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QS Edizioni - lunedì 29 aprile 2024

Lettere al Direttore

Dry needling. Non è cosa da fisioterapista

di Giampaolo de Sena
12 luglio - Gentile direttore,
è già successo che un fisioterapista, a causa di un dry needling andato male, abbia mandato un paziente all’ospedale. Finì alla ribalta della cronaca di poco più di un anno fa che il campione olimpionico di nuoto, Andrea Rolla, in cura dal suo fisioterapista per un problema di spalla, mentre si stava preparando gli europei si trovò all’ospedale con un polmone bucato ed i campionati saltati.

Possiamo dire che fino a quando la pratica del dry needling è rimasta una attività manu medica non si era mai sentito di un olimpionico mandato al pronto soccorso per un trattamento andato male e dobbiamo purtroppo ricordare che questa situazione è stata anche favorita da un parere, invero assai contradditorio, emesso dal Consiglio Superiore di Sanità.

Nel dicembre del 2013 infatti il Consiglio Superiore di Sanità espresse tale parere che diede il via libera al fiorire di corsi di dry needing aperti ad i fisioterapisti. Questo documento ha portato a conclusioni che sono andate in un senso difforme dalle iniziali premesse, perchè, sebbene l’illustre prof. Cerulli avesse affermato che ”la terapia del dry needling sfocia nella pratica della clinica medica e pertanto necessita di una formazione specialistica” e sebbene il Consiglio Superiore di Sanità, avesse sostenuto essere “di parere non favorevole alla pratica autonoma del dry needling praticata dal fisioterapista”, sorprendentemente, con queste premesse il CSS concluse che “il DN può essere effettuato da un fisioterapista dietro prescrizione e supervisione medica”.

Il codice di deontologia medica impone al medico di denunciare all’ordine professionale ogni abuso di professione di cui è testimone, mentre invece questo parere suggerisce l’esatto contrario. Ma quando un fisioterapista provoca uno pneumotorace al suo paziente, in che maniera il medico che si trova nella struttura può impedire che questo accada? La prescrizione del medico e la sua presenza in struttura è una reale garanzia di salute per il paziente, se poi la procedura è praticata da personale non abilitato?

Chi descrive il dry needling come una tecnica praticabile da personale non medico, evidentemente non conosce né la tecnica del dry needling, né la sua pericolosità né tantomeno le sue reali difficoltà tecniche. Il “dry needling”, ossia “aghettamento a secco” è la stimolazione ripetuta di un punto doloroso con un ago e tutto è tranne che una tecnica fisioterapica, al limite si può affermare che con il dry needling il fisioterapista adotta una tecnica medica ed invasiva, ma non il contrario.

Non ci vuole un luminare per capire che la stimolazione ripetuta, con un ago, di una pleura, di un tronco nervoso, di un vaso, di un organo interno, una ghiandola, un linfonodo, di un focolaio infettivo, potrà trasformarsi in un potenziale danno che talvolta, come nell’emopericardio da agopuntura o nella setticemia, ha finanche la potenzialità di mandare il paziente al camposanto. E’ pertanto intuitivo che la pratica del dry needling necessiti di conoscenze di anatomia e di patologia generale che vanno molto al di là di quelle che vengono normalmente acquisite al corso triennale di laurea in fisioterapia o nei corsi post laurea di dry needling della durata di un weekend.

Queste preoccupazioni sono state già espresse dall’OMCeO, dalla SIMFER e dalla FISA anche se non sono condivise, evidentemente, dal Consiglio Superiore di Sanità e da quei fisioterapisti alla ricerca di nuove frontiere nella pratica clinica e didattica.

Il dry needling arriva alla ribalta internazionale nel 1979 con la storica pubblicazione su Pain del professore Karel Lewit, che dimostrò che l’infiltrazione con anestetico dei trigger point poteva essere anche fatta con i medesimi risultati anche con ago a secco, senza anestetico. Pertanto il dry needling è tecnica analoga al blocco anestetico del trigger point, ma praticata senza anestetico, e si avvale degli aghi di agopuntura perché sono più sottili di quelli della siringa.

Contrariamente a quando è stato affermato, il dry needling è una tecnica presente anche in agopuntura sotto il nome di “stimolazione dei punti ashi”. Questa è agopuntura profonda che stimola direttamente il punto doloroso, ed è temuta dagli stessi agopuntori proprio a causa della sua profondità. Cioè in pratica i fisioterapisti stanno chiedendo di avere a loro disposizione la tecnica più pericolosa e meno sicura che esiste nella agopuntura, pur consapevoli che ad oggi in Italia l’agopuntura può essere praticata solo dai medici in quanto procedura invasiva.

Inoltre si dovrebbe sapere che il dry needling agisce principalmente sui trigger point, sui tender spot, e sia CSS che fisioterapisti dovrebbero sapere che il trattamento manuale e fisioterapico nel trattamento del dolore miofasciale è di efficacia sovrapponibile a quella del dry needling.

Quindi non si capisce perché i fisioterapisti dovrebbero praticare una tecnica, potenzialmente pericolosa, di natura manu medica, quando nel loro bagaglio culturale dovrebbero avere già le nozioni sufficienti per potere gestire la stessa patologia con mezzi fisioterapici, molto più sicuri per il paziente. Al tempo stesso non è facilmente comprensibile per quale motivo un medico dovrebbe supervisionare un fisioterapista nella pericolosa pratica del dry needling sapendo che lo stesso risultato può essere ottenuto, nella maggioranza dei casi, con tecniche meno invasive e più adatte al profilo professionale dell’operatore.

Non si capisce bene neanche il motivo per il quale il Consiglio Superiore di Sanità, sempre in conclusione di questo parere, afferma di augurarsi che il fisioterapista, come accade in alcuni paesi anglosassoni, venga avviato all’utilizzo dei dispositivi medici e presidi medici invasivi. Ma perché dovrebbe farlo? Non mi risulta che In Italia ci sia la necessità che ai medici venga data una mano nella pratica di procedure invasive. Non mi risulta neanche che ai fisioterapisti manchino le risorse terapeutiche per trattare le patologie di loro competenza con gli strumenti oggi al loro disposizione. E’ invece certo che in Italia esiste un articolo del codice penale, il 348, che sanziona il fisioterapista che si spende in attività medica. Così come è altrettanto certo che in Italia, nel nostro SSN, abbiamo personale medico specialista adeguatamente formato per effettuare procedure invasive che in altre parti del mondo, evidentemente, non hanno a chi far fare.

Insomma c’è da augurarsi che questo parere, così come chiesto dalla SIMFER, dall’OMCeO e dalla FISA, venga rivisto ed anche con una certa urgenza in quanto, per dirla con le parole dell’OMCeO, “il dry needling rappresenta un potenziale vulnus alla salute pubblica” e pertanto è meglio lasciarlo alle competenze di chi è già in possesso di abilitazione all’esercizio di procedure invasive di tipo medico chirurgiche.
 
Giampaolo de Sena
Medico Fisiatra 
12 luglio 2016
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