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QS Edizioni - venerdì 3 maggio 2024

Scienza e Farmaci

Procreazione assistita. Dalla Svezia un nuovo metodo. Efficace anche nei casi più difficili

immagine 26 settembre - Il procedimento si basa sull’inibizione di una proteina che blocca la maturazione degli ovociti. La tecnica potrebbe aiutare tutte quelle donne che non hanno ovociti maturi nelle ovaie da sottoporre a fecondazione, o che si devono sottoporre in età puberale a cure oncologiche. Ma non la vedremo prima di 5 anni.
La difficoltà maggiore che si incontra nelle tecniche di procreazione medicalmente assistita? È che spesso non funziona. I cicli, costosi e fastidiosi per le donne che vi si sottopongono, funzionano molto meno della metà delle volte, con la conseguenza che o si deve ricominciare da capo, o si deve rinunciare. In più, in alcuni casi – ad esempio quando si è dovuto iniziare un trattamento chemioterapico prima della pubertà – queste tecniche non sono neanche disponibili. Una ricerca dell’Università di Goteborg potrebbe però aver cambiato qualcosa: gli scienziati hanno infatti scoperto che gli inibitori della proteina Pten potrebbero innescare la maturazione degli ovociti in cellule più mature e pronte per la fecondazione, migliorando così le possibilità dell’inseminazione in vitro. Questo risultato è stato pubblicato su PLoS One.
 
Lo studio sarebbe dunque utile soprattutto per tutte le donne che a seguito di una terapia oncologica sono diventate sterili, ma che non hanno potuto congelare embrioni o ovociti per preservare la loro fertilità, magari perché troppo giovani al momento della cura. In questi casi c’è bisogno infatti di prelevare tessuto ovarico che contenga ovociti immaturi: nella maggior parte dei casi questi tessuti vengono poi ritrapiantati a cura terminata, ma quando questo non è possibile le opzioni a disposizione finiscono. Non c’è infatti modo, al momento, di far sviluppare i gameti femminili al di fuori dell’organismo, seppure diversi gruppi di ricerca nel mondo stiano lavorando proprio a questo scopo.
 
Recentemente, uno di questi team potrebbe aver fatto un nuovo passo avanti: a partire da uno studio precedentemente pubblicato su Science,  che dimostrava come a inibire la maturazione delle cellule fosse la proteina Pten, hanno tentato di usare degli inibitori di questa molecola come strumento per promuovere il processo di crescita e sviluppo completo degli ovociti contenuti nel tessuto ovarico. “Lo studio dimostra che l’uso di questi farmaci per attivare queste celluline in laboratorio è realistico”, ha spiegato Kui Liu, a capo del team che ha scovato questo metodo. “La tecnica sarebbe utile anche per tutte quelle donne che hanno solo ovociti immaturi nelle ovaie, e che dunque non possono avvalersi dell’uso di fecondazione in vitro”.
 
L’équipe ha condotto lo studio su modello murino, riuscendo a far nascere con questo metodo cinque topolini perfettamente sani. Dunque i risultati sono stati dimostrati non solo in via teorica, ma gli scienziati hanno potuto osservare come – quantomeno sulle cavie – il procedimento non portasse allo sviluppo di malattie croniche per i topolini. Il team ha infatti osservato le condizioni cliniche delle cavie fino all’età di 15 mesi, che rapportato all’età umana corrisponderebbero a circa 70 anni. “Per questo siamo ottimisti: pensiamo che il metodo possa entrare a far parte della routine clinica in un periodo che va dai cinque ai dieci anni”, ha concluso il ricercatore.
26 settembre 2012
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