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QS Edizioni - sabato 18 maggio 2024

Scienza e Farmaci

Ricerca. Convegno al Cnr: "Non c’è ancora alternativa alla sperimentazione animale"

immagine 29 novembre - Questa la conclusione a cui è giunto il convegno “Spera - Sperimentare per curare. Animale modello e progresso nella ricerca biomedica”, svoltosi questa mattina al Cnr. Punto di partenza la direttiva Ue sulle misure di protezione per gli animali utilizzati a fini scientifici che il Senato ha modificato in senso restrittivo.
In Italia la ricerca non sta passando un bel momento. Tutt’altro. Un po’, secondo quanto riportato pochi giorni fa dalla rivista americana Nature Neuroscience, la colpa sarebbe degli studiosi nostrani autori di una comunicazione “insufficiente” con i legislatori e il pubblico generale, un po’ per la politica che se ne occupa poco e quando lo fa, lo fa “maltrattandola” a causa di una scarsa conoscenza della materia.
 
Le problematiche legate a come comunicare la ricerca e in particolare il tema della sperimentazione animale, quale elemento cardine della ricerca, sono state al centro del convegno “SPERA - Sperimentare per curare. Animale modello e progresso nella ricerca biomedica”, presso il Centro Congressi del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma.
 
Parlando di sperimentazione animale buona parte del dibattito è stato incentrato sulla Direttiva 2010/63/EU riguardante misure relative alla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici e alle polemiche che questa sta producendo nel nostro Paese. Il Parlamento italiano, infatti, sta recependo con grande ritardo la Direttiva. In particolare il Senato ha approvato degli emendamenti che, secondo buona parte della comunità scientifica, renderanno più restrittivo l’articolo 5 della Direttiva europea che stabilisce che gli animali possono essere utilizzati per la ricerca di base e per quella biomedica, finalizzata allo studio delle malattie e al loro trattamento.
 
Sotto l’occhio del ciclone è finito l’art. 13 della legge delega n.96 del 6 agosto 2013 il quale, come ha spiegato Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche Farmacologiche Mario Negri, “introduce una serie di divieti che limitano la ricerca di base, soprattutto quella finalizzata alla cura di specifiche malattie in special modo la ricerca oncologica: il divieto di xenotrapianti; divieto di allevamento di cani, gatti e primati non umani; anestesia obbligatoria; divieto di uso di animali a scopo didattico”.
 
Insomma se la legge fosse approvata in questa forma dal Parlamento il rischio concreto è che  tanti laboratori di ricerca italiani sarebbero costretti a chiudere e a spostare la sperimentazione all’estero. Ad esempio in uno di quei “25 Paesi dell’Unione – ha detto ancora Garattini – dove la Direttiva 2010/63/EU è stata recepita senza queste restrizioni che invece in Italia gli animalisti sono riusciti a introdurre”.
 
Già perché secondo Paolo De Girolamo, ordinario di Anatomia veterinaria e direttore Centro Servizi Veterinari dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, presidente AISAL, c’è “la preoccupazione che norme così limitative possano favorire la migrazione della ricerca biomedica verso Paesi privi di controlli e regole, con un effetto controproducente sia per la salvaguardia del benessere stesso degli animali, che per lo sviluppo scientifico ed economico nel nostro Paese.”
 
Garattini ha fatto poi sapere che “si sta anche pensando ad una moratoria della direttiva fino al 2017 per evitare di produrre effetti immediati negativi”.
 
Il confronto torna in Parlamento dove le Commissioni competenti dovranno esaminare il recente decreto legislativo emanato dal governo in materia. Il particolare il documento dell’esecutivo stabilisce una moratoria di tre anni al testo uscito dal Senato tranne per il fatto che resta in piedi il divieto di allevamento di cani, gatti e primati non umani destinati alla sperimentazione, e il divieto di utilizzo di animali per gli esperimenti bellici, per gli xenotrapianti e per le ricerche su sostanze d’abuso, negli ambiti sperimentali e di esercitazioni didattiche ad eccezione della formazione universitaria in medicina veterinaria e dell’alta formazione dei medici e dei veterinari.
Quindi, per la comunità scientifica il problema viene posticipato di tre anni, alla fine dei quali ci si chiede cosa possa succedere. 
 
Della necessità di far conciliare il “rispetto per le condizioni degli animali” con le “ragioni della ricerca” ha parlato Paola Binetti, deputata di ScpI e componente della Commissione Affari Sociali della Camera. “Sono contro gli esperimenti inutili che comportano sofferenze ingiustificate. Sono però favorevole alla sperimentazione animale laddove vengono rispettate le tutele e le garanzie”. D’altronde ha concluso la deputata cattolica “gli stessi ricercatori sono attenti alle condizioni in cui sono tenuti gli animali”.
 
Insomma, per il momento, non c’è alternativa al fatto che la sperimentazione animale è necessaria per la ricerca e per la medicina. Non può essere infatti messo in discussione che la sperimentazione sugli animali, passo obbligato prima della sperimentazione sull’uomo dei nuovi farmaci, ha consentito di avere cure per malattie gravi, come l’Aids, la leucemia infantile, il cancro e malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer.
 “Molte cose si possono fare in vitro usando le cellule – ha aggiunto successivamente Silvio Garattini – ma poi bisogna andare a vedere se funzionano in vivo”.
 
E chi afferma “che oggi esistano metodi alternativi in grado di sostituire completamente la sperimentazione animale nella ricerca biomedica dice il falso. E questo è particolarmente grave se a farlo sono persone delle istituzioni”. Non usa mezzi termini la senatrice a vita e scienziata esperta di staminali Elena Cattaneo. “Metodi che non comportino l’utilizzo di animali, come simulazioni al computer o test su cellule, sono in uso da anni – ha aggiunto la Cattaneo – e ci hanno sicuramente permesso di ridurre il numero di animali utilizzati. E grazie all’avanzamento tecnologico saremo sempre più in grado di ridurre questi numeri, come raccomanda anche l’Unione europea. Ma oggi, se vogliamo continuare a capire perché ci ammaliamo e come possiamo curarci non possiamo rinunciare del tutto alla sperimentazione animale: dobbiamo mettercelo in testa e pensarlo ogni volta che prendiamo un farmaco, che ci sottoponiamo a un intervento chirurgico e anche quando portiamo il nostro cane dal veterinario” .
29 novembre 2013
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