toggle menu
QS Edizioni - domenica 5 maggio 2024

Scienza e Farmaci

Depressione. Eventi traumatici nell’infanzia possono scatenare la malattia

immagine 8 gennaio - Uno studio che ha coinvolto anche ricercatori italiani ha identificato un gruppo di geni che può predisporre allo sviluppo della malattia. Che necessita comunque di fattori ambientali per manifestarsi.
Fattori ambientali, in particolare eventi stressanti e traumatici vissuti durante i primi anni di vita, possano interagire con le caratteristiche genetiche individuali favorendo la comparsa della depressione. È quanto emerge da uno studio pubblicato su Molecular Psychiatry, rivista del gruppo Nature.

“Nel nostro studio al fine di identificare nuovi geni di vulnerabilità abbiamo condotto un nuovo approccio dove abbiamo intrecciato dati provenienti da diversi tessuti, da modelli preclinici e da studi in corti cliniche”, illustra la prima firmataria della ricerca, Annamaria Cattaneo dell’Irccs Fatebenefratelli S. Giovanni di Dio di Brescia . “Abbiamo quindi identificato un network di nuovi geni, coinvolti in processi di infiammazione e di risposta allo stress come possibili geni di vulnerabilità per la depressione. Il risultato più interessante è stato quando abbiamo osservato, in due diverse corti cliniche (un corte americana di pazienti con depressione ed esposti ad eventi traumatici e una corte norvegese di soggetti adulti che durante l’adolescenza erano stati separati dai genitori a causa della seconda guerra mondiale) che individui con determinate varianti geniche in questi geni, se esposti ad eventi stressanti durante l’adolescenza, erano quei soggetti che avevano sviluppato sintomi depressivi in età adulta”.

“Il nostro studio sottolinea l’importanza di comprendere i meccanismi mediante i quali una predisposizione genetica (intesa sia come predisposizione al rischio o alla resilienza/protezione) possa interagire con eventi ambientali avversi, ed esercitare un effetto a lungo termine che viene poi smascherato in età adulta, con la manifestazione della malattia”, aggiunge la ricercatrice. “Questo contribuirà non solo ad una migliore comprensione di come i nostri geni interagiscono con l’ambiente esterno, ma porterà anche all’identificazione di soggetti più a rischio, e anche di nuovi bersagli utili per lo sviluppo di nuovi farmaci, che se somministrati in via preventiva, potrebbero essere utili per minimizzare il rischio di sviluppare questa patologia”.
 
8 gennaio 2018
© QS Edizioni - Riproduzione riservata