La ricerca di un farmaco contro la pandemia dell’obesità si gioca ormai al tavolo della genetica. Un sofisticato studio di
microarray pubblicato su
Science Translational Medicine che è andato a confrontare l’espressione di una serie di geni all’interno di tessuti importanti sul piano metabolico di topi ob/ob e C57BL/6 ha consentito di scoprire che le concentrazioni di GDF15 (noto anche come MIC-1,
circulating macrophage inhibitory cytokine 1) sono aumentate nei topi, nei ratti e negli umani obesi. Successive ricerche hanno dimostrato che il trattamento con GDF15 ricombinante riduce la fame, l’assunzione di cibo e migliora il profilo metabolico in una serie di modelli sperimentali animali (topi, ratti, scimmie).
La proteina dei ‘magri’. Che il GDF15, un lontano parente della superfamiglia del
transforming growth factor-beta (TGF-β), fosse un promettente target anti-obesità (oltre ad essere stato implicato in vari campi, dalla cachessia neoplastica, allo scompenso cardiaco, all’insufficienza renale, all’aterosclerosi e al metabolismo) in realtà si sospettava da tempo: il vero problema era come prolungare l’emivita di questa proteina per renderla un vero e proprio farmaco anti-obesità.
Sono diverse in questo momento le aziende farmaceutiche che stanno lavorando a questo punto; una di queste ha risolto la questione creando delle proteine ibride, attraverso l’attacco di un frammento anticorpale al GDF15 (proteine GDF15-Fc fusion). La somministrazione del nuovo prodotto alle scimmie obese ha prodotto una riduzione del 40% dell’introito calorico, che ha fatto perdere a questi stretti parenti dell’uomo il 10% del loro peso iniziale nell’arco di 6 settimane. E a risentirne favorevolmente è stato anche il metabolismo glucidico.
Trattamenti anti-obesità a confronto. Per apprezzare la potenza di questo nuovo candidato farmaco, basti pensare che i 5 trattamenti anti-obesità FDA-
approved, consentono di perdere dal 7 al 12% in media del peso iniziale ma nell’arco di un anno e che la chirurgia bariatrica, fa perdere dal 20 al 30% del peso iniziale nel corso del primo anno dall’intervento, ma ha costi elevati e non è scevra di complicanze.
Non è possibile al momento stabilire se questa proteina ibrida anti-fame e anti-obesità sia priva di effetti collaterali; per questo bisognerà naturalmente attendere i primi studi sull’uomo. Ma da quanto visto finora sul modello animale, non sembrerebbe indurre importanti effetti indesiderati.
Il funzionamento. Le proteine ibride GDF15-Fc fusion, una volta iniettate si legano ai neuroni presenti a livello dell’apparato gastro-intestinale (il GDF15 ha dunque un ruolo di mediatore importante nel cosiddetto
gut-brain axis), che inviano segnali all’area postrema del cervello, a sua volta implicata nel controllo dell’appetito e nella regolazione dei gusti alimentari. I topi ai quali è stata somministrato questo candidato farmaco hanno mostrato un rallentato svuotamento gastrico (il cibo permaneva nello stomaco il doppio del tempo normale), che aumentava il loro senso di sazietà; ma la proteina taglia-fame era anche in grado di modificare le loro preferenze alimentari, facendoli virare verso scelte alimentari più salutari.
Un futuro farmaco anti-obesità?Che la strada imboccata dalla ricerca sia quella giusta, lo dimostra anche il grande interesse rispetto a questa proteina di almeno 5 aziende farmaceutiche che negli ultimi mesi hanno pubblicato su importanti riviste scientifiche una serie di lavori sul
pathway del GDF-15. Alcuni di questi studi hanno dimostrato che il GDF15 si lega anche con elevata affinità ad un particolare recettore orfano, il GFRAL presente nei neuroni dell’area postrema e nel nucleo del tratto solitario nei topi e nell’uomo; la delezione genetica di questo recettore cancella la capacità del GDF15 di ridurre l’appetito e il peso nei topi. Anche il GFRAL insomma è un importante regolatore del peso corporeo, mediando gli effetti metabolici del GDF15.
Maria Rita Montebelli