Ci sono quelli che finiscono il turno di notte freschi come una rosa e quelli distrutti neanche avessero passato una settimana a occhi sbarrati. E finalmente una ricerca finlandese pubblicata oggi su
Sleep svela il perché di questa diversa capacità di adattamento al lavoro a turni.
Sarebbe dunque una variante vicina al gene che codifica per un recettore della melatonina a determinare il grado di tolleranza al lavoro da turnisti. Un risultato ottenuto attraverso una ricerca minuziosa, effettuata setacciando l’intero genoma per scoprire l’ago nel pagliaio, cioè il gene della ‘
fatigue da turnista’. E i riflettori si sono accesi su una comune variante del gene del recettore 1A della melatonina (MTNR1A), che secondo gli autori di questo
paper sarebbe correlato all’eccessiva stanchezza lavorativa manifestata da alcuni turnisti.
La ricerca, firmata dalla professoressa
Tiina Paunio dell’ Università di Helsinki, è stata condotta su turnisti finlandesi impegnati in diverse attività lavorative (sanità, aviazione, ecc). Il grado di esaurimento da lavoro a turni riferito dai soggetti inclusi nello studio è stato messo in correlazione con le differenze genetiche rilevate nel loro genoma (mediante studio GWAS). In questo modo è stato possibile individuare il ruolo del gene per il recettore della melatonina.
E’ stato inoltre ipotizzato che la variazione del rischio connessa con il gene MTNR1A è da mettere probabilmente in relazione con la metilazione del DNA della sequenza regolatoria del gene, oltre che ad una più debole espressione del gene stesso. La metilazione è uno dei principali meccanismi epigenetici deputati alla regolazione del funzionamento del genoma e può essere influenzata da fattori ambientali, quali le fluttuazioni dei ritmi circadiani.
La produzione di un numero inferiore di recettori per la melatonina da parte della variante genetica ‘a rischio’ può indebolire il signalling della melatonina, che gioca un ruolo importante nel ritmo circadiano.
“La variante che abbiamo individuato – ammoniscono tuttavia gli autori - può spiegare solo una parte della variabilità inter-individuale alla tolleranza al lavoro a turni” e non può dunque essere utilizzata per determinare se un lavoratore è ‘portato’ per fare il turnista.
Un punto di partenza comunque interessante e un punto di partenza per comprendere come mai il lavoro dei turnisti disturbi i ritmi circadiani e possa esporre alcuni ad affaticamento diurno e a disturbi del sonno.
Lo studio è stato condotto dal
National Institute for Health and Welfare (THL) finlandese in collaborazione con l’Università di Helsinki, l’Istituto Finlandese di Salute Occupazionale e la Finnair.
Maria Rita Montebelli