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QS Edizioni - domenica 28 aprile 2024

Lettere al Direttore

Dottori, “occhio” alle infezioni

di Maria Chiara Dell’Amico
13 ottobre - Gentile direttore,
le infezioni ospedaliere sono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria. Si definiscono così infatti le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Sono l’effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall’altra consentono l’ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili (come l'interno dell'occhio, per fare un esempio).
 
Le infezioni postoperatorie in chirurgia oftalmica
L'endoftalmite è una grave complicazione dell'intervento di cataratta (ma anche di interventi considerati mini-invasivi, come il cerchiaggio della retina) che tutti i chirurghi, e i pazienti, si sforzano di evitare. La perdita della vista e la debilitazione che si verificano in un'ampia percentuale di casi di endoftalmite postoperatoria, possono essere gravi e irreversibili. I pazienti più bisognosi dell'intervento sono spesso anche quelli a maggiore rischio (per es. gli anziani). Pur senza sapere esattamente come, quando o perché intervenire con misure profilattiche efficaci, molti chirurgi preventivamente seguono uno standard di cura a base di antisepsi e antibiotici. Ma questa pratica profilattica è stata via via abbandonata, principalmente per due motivi: 1) la mini-invasività di parecchi interventi ormai divenuti di routine rende poco probabile la contaminazione in un ambiente opportunamente reso sterile (la sala operatoria); 2) la tendenza, da parte di alcune aziende sanitarie, ad una maggiore appropriatezza verso l'uso degli antibiotici trova consenso sia a favore della salute dell'utente (i. e. antibioticoresistenza) che a favore della riduzione delle spese per l'azienda (i. e. spending review) (anche se, in caso delle infezioni ospedaliere, le spese poi aumentano in maniera considerevole).
 
Nonostante la chirurgia della cataratta sia una delle procedure più eseguite al mondo, finora non è stato possibile generare dei dati definitivi in merito alle misure profilattiche più efficaci. Infatti per condurre degli studi clinici, sarebbe necessario un grande numero di pazienti. La prevenzione e l'eliminazione dell'endoftalmite postoperatoria, tuttavia, sono due obiettivi costanti di ogni chirurgo oftalmico. La pratica clinica della somministrazione intracamerale diretta con iniezione di cefuroxima (un antibiotico la cui attività prevalente è rivolta contro i batteri Gram negativi ma agisce anche su alcuni Gram positivi), alla fine dell'intervento di cataratta, allo scopo di ridurre i tassi d'incidenza dell'endoftalmite, fu adottata per la prima volta da un gruppo di chirurghi svedesi.
Il beneficio clinico di questa misura fu subito palese. Per verificare scientificamente queste ipotesi, la European Society of Cataract and Refractive Surgeons ha messo a punto un vasto studio clinico randomizzato per valutare l'iniezione intracamerale da un punto di vista prospettico e randomizzato in nove Paesi europei. I risultati sono stati pubblicati nel 2007, dimostrando inequivocabilmente i benefici clinici. Infatti, l'incidenza dell'endoftalmite postoperatoria ha evidenziato una riduzione pari a 5 volte nei pazienti che avevano ricevuto un'iniezione intracamerale con 1 mg di cefuroxima alla fine dell'intervento di cataratta.

Sulla scia di questi risultati, un numero crescente di centri ha adottato questo metodo profilattico, con effetti occasionalmente ancor più sorprendenti rispetto a quelli dello stesso studio ESCRS. Allo stesso tempo, sono stati indagati i principi scientifici alla base dell'eradicazione microbica negli atipici spazi oculari.
 
Definizione
L'endoftalmite postoperatoria è un'infiammazione interna dell'occhio, verosimilmente dovuta ad un processo infiammatorio causato da batteri, funghi o, in rare occasioni, parassiti che penetrano nell'occhio durante la fase perioperatoria. L'infezione batterica ha origine dalla contaminazione della ferita e dell'occhio interno in ambiente perioperatorio. Pertanto, in sede pre-, peri- e post-operatoria, sarebbe sempre consigliabile ricorrere ad una profilassi antibiotica. Sono assai rare le contaminazioni postoperatorie negli interventi di cerchiaggio (intervento gold-standard in caso di distacco parziale o completo della retina), ma possono comunque avvenire e causare endoftalmiti. In questo caso, le linee guida di tutto il mondo consigliano di ricorrere ad un intervento più invasivo e come tale sovente risolutivo contro l'infezione: la vitrectomia, in occasione della quale si compie non solo un'accurata pulizia dell'interno dell'occhio, ma si raccolgono pure i sedimenti prodotti dall'agente infettante. Non sempre, però, risultano utili i referti microbiologici successivi alla raccolta del campione infetto, data l'alta probabilità di co-contaminare con altri patogeni il tampone e/o la fiasca preparati per l'individuazione del patogeno. Così il paziente, dopo questo secondo intervento di eradicazione dell'infezione, dovrà essere coperto con una terapia sistemica a largo spettro, prima in vena, poi per os, costituita da un pool di farmaci rivolti contro i principali agenti patogeni, quali batteri, parassiti e funghi.

Fisiopatologia
La gravità e il decorso clinico dell'endoftalmite postoperatoria sono correlati alla virulenza e all'inoculo dei batteri infettivi, così come al momento della diagnosi e allo stato immunologico del paziente.  Il processo infettivo passa attraverso una fase iniziale di incubazione (che può non avere alcun segno clinico), della durata di almeno 16-18 ore. In questo periodo di tempo, una carica critica di batteri inizia a proliferare superando la barriera emato-acquosa. Tutto questo è seguito dalla comparsa di un essudato fibrinoso e da un'infiltrazione cellulare da parte di granulociti neutrofili. La fase d'incubazione varia in base al tempo di generazione del microbo infettivo (per es.: da 10 minuti per S. aureus e Ps. aeruginosa ad oltre 5 ore per  Propionibacterium spp.) e ad altri fattori, come la produzione di tossine batteriche. Con i comuni microrganismi, come S. epidermidis (stafilococchi coagulasi-negativi, CNS), possono  passare anche 3 giorni prima che l'infiltrazione raggiunga il suo picco. In seguito l'infezione va incontro ad una fase di accelerazione e, infine, ad una fase distruttiva. La fase di accelerazione segue l'infezione primaria del segmento posteriore e conduce all'infiammazione della camera anteriore, con una risposta immunitaria da parte di macrofagi e linfociti che iniziano ad infiltrarsi nella cavità vitrea entro un periodo di circa 7 giorni. Entro i 3 giorni successivi all'infezione intraoculare è possibile rilevare gli anticorpi specifici dei patogeni. Questi anticorpi possono condurre all'eliminazione dei microbi mediante l'opsonizzazione e la fagocitosi in circa 10 giorni. Di conseguenza, gli esami di laboratorio possono avere esito negativo anche in presenza di una forte infiammazione all'interno dell'occhio. I mediatori infiammatori, specialmente le citochine, richiamano altri leucociti, che accrescono gli effetti distruttivi, le lesioni retiniche e la proliferazione vitro-retinica.

Comuni cause di infezione
L'eziologia dei microrganismi che infettano l'occhio, durante l'intervento di cataratta e altri interventi minori, comprende quanto segue:
- la flora della superficie oculare propria del paziente (Speaker 1991, Bannerman 1997). La maggior parte dei patogeni, durante e addirittura dopo l'intervento chirurgico, può essere attribuita alla flora oculare del paziente stesso. Anche l'autosomministrazione di un collirio antibiotico topico nel primo periodo postoperatorio e le abitudini personali del paziente, hanno la loro importanza in questo periodo critico legato alla cicatrizzazione;
- infezione dovuta a strumenti chirurgici, tubi o ambiente chirurgico contaminati. In questi casi, gli occasionali focolai d'infezione possono suggerire un'epidemia locale (Pathengay 2012). Risulta chiaramente critica la sterilità della sala operatoria, della ventilazione e degli strumenti.
- le complicazioni chirurgiche sono un fattore di rischio noto per l'endoftalmite; infatti i tassi più elevati di questa malattia sono direttamente correlati alle complicazioni. Sebbene l’interno dell’occhio sia protetto, entro certi limiti, da barriere oculari che gli conferiscono un “privilegio immunitario”, un imprevisto (come un difetto capsulare intraoperatorio con perdita di vitreo), può fare aumentare il rischio di endoftalmite anche di dieci volte.
- il ritardo nella cicatrizzazione della ferita aumenta il rischio di infezione. In ambito postoperatorio può verificarsi un afflusso di liquido lacrimale superficiale che può causare la penetrazione della flora superficiale all'interno dell'occhio.
- vale la pena ricordare che i pazienti atopici e quelli con rosacea presentano una flora batterica congiuntivale e palpebrale alterata con una maggiore preponderanza di Staphylococcus aureus. Inoltre, i pazienti con rosacea presentano un'immunità sistemica cellulo-mediata potenziata nei confronti di S. aureus, che può contribuire alla blefarite e alla cheratite osservate (Miño de Kaspar 2003, Seal 1995). Questi pazienti dovrebbero essere sottoposti ad un trattamento antibiotico appropriato per la blefarite prima dell'intervento di cataratta.

Occorre infine ricordarsi che, nel caso di secondo intervento per riparare all'infezione (i.e. vitrectomia), gli esami microbiologici di laboratorio, eseguiti per identificare l'agente infettante, possono dare esito non specifico; infatti può venir evidenziata una seconda contaminazione da paziente o da operatore verificatasi al momento della raccolta del campione; l'agente isolato, probabilmente presente in quantità maggiore rispetto al “vero” eziologico, non è ovviamente il microrganismo verso cui mirare la cura. Occorre pertanto “riunirsi ad un tavolo con più esperti possibili” per abbattere ogni possibilità di recidiva, agendo su più fronti con la terapia sistemica ed eseguendo un serrato monitoraggio clinico (controllo quotidiano del fondo dell'occhio).
 
Che cosa fare come sistema da subito
- costituire ed istituire una “Task Force” in tutte le aziende sanitarie, dedicata esclusivamente alle infezioni ospedaliere, formata da professionisti ognuno dei quali competente per il proprio settore (dalla clinica alla farmacologia, dalla diagnostica alla microbiologia, dalla immunologia alla genetica, dall'assistenza del paziente in ospedale al supporto dello stesso una volta dimesso, etc), e pronta a:
1. rispondere agli eventi negativi in termini di emergenza-urgenza;
2. approcciarsi in termini di medicina personalizzata ad ogni singolo caso, compilando in maniera dettagliata la cartella clinica di ogni singolo paziente, imbattutosi nell'evento raro sia per motivi statistici che per eventuale malasanità;
3. autodenunciare l'evento alle proprie direzioni sanitaria e generale, al fine di reclutare quanti più esperti possibile, eventualmente facendo rete con quelle realtà che possono riferirsi ad un maggior numero di casi accaduti e risolti, e sicuramente aumentando audit interni ed esterni nelle sale operatorie di origine (esaminando dai ferri ai corredi, dal materiale monouso ai filtri degli scambiatori d'aria, etc.);
4. redigere, per ogni settore chirurgico, una sorta di vademecum per il paziente imbattutosi nell'episodio di infezione, dove lo stesso possa trovare: consigli comportamentali (aderenza al quadro terapeutico, comprese posologia e modalità di assunzione dei farmaci, etc., inclusa l'igiene delle mani e degli indumenti in ambito domiciliare); contatti (dal numero di telefono del team medico e/o del reparto, all'indirizzo email dove poter scrivere domande o dubbi sulla propria sintomatologia e ricevere così delle risposte); e supporto psicologico (mettendo a disposizione un professionista adeguatamente preparato, non solo per titoli ma anche per esperienza su campo, nel management del paziente e della tipologia di infezione contratta e di organo maggiormente colpito);
5. avere il coraggio e cioè la responsabilità di pubblicare e/o divulgare ai colleghi e/o riviste di settore, anche gli insuccessi, al fine di fare chiarezza sui casi incontrati e così tentare di risolvere quelli futuri;
6. fare finalmente “appropriatezza”, promuovendo la multiprofessionalità del team di lavoro e implementando la comunicazione tra i diversi professionisti costituenti, anche nell'ambito di casistiche ritenute statisticamente “poco probabili” e, come tali, ridotte in termini numerici.
 
Maria Chiara Dell’Amico
Biologa molecolare e project manager
 
Fonti:
- http://www.epicentro.iss.it/problemi/infezioni_correlate/infezioni.asp
- http://salute24.ilsole24ore.com/articles/17652-infezioni-ospedaliere-in-italia-costano-100-milioni-di-euro-all-anno
- https://www.toiuto.com/antibioticoresistenza-fine-di-una-grande-illusione?doing_wp_cron=1444566931.9015269279479980468750
- Antonio Panti. La conoscenza dei virus dimenticati. Il Sole 24 Ore, Sanità Toscana, Controcanto, Supplemento n° 36 anno XVI del 6-12 ottobre 2015
- http://www.regione.toscana.it/documents/10180/692027/20151006-SANITA----.pdf/ff80d008-09be-4f4a-9d69-ef7b7972c387
- http://www.escrs.org/endophthalmitis/guidelines/ITALIAN.pdf 
13 ottobre 2015
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