunghe distanze. Il caso spagnolo è stato sollevato perché l’azienda non conteggiava come orario di lavoro tutto il tempo speso per i vari spostamenti e soprattutto “il tempo necessario per recarsi dal proprio «domicilio» al «primo cliente» e quello di ritorno «dall’ultimo cliente» al proprio «domicilio» è considerato (non orario di lavoro) periodo di riposo”.
 
La Corte europea ha accettato il contenzioso mosso dalla Corte nazionale spagnola, per cui “costituisce orario di lavoro il tempo di spostamento che è impiegato dai lavoratori per tutti gli spostamenti quotidiani tra il proprio domicilio e i luoghi in cui si trovano i clienti indicati dal loro datore di lavoro, compreso il primo e l’ultimo cliente”. Cirioli, nello stesso articolo, chiarisce “Ciò in quanto, spiega la Corte, i lavoratori stanno esercitando le loro attività durante l’intera durata degli spostamenti. Infatti, questi ultimi costituiscono lo strumento necessario per l’esecuzione delle loro prestazioni tecniche nel luogo in cui si trovano i clienti”.
 
Fin troppo evidente il parallelismo con quanto accade per i medici fiscali INPS, che parimenti non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale. Ecco allora che l’associazione di categoria dei professionisti (ANMEFI) si è mossa perché si debba pretendere una applicazione analoga, in vista di una contrattazione che si spera imminente. Per i medici fiscali, dunque, il tempo occorso per le visite assegnate non può essere ridotto ai luoghi di intervento fisico presso i pazienti.
 
Collegandosi al notebook fornito dall’Istituto ogni giorno, alle 9.30 e alle 14.30, per leggere e scaricare le visite assegnate per fascia dall’INPS, il professionista deve subito muoverci dalla propria abitazione per raggiungere il luogo della prima visita domiciliare. Di fatto egli resta a  disposizione del datore di lavoro durante il tempo di spostamento, quindi sottoposto alle sue direttive, senza la possibilità di decidere liberamente e di potersi dedicare agli interessi personali.
 
La sentenza deve essere tenuta in grande considerazione, così che le attuali fasce, al momento limitate a due ore ognuna, potranno comprendere un tempo da definire dalla prima e dopo l’ultima visita effettuata. In verità tale possibile applicazione era già stata considerata al momento della stesura della bozza di contratto redatta per conto dell’associazione, riservandosi di farla applicare in sede di contrattazione.
 
Se le fasce dovessero essere ampliate con l’applicazione del cosiddetto polo unico della medicina fiscale di recente approvato e con l’unificazione degli orari di reperibilità di tutti i lavoratori, l’ulteriore tempo per fascia contribuirebbe senz’altro al raggiungimento del monte ore settimanale, evitando la giornata lavorativa del sabato, che al momento appare indispensabile. Si eviterebbero in questo modo alchemiche proposte che - come ripetutamente ribadito dall’organizzazione – non forniscono alcuna garanzia per i medici fiscali, anzi mettono a rischio conquiste faticosamente ottenute in questi anni.
 
Si spera che anche questo aspetto dell’orario allargato possa essere condiviso con le altre sigle che si dichiarano a tutela della categoria, evitando di incappare in anomali e dubbi contenitori, per fortuna ipotizzati solo da qualcuno.        
 
Associazione nazionale medici di medicina fiscale (Anmefi)
14 settembre 2015
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