28 luglio -
Gentile direttore,
abbiamo letto con vivo interesse l’
indagine di
Quotidiano Sanità sulle Politiche d’Acquisto dei Dispositivi medici, focalizzata sulla Centralizzazione degli acquisti, modello ormai acquisito nella Pubblica Amministrazione, e dunque nel Ssn italiano.
Se il risultato delle interviste ai vari responsabili regionali delle politiche di acquisti in campo sanitario non poteva che fornire risposte ovviamente istituzionali, appaiono particolarmente interessanti e meritevoli di approfondimento le opinioni fornite dai professionisti sulle Centrali uniche d’acquisto.
Anche noi siamo colpiti dai dati emersi: se da una parte il 75% esprime un giudizio positivo sulle centrali uniche quali via migliore per risparmi di spesa, non solo il 63% ritiene che le stesse disincentivino l’innovazione perché lontane dai bisogni reali e dalle esigenze dello specialista utilizzatore, ma, e questo merita approfondimento, il 53% dei rispondenti afferma di non utilizzare i dispositivi medici che sono stati forniti, fornendone poi varie motivazioni, dalla tecnologia obsoleta alla mancata aderenza alla terapia. Ed è questo il dato che colpisce, e che vorremmo però fosse approfondito.
I dispositivi sono diventati obsoleti nel tempo trascorso tra l'elaborazione dei fabbisogni e l'aggiudicazione? O era già inadeguato il capitolato tecnico? Ma soprattutto, quel 53% di professionisti che afferma di non utilizzare i dispositivi medici che sono stati forniti, (è una percentuale importante, e ci si augura almeno che non ci sia spreco di materiali effettivamente acquistati e poi non utilizzati, ma solo una mancata adesione a quanto aggiudicato dalle centrali d’acquisto), quali dispositivi utilizza poi in azienda, e forniti come, da chi, e con quali procedure?
Elisa Petrone
Segretario aggiunto Fedir