Il
New England Journal of Medicine, oltre a pubblicare ricerche prestigiose, dedica spazio anche a questioni di pratica clinica quotidiana, di gestione non sempre facile, proponendo una serie di soluzioni possibili a partire da un caso clinico reale. Un esercizio di grande utilità che aiuta i medici a ragionare, attingendo ad un repertorio culturale che non sempre viene immediatamente in aiuto nella pratica clinica.
Il tema affrontato questa settimana è la cosiddetta sciatica. Con questo
caso clinico.
Un autista 50 enne si reca dal medico per un dolore perdurante da 4 settimane a livello della parte bassa della schiena e della gamba sinistra. Il dolore, a volte acuto, a volte sordo sembra avere origine dalla natica sinistra e irradiarsi sul versante posteriore e laterale della coscia. A questo si associa una dolenzia a livello lombare. Il sollevamento passivo della gamba sinistra, a 45 gradi, col paziente steso sul lettino evoca un dolore importante, che impedisce di sollevare ulteriormente l’arto. Il paziente è obeso (BMI 35) e fuma 1 pacchetto di sigarette al giorno (da 22 anni).
In prima battuta il medico prescrive pregabalin al dosaggio di 150 mg (portato poi a 600 mg) con scarso beneficio.
Nel frattempo una risonanza magnetica della colonna lombare rivela la presenza di un’ernia del disco sul versante sinistro di L4-L5.
Le due opzioni terapeutiche proposte, commentate da due esperti nei loro pro e contro, sono le seguenti: intervento chirurgico sul disco erniato (microdiscectomia); terapia non chirurgica.
Chirurgia erniaria.I sintomi del paziente e l’esame obiettivo rivelano la compressione di una radice nervosa e la conseguente infiammazione dovuta al disco erniato a livello L4-L5 sul lato sinistro. 10 settimane di pregabalin non hanno alleviato in alcun modo il dolore invalidante. Il dottor
Zoher Ghogawala che lavora presso il Departimento di Neurochirurgica, Tufts University School of Medicine (Boston) e il Lahey Hospital and Medical Center (Burlington), opterebbe senz’altro per l’intervento chirurgico.
I risultati dello
Spine Patient Outcomes Research Trial (SPORT), uno studio randomizzato, controllato, nonostante le grandi limitazioni interpretative (dovute al fatto che solo metà dei pazienti randomizzati al gruppo chirurgico sono stati effettivamente sottoposti all’intervento entro 3 mesi dall’arruolamento e il 30% del gruppo ‘terapia medica’ ha scelto di farsi operare ad un certo punto dello studio), evidenziano che i soggetti sottoposti ad intervento hanno presentato un più netto miglioramento negli
outcome riferiti dal paziente; la microdiscectomia è risultata superiore al trattamento non chirurgico (terapia fisica, iniezioni epidurali di glucocorticoidi, FANS) a 3 mesi, a 1 anno e a 2 anni.
Lo studio SPORT insomma - secondo Ghogawala - nel caso presentato dal NEJM supporterebbe senz’altro il ricorso alla microdiscectomia. Secondo le linee guida della
North American Spine Society inoltre il ricorso alla terapia fisica nel caso delle ernie lombari non è supportato da solide evidenze scientifiche. E’ invece provato che le infiltrazioni di glucocorticoidi epidurali transforaminali possono dare un sollievo a breve termine (un mese) dalla sintomatologia dolorosa. Ma anche i risultati di uno studio olandese del 2007 di Peul e colleghi – ricorda lo specialista - suggeriscono che il ricorso all’intervento chirurgico in fase precoce, cioè dopo 6-12 settimane dall’inizio del dolore costituisce il trattamento più risolutivo e quello che consente di tornare prima all’attività lavorativa.
“E se è pur vero che molti dei pazienti con ernia del disco tendono a mostrare un miglioramento spontaneo nell’arco di qualche mese – conclude lo specialista - di certo l’intervento chirurgico offre un sollievo rapido e immediato rimuovendo la compressione radicolare”.
Terapia non chirurgica. Di parere opposto è
James N. Weinstein, del Dartmouth–Hitchcock Medical Center, Lebanon (USA).
Il caso presentato dal giornale – fa notare lo specialista – può essere interpretato come dolore meccanico o radiculopatia. Ma la radiculopatia classica derivante dalla compressione di una radice lombare causa un dolore che si irradia distalmente al ginocchio e si associa a deficit di forza o a parestesie nei rispettivi miotomi e dermatomi. Secondo lo specialista nei casi con questa presentazione il ricorso all’intervento spesso non risulta efficace.
Per quanto riguarda la terapia medica, il pregabalin su questo paziente non ha funzionato. Studi condotti in passato su casi analoghi a quelli del paziente considerato - ricorda Weinstein - hanno dimostrato che oltre l’80% dei casi trattati con fisioterapia va bene. Di conseguenza il consiglio che lui darebbe a questo paziente è di sottoporsi ad un ciclo di fisioterapia e di FANS o di considerare l’eventualità di una infiltrazione epidurale lombare con cortisonici. L’insieme di questi trattamenti e la storia naturale benigna di questa condizione dovrebbero produrre un progressivo miglioramento dei sintomi e consentire così di evitare l’intervento o di lasciarlo come ultima spiaggia.
Uno studio randomizzato sul pregabalin nella lombosciatalgia. Sullo stesso numero del NEJM viene pubblicato lo studio australiano
PRECISE, che è andato a valutare l’utilità del pregabalin (farmaco usato con successo in alcuni tipi di dolore neuropatico) nel ridurre l’intensità della sciatalgia. Il trial randomizzato, in doppio cieco, controllato versus placebo, ha arruolato 209 pazienti con sciatica, assegnandone 108 al trattamento con pregabalin 150 mg/die (con possibilità di titolazione in alto, fino a 600 mg/die) e 101 al placebo per un massimo di 8 settimane. Endpoint primario era la riduzione dell’intensità del dolore alla gamba, valutata su una scala analogica da 0 (assenza di dolore) a 10 (massima intensità) all’ottava settimana e dopo 52 settimane.
Dopo 8 settimane il punteggio medio sulla scala del dolore era di 3,7 nel gruppo pregabalin e 3,1 nel gruppo di controllo. Dopo 52 settimane i valori rispettivi nei due gruppi erano 3,4 e 3,0. Gli eventi indesiderati registrati sono stati 227 nel gruppo di trattamento attivo e 124 nel gruppo di controllo. Gli effetti indesiderati più frequente da pregabalin sono stati capogiri e sonnolenza.
Stephanie Mathieson del
George Institute for Global Health and Sydney Medical School (Australia) e colleghi concludono dunque che il pregabalin in questo studio non è stato in grado di ridurre in maniera significativa l’intensità del dolore alla gamba dovuto alla sciatica rispetto al placebo. L’incidenza degli effetti indesiderati è risultata inoltre molto più elevata nei pazienti trattati con pregabalin.
Maria Rita Montebelli