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QS Edizioni - lunedì 6 maggio 2024

Scienza e Farmaci

Dieta scorretta in gravidanza aumenta il rischio di obesità del bimbo

immagine 20 aprile - Secondo uno studio pubblicato su Diabetes la dieta della mamma è in grado di produrre cambiamenti epigenetici permanenti che aumentano il rischio di obesità durante l’infanzia.
 
L’alimentazione della mamma durante la gravidanza può avere effetti deleteri sulla salute del bambino, non soltanto nel breve termine, ma anche ad anni di distanza, fino ad aumentare il rischio che diventi obeso prima che completi la scuola elementare. Lo rivela uno studio pubblicato su Diabetes che rafforza l’ipotesi che cambiamenti epigenetici - cioè cambiamenti nella funzione del Dna senza che ne venga alterata la struttura - possano essere indotti dall’ambiente intrauterino e che sposta ulteriormente indietro le lancette della prevenzione dell’obesità.“Abbiamo dimostrato per la prima volta che la predisposizione all’obesità non è semplicemente il risultato dell’interazione dei nostri geni e del nostro stile di vita”, ha commentato uno degli autori dello studio, Keith Godfrey, dell’University of Southampton. “Ma può essere influenzata durante lo sviluppo del bambino nell’utero, anche da ciò che la madre mangia. L’alimentazione della madre può produrre importanti cambiamenti epigenetici che contribuiscono ad aumentare il rischio di obesità durante l’infanzia”.
Per giungere a queste conclusioni, il team ha analizzato il sangue cordonale di quasi 300 neonati e valutato i cambiamenti epigenetici presenti in 5 geni. L’analisi ha consentito di scoprire che la loro entità è in grado di prevedere nel 25 per cento dei casi se i bambini sarebbero stati obesi all’età di 6 o 9 anni.Mentre resta da capire quali siano gli alimenti in grado di alterare la funzionalità genetica del nascituro, sembra chiaro che “lo studio fornisce le più convincenti prove del fatto che soltanto focalizzando gli interventi di prevenzione anche nell’età adulta si potrà invertire l’epidemia di malattie croniche”, ha commentato Peter Gluckman del Liggins Institute dell’University of Auckland e tra gli autori dello studio.
 
20 aprile 2011
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