toggle menu
QS Edizioni - domenica 5 maggio 2024

Scienza e Farmaci

Alzheimer. La terapia occupazionale non rallenta il declino funzionale

di Will Boggs
immagine 23 novembre - "Anche se la terapia occupazionale non può rallentare la patologia, abbiamo creduto che la formazione di competenze fornite ai caregiver e ai familiari avrebbero potuto almeno permettere di superare o rallentare le disabilità. La constatazione che non si sono verificati miglioramenti è stata una delusione”, ha detto Christopher M. Callahan, dell’Indiana University Center for Aging Research di Indianapoli.
(Reuters Health) – La terapia occupazionale (OT) personalizzata non sembra rallentare il tasso di declino funzionale nei soggetti con malattia di Alzheimer rispetto alle sole cure di gestione. “Ci sono dati preliminari di studi a breve termine che mostrano come la terapia occupazionale avrebbe potuto essere efficace nel rallentare il declino funzionale – dice Christopher M. Callahan, dell’Indiana University Center for Aging Research di Indianapoli – anche se la terapia occupazionale non può rallentare la patologia, abbiamo creduto che la formazione di competenze fornite ai caregiver e ai familiari avrebbero potuto almeno permettere di superare o rallentare le disabilità. La constatazione che non si sono verificati miglioramenti è stata una delusione”.

Callahan e colleghi hanno osservato per due anni due gruppi di pazienti, di cui uno seguito con terapie occupazionali somministrate da terapisti occupazionali, che mirava ad aumentare la cura di sé e a sostenere la capacità funzionale del paziente. Dopo 24 mesi non vi erano differenze significative tra i due gruppi, come si evince dalla relazione pubblicata sulla rivista Annals of Internal Medicine. Entrambi i gruppi sono andati incontro ad un progressivo declino funzionale con diminuzione dei punteggi del Mini Mental State Examination. I ricercatori ipotizzano che sarebbe necessario un periodo di osservazione più lungo, un intervento di terapia occupazionale più intenso o di un campione più ampio per ottenere risultati più incoraggianti. La disabilità progressiva, secondo Callahan, ha un impatto importante sul paziente e sul caregiver che può portare al ricovero in casa di cura, per questo c’è bisogno di dare supporto ai familiari e al caregiver per superare questo handicap fornendo più assistenza, più servizi, modifiche dell’ambiente dove il paziente vive e anche tecnologie che migliorino il grado di sicurezza della casa.

Fonte: Annals of Internal Medicine

Will Boggs
 
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
23 novembre 2016
© QS Edizioni - Riproduzione riservata