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QS Edizioni - venerdì 3 maggio 2024

Scienza e Farmaci

Un utero artificiale per scoprire i segreti dello sviluppo embrionale

immagine 9 marzo - Una cavità morbida in cui far sviluppare le blastocisti fino ad uno stadio mai osservato prima al di fuori del grembo materno. Così da scoprire tutto quello che ancora non si sa delle prime fasi della crescita dell’embrione. L’utero artificiale è stato realizzato dall’Università di Nottingham.
Un dispositivo capace di comportarsi come l’utero di una donna, tanto che al suo interno si può sviluppare un embrione nelle prime fasi della crescita. È ‘solo’ una sorta di recipiente di un polimero morbido, eppure potrebbe aiutare i ricercatori dell’Università di Nottingham che l’hanno realizzato a comprendere i segreti dei primi momenti in cui si sviluppa quel piccolo raggruppamento di cellule che potrebbe poi diventare un feto. A parlarne uno studio pubblicato su Nature Communications.
 
L’innovativo ambiente di coltura delle cellule, ha infatti permesso ai ricercatori di osservare dei momenti critici dello sviluppo embrionale, mai visti prima. Per la prima volta è stato possibile far crescere questi organismi, ancora ben lontani dallo status di feto, fuori dal corpo materno, usando un modello murino. Gli scienziati hanno condotto la coltura fino all’ottavo giorno di crescita, in uno stadio che è cruciale nello sviluppo dell’embrione. “Nessuno aveva mai potuto osservare così attentamente il comportamento delle cellule in questa fase”, ha spiegato Kevin Shakesheff, ricercatore in ingegneria dei tessuti che ha coordinato il team. “Con un metodo di questo genere speriamo di essere presto in grado di scoprire tutti i segreti che potrebbero aiutarci nelle terapie e nella pratica clinica, soprattutto in quei campi, come le tecniche di procreazione medicalmente assistita, che interessano sempre più donne e che ancora sono tutt’altro che perfette”.
Finora infatti era possibile osservare le colture fuori dall’utero solo fino a quattro giorni dopo la fertilizzazione, ovvero fino a quando la singola cellula si divideva fino a formare una blastoticisti, un gruppo di 64 unità biologiche che una volta impiantati nell’utero materno potrebbero dare vita all’embrione e alla placenta. Dopo i primi quattro giorni, per sopravvivere l’organismo ha bisogno di attecchire nell’organo della madre, dunque la conoscenza degli scienziati delle fasi successive era limitata, poiché non poteva essere osservata direttamente.
 
L’utero artificiale costruito dall’Università di Nottigham potrebbe invece fornire ai ricercatori la possibilità di seguire più a lungo la crescita dell’organismo. Tanto che alcuni scienziati dell’Università di Cambridge hanno già cominciato ad usare l’ambiente di coltura per i loro esperimenti ottenendo i primi risultati. In particolare i biologi hanno osservato il primo step che porta alla formazione della testa, ovvero una fase della divisione cellulare in cui alcune unità biologiche si muovono all’interno dell’embrione per raggrupparsi nel luogo in cui si svilupperà la testa. Per seguire questo movimento, i ricercatori hanno usato un marker fluorescente che permetteva di identificare solo le cellule che sarebbero andate a formare la testa.
In questo modo gli scienziati sono riusciti a capire che queste unità biologiche derivano solo da una o due cellule delle blastocisti, la cui progenie forma un grappolo in una parte specifica dell’embrione prima di spostarsi collettivamente verso il luogo dove si svilupperà la testa. Le cellule che guidano questa migrazione sembrano avere un ruolo predominante rispetto alle altre e agire come dei veri e propri pionieri.
“Ci sono molte altre cose che potremmo ancora scoprire”, ha concluso Shakesheff. “Tutto questo potrebbe non essere utile solo per lo sviluppo di nuove tecniche di procreazione medicalmente assistita, o per migliorare quelle già esistenti. Ma potrebbe forse darci informazioni importanti su come si sviluppa l’organismo, e dunque aiutarci a sintetizzare farmaci sempre più efficaci. O addirittura, in futuro, a invertire la nascita di malattie o difetti – ad esempio cardiaci – che oggi non sappiamo curare”.
 
Laura Berardi
9 marzo 2012
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