La vitamina C, somministrata in vena ad alte dosi, potrebbe potenziare la chemioterapia anti-tumorale e ridurne gli effetti collaterali, nel cancro dell’ovaio. È quanto suggerisce uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Kansas (USA), insieme a
Mark Levine del
National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases dei
National Institutes of Health (Usa), pubblicato su
Science Translational Medicine.
Molti tentativi sono stati fatti in passato di utilizzare la vitamina C come terapia ‘alternativa’ contro i tumori. Il verdetto è sempre stato: sicurezza eccellente, ma benefici praticamente nulli. Un paio di
trial clinici controllati, che hanno utilizzato la vitamina C per via orale, hanno confermato la sua sostanziale inutilità contro i tumori e per questo la medicina convenzionale aveva ormai messo da parte questo presidio ‘
green’, che invece è rimasto ampiamente nelle corde delle medicine complementari e alternative.
Ma la partita con la
star tra le vitamine evidentemente non è ancora chiusa. L’idea di questo nuovo studio si basa sull’osservazione che, somministrando la vitamina C per via endovenosa, questa arriva in elevate concentrazioni nei tessuti, oltre che nel sangue, riuscendo così ad uccidere le cellule tumorali, ma risparmiando i tessuti sani. Ricerche di laboratorio hanno evidenziato che la vitamina C si comporta da potente antiossidante nel fluido interstiziale che circonda le cellule tumorali; un effetto mediato dalla formazione di perossido di idrogeno (più noto come ‘acqua ossigenata’), che è in grado di uccidere le cellule di tumore ovarico (morte indotta da acido ascorbico). La vitamina C, ucciderebbe le cellule tumorali provocando danni al DNA, svaligiando la cellula delle sue riserve energetiche (ATP), attivando la via ATM/AMPK e inibendo mTOR.
I ricercatori americani hanno testato l’accoppiata chemioterapia (carboplatino e paclitaxel) e vitamina C nei topi, osservando un potenziamento dell’effetto anti-tumorale. Lo stesso ‘cocktail’, somministrato a donne portatrici di neoplasia ovarica, ha ridotto la comparsa di effetti collaterali.
Alla luce di tutte queste osservazioni, gli autori dello studio ritengono che i tempi siano ormai maturi per tornare a vagliare l’utilità dell’acido ascorbico, rigorosamente per via endovenosa e ad alte dosi, come agente anti-tumorale, in associazione alla chemioterapia convenzionale. Il loro appello è rivolto adesso ai Governi, affiché finanzino
trial su larga scala per testare questo trattamento non brevettabile, già preconizzato da
Linus Pauling negli anni ‘70.
Maria Rita Montebelli