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QS Edizioni - martedì 14 maggio 2024

Ecco come funzione il modello Aima

20 settembre - Le persone ammalate di Alzheimer anche in fase terminale sono capaci di provare emozioni. Basta guardare il volto di un nonno che sorride quando incontra la nipotina  che non riconosce più ma che vede con gli occhi dell’anima. Uno dei tanti anziani e non malati assistiti nella Casa-Aima che l’associazione malati di Alzheimer gestisce a Napoli da oltre 20 anni. Il modello di intervento e di assistenza messo in campo da anni di Aima Napoli Onlus parte proprio dallo studio, uno degli ultimi (che ha dimostrato come le persone con Alzheimer abbiano la capacità  di provare emozioni nonostante il loro declino cognitivo e il deficit di memoria).

 “Il progetto si chiama AIMA...Amiamoci – spiega Caterina Musella, presidente di Aima Napoli – e riguarda la persona oltre la malattia. Un intervento che è basato appunto sulle emozioni, sull'empatia nel rispetto e nella volontà di ciò che il paziente più desidera nella relazione con gli altri, pazienti, amici parenti, e che stiamo portando avanti dal 2000 con la condivisione di un network di esperti internazionali (Interdem) che nel 2003 vennero per la prima volta in Italia”.

Quello proposto da Aima Napoli nella sua casa di accoglienza e assistenza è un modello di cura biopsicosociale nell'ambito di un percorso di umanizzazione e continuità assistenziale che dona qualità di vita alla persona affetta da tale patologia e alle famiglie agendo sulle capacità cognitive residue del paziente, sulla dieta, l’esercizio fisico, la rievocazione di ricordi significativi, l’occupazione in faccende domestiche banali come cucinare un caffè o fare una torta. Ballo, musica, intrattenimento e coinvolgimento in attività a bassa complessità ma alta pregnanza emotiva secondo un’esperienza ormai decennale consentono di rallentare e in alcuni casi anche di recuperare le perdite cognitive nelle varie fasi della malattia. Proprio a Napoli l’Aima ha inoltre documentato vari casi di pazienti affetti che sono consapevoli del loro declino cognitivo e che convivono come con un compagno di vita con la malattia e le sue inesorabili avanzate che cancellano progressivamente ricordi e capacità.

“Un modello di intervento riabilitativo a misura di ogni singolo  paziente – aggiunge Musella – che andrebbe quantomeno studiato dalle istituzioni sanitarie pubbliche in quanto capace di abbattere sensibilmente i costi di assistenza del paziente che, anche se curato a domicilio e in famiglia, sono stimati in un range che va dai 7 ai 16 mila euro a seconda della fase della malattia”.  Il modello Aima amiamoci, dunque, potrebbe condurre anche ad una sostanziosa sforbiciata sui costi del Servizio sanitario nazionale. Ciò in virtù delle attività integrative a quelle istituzionali tutte volte ad una reale presa in carico a partire dalla rilevazione del bisogno tramite il centro ascolto aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 18.00 ma anche e soprattutto per l'ascolto dedicato, per l'orientamento e "accompagnamento" ai servizi territoriali di cui necessitano, dalla diagnosi precoce fino all'elaborazione del lutto. Supporto domiciliare, segretariato sociale, supporto pscicologico e sociale e poi laboratori diurni di stimolazione cognitiva, di musica, di arte terapia, di cucina, orti sociali per i pazienti per mantenere quanto più a lungo possibile le abilità quotidiane della vita e i percorsi educativi alla salute per aiutare le famiglie nella prevenzione e nella gestione della malattia sono le armi socio-psico-bio-sociali sfoderate dall’Aima Napoli onlus per stare vicino in maniera attiva a pazienti e famiglie.

Non mancano i gruppi di auto mutuo aiuto per condividere sofferenze, esperienze, consigli, da parte dei care giver che pagano il prezzo più alto nell’assistenza prestata in famiglia.  Tra l'altro è un modello di cura estendibile a tante altre persone che vivono esperienze simili anche se per patologie diverse. “L’Alzhemer – in attesa di una vera cura, conclude Musella - non è una patologia che consente un aproccio slegato dalla persona. Non c’è la pillola che cura guarisce o cronicizza, c’è solo la persona malata con cui interagire. Ed è nella restituzione della dignità di persona a un paziente che ha la mente saccheggiata che si possono affrontare i reali bisogni con una valutazione della qualità percepita. Un modello che fa bene non solo ai pazienti e alle famiglie ma anche allo stesso Servizio sanitario che attualmente a fronte di una epidemiologia che incute timori per i numeri brancola ancora nel buio di iniziative e modelli assistenziali del tutto inadeguati”.  

Ettore Mautone
20 settembre 2017
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