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QS Edizioni - martedì 30 aprile 2024

Lettere al Direttore

Produrre salute: la sanità da servizio pubblico a strategia economica e sociale

di Giuseppe Carillo
12 novembre - Gentile Direttore,
uno studio analitico eseguito, prima dell’emergenza da Covid 19, da una giovane ricercatrice della Kpmg S.p.A. per conto della Direzione Regionale della Salute, ha mostrato che nel 2018 circa 2 ml di cittadini della Campania si sono recati in un Presidio di Pronto Soccorso, per l’85% pubblico per il 15% privato. Oltre 1,3 ml di questi cittadini è stato dimesso.
 
L’80% dei cittadini costretti a recarsi al Pronto Soccorso viene identificato con codice bianco e verde, quindi non dovrebbe essere costretto a ricorrere alle cure ospedaliere.
 
Nel 2019 circa 350.000 bambini/ragazzi nella fascia di età da 0 a18 anni è finita al Pronto Soccorso, circa il 92% in codice bianco e verde.
L’emergenza, soprattutto nella prima fase, ha solo mostrato con evidenza, oggettiva e tragica, la crisi del sistema ospedaliero indotta da un sistema di sanità territoriale in crisi. Gli ospedali pubblici lasciati praticamente soli ad offrirsi ai cittadini come l’unica risposta organizzata, nell’ordinario come nell’emergenza.
 
Questo è l’orlo sul quale siamo. La tendenza all’ospedalizzazione della sanità e la contestuale strategia, varata con la seconda e terza riforma, di introdurre le Aziende Sanitarie considerandole solo uno strumento con cui cercare l’efficienza comprimendo i costi, ha indotto quasi naturalmente i sistemi sanitari regionali a considerare normale la gestione paritaria pubblico/privato del sistema per la garanzia dei LEA.
 
E’ questo che ha determinato, e determina, l’inesauribile domanda di risorse finanziarie, destinate a remunerare in larga misura una concorrenza, spesso sleale, che privatizza la parte più remunerativa della sanità e lascia al pubblico la sanità territoriale.
Anche questa emergenza, come ogni emergenza, genera sempre una risposta in termini di risorse finanziarie straordinarie, ingenti come quelle del PNRR, sempre accompagnate da retorici propositi sui cambiamenti necessari. “Nulla può essere come prima”, si dice.
 
Ma nella realtà le cose non vanno così e moltiplicare la spesa non basta se non la si orienta.
Nella relazione parlamentare n° 1252 del 20 dicembre 1978 con cui si presenta la prima riforma istitutiva del SSN, la n° 833 del 1978, si possono leggere i princìpi ispiratori:
“I - la tutela globale della salute, fondata sulla prevenzione delle cause di insorgenza delle malattie e sulla predisposizione di strutture adeguate per interventi sia a livello individuale che collettivo;
II - un impiego programmato delle risorse reali dello Stato e degli Enti locali, tale da assicurare, anche nel settore sanitario, una crescita dei livelli di libertà, di democrazia e di giustizia sociale per gli individui, per i gruppi sociali, in particolare per quelli che dispongono di più limitati mezzi materiali, per la comunità;
III - soluzioni adeguate e moderne, non solo in armonia con le direttive comunitarie ma anche sulla scorta di esperienze internazionali, per i problemi legati alla contaminazione ambientale, specie di origine industriale, e per le insidie che possono derivare alla salute dagli alimenti.”

 
Dopo quasi mezzo secolo quei princìpi sarebbero ancora in grado di ispirare una nuova riforma, del modo di pensare la salute dei cittadini e del modo di organizzare un servizio sanitario integrato.
E senza un progetto nuovo il SSN, i Sistemi Regionali, ingoieranno le risorse mantenendo inalterato il modello: avremo più ospedali, anche più moderni e attrezzati, com’è auspicabile, strutture intermedie, ospedali di territorio e RSA, ma non si sposterà l’attenzione strategica dal paziente al cittadino, alle Comunità. Non si creerà quel sistema territoriale in grado di proteggere gli ospedali.
 
Ivan Cavicchi, nella sua analisi pubblicata l’8 novembre scorso, ha colto con la consueta acutezza, il tema sollevato dalla CGIL di Avellino.
Se anche il Covid 19 affonda i suoi colpi quando incontra la debolezza dei sistemi immunitari dei viventi, se la protezione immunitaria è colpita da concause infiammatorie tutte determinate da stili di vita, se la salute è condizionata dall’ambiente, dall’istruzione, dalla qualità degli alimenti, dalle condizioni di lavoro, allora le Comunità locali, le Istituzioni, sono un avamposto di “produttori di salute”, non una platea di spettatori plaudenti.
 
L’esperienza di questi due anni dovrebbe aver portato alla evidenza di alcuni punti di una strategia di riforma:
1. Riorganizzazione dei servizi territoriali delle Aziende Sanitarie Locali, integrando funzioni legate alle attività socio-assistenziali e all’ambiente;
 
2. Nuovo federalismo sanitario regionale: ruolo dei Sindaci e poteri di controllo sull’efficacia dei servizi territoriali integrati;
 
3. Formare i cittadini alla protezione comunitaria, rendendo le Comunità e le Istituzioni locali attive su:
• Sistemi produttivi locali: cosa si produce, con quali materiali;
• Attività sanitarie nei luoghi di vita collettiva, scuole, luoghi di lavoro, vita associativa;
• Qualità dei servizi alle famiglie, considerando orari di vita e di lavoro
• Nutrizione come cura, con evidente attenzione sulla filiera dei prodotti per l’alimentazione, sulle abitudini, sugli stili di vita;
• Inquinamento, delle città, delle aree destinate all’agricoltura;
 
4. Diffusa attività formativa nel Servizio Sanitario Regionale, quindi ruolo dell’università e ricerca, cercando di offrire ai tanti operatori e medici la possibilità di adeguare le loro conoscenze scientifiche e professionali, formare medici e infermieri di territorio;
 
5. Aprire una larga discussione sul ruolo e sulla governance delle Aziende in sanità, al fine di comprendere i limiti della loro implementazione in un sistema stressato dalle abitudini di una politica che considera la sanità un veicolo elettorale.
 
Le emergenze non possono durare a lungo. Quella sanitaria, così intimamente integrata con le emergenze del sistema dei produttori e con quelle ambientali, potrebbero alimentare un bisogno di risposte semplificate e per questo sempre più centralizzate.
Per questo è necessaria una fase di riattivazione dei circuiti democratici.
 
Giuseppe Carillo
Ph.D.
 
12 novembre 2021
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