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QS Edizioni - lunedì 29 aprile 2024

Scienza e Farmaci

Alzheimer. Oltre un malato su tre ha una diagnosi inesatta. Criteri rivisti per una valutazione più attendibile

di Viola Rita
immagine 8 luglio - Ad affermarlo è un gruppo internazionale di ricercatori, guidati da Bruno Dubois dell’INSERM. Dal 2007, il team ha ridefinito i criteri diagnostici della malattia, introducendo i biomarcatori e oggi, in una pubblicazione su the Lancet Neurology, li ha ulteriormente semplificati. Riflettori sulla MRI volumetrica e sulla PET con fluorodesossiglucosio
Negli ultimi otto anni, un gruppo internazionale di neurologi, guidati dal Professor Bruno Dubois dell’INSERM (Institut National de la Santé e de la Recherche Médicale), ha ridefinito i criteri diagnostici della malattia di Alzheimer, stabiliti nel 1984. Oggi, in un position paper su The Lancet Neurology, i ricercatori aggiornano i criteri dell’International Working Group IWG (messi a punto insieme allo statunitense National Institute on Aging—Alzheimer's Association), proponendo un avanzamento per migliorare la struttura diagnostica. Ecco i riferimenti della pubblicazione: Bruno Dubois et al., Advancing research diagnostic criteria for Alzheimer's disease: the IWG-2 criteria, the Lancet Neurology, Volume 13, Issue 6, Pag. 614 - 629, Giugno 2014)
 
Secondo i ricercatori, infatti, più di una persona su tre non riceve una diagnosi corretta e, per questo motivo, i criteri diagnostici devono essere resi il più possibile attendibili e semplificati.

Con questo obiettivo, i ricercatori hanno collaborato per semplificare l’algoritmo per la diagnosi; nella comunicazione INSERM (Salle de presse de l’Inserm – Maladie d’Alzheimer : un diagnostic simplifié, avec les critères les plus fiables, http://presse-inserm.fr/maladie-dalzheimer-un-diagnostic-simplifie-avec-les-criteres-les-plus-fiables/12970/) si legge che tale algoritmo “è importante, in primo luogo per la ricerca, (trial terapeutici, caratterizzazione della malattia, monitoraggio delle coorti dei pazienti). Al di fuori della ricerca, l’uso di biomarcatori, che è costoso e/o invasivo, rimane attualmente limitato a pazienti giovani o a casi complessi in centri specializzati”.

“Suggeriamo che i biomarcatori topografici della malattia, come la MRI volumetrica e la PET con fluorodesossiglucosio, potrebbero fornire un supporto migliore nella misurazione e nel monitoraggio del decorso della malattia. Questo documento elabora anche i criteri diagnostici specifici per le forme atipiche di AD, per le AD miste, e per gli stati preclinici di AD”, si legge nello studio.
In particolare, nella maggior parte dei casi, la diagnosi di Alzheimer si basa in primis su un quadro clinico indicativo, che viene successivamente confermato o scartato utilizzando biomarcatori, riferiscono i ricercatori. 
 
Ecco alcuni criteri.
All’interno del quadro clinico, ci sono tre possibili scenari:
casi tipici (80-85% del totale): indebolimento della memoria a lungo termine episodica (conosciuta come tipo di sindrome amnestica dell'ippocampo e corrispondente a difficoltà a ricordare un elenco a parole, anche con indizi, ad esempio)
casi atipici (15-20% dei casi): atrofia della parte posteriore della corteccia cerebrale o afasia logopenica (deficit della memoria verbale in cui il paziente inverte le sillabe di una parola quando ripeterlo, per esempio), o danno cerebrale frontale (che si traduce in problemi comportamentali)
Stati preclinici: stati asintomatici a rischio (pazienti senza sintomi, ma che si scopre fortuitamente, durante indagini scientifiche, che hanno biomarcatori positivi durante gli studi scientifici), e stati presintomatici (con una mutazione genetica).
 
Inoltre, secondo gli scienziati, tra i criteri per la diagnosi, è necessario che sia presente uno dei seguenti due biomarcatori:
-nel fluido cerebrospinale (ottenuto mediante puntura lombare): livelli anormali di proteine ​​cerebrali (una riduzione della proteina beta-amiloide e un aumento della proteina tau)
-nel cervello mediante la PET (tomografia a emissione di positroni): ritenzione elevata del tracciante di amiloide.
 
Ripercorrendo la storia diagnostica della malattia, fino ad alcuni anni fa, era  necessario attendere il decesso del paziente per stabilire con certezza una diagnosi di Alzheimer, esaminando le lesioni cerebrali, riferisce l'INSERM, che sottolinea che dal 2007, il team di ricerca internazionale guidato da Bruno Dubois ha messo a punto dei nuovi criteri, introducendo i biomarcatori, che, come una sorta di ‘firma’ della malattia, sono presenti fin dall’esordio. Bruno Dubois afferma che “con questi nuovi criteri il 36% dei pazienti inclusi in un trial clinico, basato su precedenti criteri clinici, non avevano la malattia di Alzheimer”. Di conseguenza, i pazienti non ricevevano le cure o i trattamenti più adeguati, secondo i ricercatori. Così, dal 2007, i ricercatori hanno analizzato sistematicamente la letteratura per rendere i criteri più semplici e attendibili.
 
Viola Rita
8 luglio 2014
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