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QS Edizioni - lunedì 29 aprile 2024

Lettere al Direttore

Vaccinazione anti covid: alcune domande lecite che richiedono risposte esplicite

di Maria Nefeli Gribaudi
9 novembre - Gentile Direttore,
la COVID è una malattia non solo clinica ma dai risvolti fortemente relazionali, comunicativi, umani ed etici. Lo è e lo è stata in quanto malattia che detta rigide regole di separazione ed isolamento dai propri cari, di inquietudine e di solitudine del malato, dei familiari e degli stessi operatori sanitari. Ferite che chi le ha vissute difficilmente potrà dimenticare.
 
Risvolti divisivi che a ben guardare si trovano anche nei dati, nelle interpretazioni, nelle inferenze, nelle argomentazioni, nelle idee spesso - e talora anche a ragione - sintetizzate e banalizzate in ideologie e stigmatizzate in etichette che hanno solo l’effetto di farci perdere di vista cosa andiamo cercando.
 
E cosa andiamo cercando è la vittoria di una battaglia che è di tutti, ancora aperta, complessa e che probabilmente, anche se ci crea non poco imbarazzo ammetterlo, non ha un’unica e sola via, ma deve attraversare un confronto tecnico aperto ed un approccio critico funzionale ad un unico obiettivo: preservare la salute individuale e collettiva.
 
D’altronde è la stessa medicina ad insegnarcelo consegnandoci un approccio evidence based non indiscriminato ed indifferenziato ma attento alle peculiarità del singolo caso concreto, la medicina legale e la stessa ricerca ce lo ricordano specie a fronte di malattie nuove, complesse, dai contorni e dalla eziologia ancora non del tutto chiari come la Covid che impone tempestività certo, ma anche caute riflessioni alimentate dal dialogo e dal pensiero critico sul piano tecnico-scientifico che rifugga le mere opinioni e i “secondo me” e scevra da mere posizioni politiche e da inutili dibattiti mediatici privi di contraddittorio tecnico o non idoneamente argomentati tali da alimentare ulteriori divisioni, inasprire gli animi, creare sfiducia e confusione. Ma è questo ciò che davvero andiamo cercando?
 
Certo l’aspetto della comunicazione è particolarmente importante nel suo significato etimologico di mettere in comune, dati, esperienze, informazioni e saperi e tale da rilevare non solo nell’aspetto contenutistico ma anche qualitativo e nei suoi effetti persuasivi incidendo non tanto e non solo sulle opinioni ma anche e soprattutto sui comportamenti.
 
Ma tanto è più complesso e ancora indiscutibilmente incerto il quadro di riferimento quanto è ancor più necessaria una comunicazione oggettiva, trasparente, chiara, onesta e fruibile dai cittadini che espliciti ed argomenti sul piano tecnico-scientifico le ragioni delle scelte e la loro indifferenziata applicazione alla generalità delle persone, che mal si concilia con informazioni prive di contenuto scientifico, con posizioni del tutto personali e divisive e con il sensazionalismo mediatico.
 
E all’alba della terza dose del vaccino anti-covid e della apertura della vaccinazione ai bambini nella fascia di età 5-11 anni è lecito e doveroso porre domande ed è dannoso non dare risposte o dare risposte senza le opportune cautele.
E se di risposte certe non ve ne sono, nonostante gli indiscutibili sforzi finora impiegati, è dovere politico, giuridico, ma ancor più morale, comunicare che ancora oggi risposte nette e a senso unico non ve ne sono, muovendosi con cautela e con pensiero critico nelle scelte.
 
E allora in tale contesto è lecito domandarsi perché e in che misura chi già presenta risposte immunitarie naturali e significative deve sottoporsi alla vaccinazione che ha per l’appunto il fine di produrle e perché le verifiche dei titoli anticorpali, spiccatamente differenziati per entità e durata sia in caso di malattia che di vaccinazione, non possano o debbano assurgere a criterio da valutare ai fini di un’ulteriore vaccinazione.
E ancora è lecito domandarsi perché e sulla base di quali criteri viene ponderato l’imprescindibile rapporto rischi-benefici specie nella popolazione pediatrica.
 
E ciò è ancor più lecito e doveroso a fronte di una malattia che per tali categorie, come si è sempre evidenziato, presenta complicanze ed esiti infausti in casi piuttosto ridotti, e di una vaccinazione che, tecnologia e - propria o impropria - etichettatura di sperimentale a parte, ha e non può non avere ancora un certo grado di incognite sotto il profilo dei rischi e dei danni a medio e lungo termine, complice anche una sorveglianza attiva e una segnalazione successiva alla fase post marketing a base volontaria.
 
Domande lecite che richiedono risposte ed argomentazioni esplicite attraverso un dialogo inclusivo e un confronto tecnico-scientifico sereno da compiersi in scienza ed in coscienza.
 
E ciò proprio in ragione di quell’intimo legame tra salute individuale e salute collettiva, dei doveri giuridici e morali di natura solidaristica e del valore imprescindibile della ricerca e dei principi etici che debbono ispirarla in termini di benefici per la società e per i singoli, integrità, prudenza, rispetto, inclusione e responsabilità. E proprio in ragione del fatto che questa è una battaglia ancora aperta che ci coinvolge tutti che non può essere vinta senza il dialogo, il confronto scientifico, una comunicazione trasparente ed efficace, scienza e coscienza.
 
Domande lecite che richiedono risposte chiare, complete e trasparenti funzionali al diritto di autodeterminazione considerando che la vaccinazione anti-covid, salvo, come è noto, per gli operatori sanitari, non è frutto di una scelta politico-legislativa apertamente impositiva e di una responsabilità giuridica istituzionale, ma è rimessa alla scelta ed alla responsabilità del singolo che si trova in posizione di asimmetria informativa e che è chiamato a rispondere ad istanze che non muovono dalla richiesta di cura di una malattia ma finalizzata a prevenirne l’insorgenza nelle sue forme più gravi.
 
Maria Nefeli Gribaudi
Avvocato esperta in responsabilità sanitaria
9 novembre 2021
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