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QS Edizioni - domenica 5 maggio 2024

Lettere al Direttore

Io pediatria, ecco come “scelgo” gli osteopati con cui collaborare

di Haidi Cristiana Sangalli
11 giugno - Gentile Direttore,
in qualità di medico specialista condivido le giuste rivendicazioni dei professionisti sanitari intervenuti a sostegno dell'osteopatia come patrimonio di innovazione, prevenzione e aggiornamento per l'intera sanità italiana. Tuttavia, vorrei citare anche l'intervento del collega (Ortopedico) dott. Manta che riferisce la sua esperienza interdisciplinare con gli osteopati esclusivi, sostenendo l'integralità del corso di studi quinquennale come ineludibile criterio formativo per l'iter di studio degli osteopati. 
 
La sua esperienza, infatti, è assolutamente analoga alla mia in quanto, dopo essermi informata attraverso i documenti ufficiali OMS (Benchmark for training in Osteopathy), la normativa Europea CEN e i percorsi formativi universitari dei paesi in cui è già normata da anni, collaboro solo con osteopati che soddisfino questi requisiti.
 
Pertanto, se appare legittimo che fisioterapisti e medici possano ambire alla formazione post-laurea in osteopatia, per le medesime ragioni penso che sia necessario considerare ai fini dell'equipollenza dei titoli anche la formazione universitaria internazionale nella stessa disciplina, pur essendo questa erogata con criteri diversi e non esclusivamente destinata a figure già sanitarie.
 
Ritengo altresì che la stessa formazione quinquennale con caratteristiche europee debba essere salvaguardata in Italia, quanto meno nei casi in cui sia già stata autorizzata dalle autorità competenti, dopo verifica di compatibilità con le norme vigenti.
 
E' questo, a mio avviso, il senso condivisibile di eventuali emendamenti o indicazioni attuative che possano migliorare l'art. 4 del DDL Lorenzin. La stessa norma di standardizzazione europea dell'osteopatia, a cui diversi soggetti hanno partecipato in collaborazione col Ministero della Salute, prevede due tipi di formazione: una per diplomati e l'altra per professionisti, di durata e accreditamento formativo tra esse differenti.
 
Ne consegue che, affermando il riferimento fondamentale alla stessa norma, non si possa escludere a priori nessuna delle due formazioni. E questo dato vale per entrambe le parti: osteopati da un lato e fisioterapisti con numericamente esigue rappresentanze mediche dall'altro.
 
Con tali premesse, credo che la disputa tra associazioni di categoria sia nel merito assolutamente sterile se non addirittura puerile e sicuramente controproducente, reclamando l'osteopatia tutta per sé o per nessuno. Forse sarebbe meglio che il legislatore non consideri tanto come riferimento le categorie autoreferenziali, inevitabili portatori di interessi particolari, ma guardi alle migliori esperienze professionali e formative.
 
Come si evince, infatti, da un altro recente intervento, il sostegno degli osteopati più qualificati, che lavorano sul campo nel rispetto delle regole nazionali e internazionali, si orienta verso una regolamentazione rigorosa che tuteli il cittadino e permetta la collaborazione tra professioni della salute già normate da tempo e nuove.
 
Questo è dimostrato dal fatto che siano solo gli osteopati con tali caratteristiche ad aver già instaurato proficue cooperazione interdisciplinari con la medicina specialistica, come reso noto dalla presentazione a Berlino delle linee guida italiane della cooperazione tra pediatri e osteopati.
 
Ancora una volta la società civile ha dimostrato rappresentare una risorsa ben oltre le polemiche e le rivendicazioni delle categorie. Ci auguriamo che i parlamentari siano lungimiranti, non curandosi di chi urla di più davanti alla propria bottega, ma riferendosi al merito professionale e alle eccellenze pedagogiche e alla formazione adeguata e soprattutto certificata che fortunatamente non mancano in Italia.
 
Dott. Haidi Cristiana Sangalli
 
Medico-chirurgo specialista in pediatria e neonatologia
11 giugno 2017
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