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QS Edizioni - martedì 30 aprile 2024

Studi e Analisi

Forum “180”. Un nuovo libro per “riaprire” finalmente la discussione sulla salute mentale

di Ivan Cavicchi
immagine 29 settembre - Si intitola “Oltre la 180” e ha lo scopo principale di “aprire” o, se preferite,  “riaprire”, la discussione sulla salute mentale. Prima di tutto perché le cose, in questo settore importante della sanità pubblica,  vanno male. Questo libro, a fronte di una prospettiva negativa, propone di definire una “contro prospettiva  positiva”, con lo scopo pratico di liberare, la barca, dalle secche in cui è arenata da anni

Scopo primario di questo nuovo forum ospitato da Quotidiano Sanità è di quello di aprire, o se preferite “riaprire”, la discussione sulla salute mentale, a partire dal mio ultimo libro “Oltre la 180” appena uscito nelle librerie italiane.

Le cose, in questo settore importante della sanità pubblica,  vanno male, perché:

  • i suoi operatori sono in crisi , spesso scoraggiati,
  • i servizi abbandonati a se stessi
  • questa società in tema di salute mentale vuole di più e altro
  • il rischio politico di una sua involuzione  culturale e politica , non può essere escluso.

Questo libro, a fronte di una prospettiva negativa, propone di definire una “contro prospettiva  positiva”, con lo scopo pratico di liberare, la barca,  dalle secche in cui  è arenata da anni.

Per il disincaglio le operazioni che servono sono sintetizzate nei punti che seguiranno.

Fare solo apologia non è più ragionevole
La prima operazione  la definirei “anti apologetica”.

Se oggi  le cose vanno male l’apologia intesa come difesa acritica dei valori pur restando un argomento  importante, non basta più. Oggi serve pragmaticamente un nuovo pensiero ma solo perché i valori che difendiamo hanno a che fare con un grado enorme di complessità e quindi, essi, anche per essere solo confermati, andrebbero continuamenti ricontestualizzati e reinventati.

Una contro-prospettiva non si costruisce sull’apologia ma sulla critica e sul progetto.

Semplificare è troppo semplice
La seconda la definirei “anti riduzionista”.

Piuttosto che fare riferimento alla ben nota contraddizione  tra “salute mentale   risorse  e organizzazione”, che sia chiaro  è innegabile, e che però ci obbliga a pensare i problemi della salute mentale solo come relativi a certi ostacoli e non altri, si tratta di allargare l’approccio.

Dietro  la “crisi della salute mentale” vi è, oggettivamente, una moltitudine  di influenze, di contraddizioni, di ritardi, di complicazioni, di inadempienze. Per usare una vecchia espressione, essa nasce da  almeno “cento albumi” cioè ha tanti padri. Ma se è così allora è sbagliato analizzarla  ,come si è fatto sino ad ora,  prevalentemente  pensando che il suo  artefice sia uno ed unico. Il che spariglia i soliti ragionamenti lineari. 

Chiamando in ballo  Althusser, principio di “sur determinazione”, oggi si dovrebbe dire che nella salute mentale i problemi strutturali (economici) hanno la stessa importanza e lo stesso peso di quelli “sovrastrutturali” (culturali). La sovrastruttura culturale ,  nella salute mentale ha un gran peso e una grande autonomia. Ma fino ad  ora, nella discussione pubblica, essa è stata prevalentemente ignorata. Cioè  fino ad ora la cd “sovrastruttura” è stata considerata a priori invariante. Ininfluente. Cioè non è stata considerata un problema. Oggi sappiamo benissimo che la crisi non solo  è figlia di 100 albumi ma è chiaramente sur-determinata. Se è così perché negarlo?

I concetti e le spiegazioni
La terza operazione è una proposta di ri-concettualizzazione.

Cioè una riforma delle spiegazioni. Spiegare è rappresentare una realtà  con dei concetti. I concetti hanno lo scopo di  circoscrivere la realtà da conoscere. Tutta la crisi della salute mentale in questi anni è stata spiegata con certi concetti  e non con altri. Anzi gli altri concetti sono stati rifiutati. Spesso sdegnosamente. Perché?

Ma oggi , la spiegazione, deve essere libera di spiegare  la realtà con i concetti più adeguati perché oggi abbiamo bisogno di capire  i fenomeni che ci riguardano in tutta la loro estensione e in tutta la loro complessità e multiformità.

In sostanza ai concetti vanno tolti  i “paraocchi” perché, è fuori di dubbio, che fino ad ora, per ragioni per lo più ideologiche, i paraocchi sono stati  come se fossero obbligatori proprio come il casco per andare in moto.

Le contraddizioni sono innegabili è inutile negarlo
La  quarta operazione è certamente “anti negazionista”.

Si tratta di smetterla di nascondere le nostre  contraddizioni e apparire per quello che non si è.

Ricordo che, per Marx ma anche per Gramsci, la contraddizione è ciò che si oppone alla realizzazione delle idee. Parte del libro  è dedicato  allo studio delle principali contraddizioni della salute mentale perché non si può pensare di risolvere la sua crisi  a contraddizioni invarianti. Il PNRR ha fatto esattamente il contrario.

Le contraddizioni sono tante : quelle tra ideologia e scienza,  tra psichiatria e medicina,  tra cura e pratica ,tra diverse concezioni di cura, quelle che contrappongono il biologico al sociale, quelle che riducono la cura a politica, quindi la medicina  a “badantato” , quelle che rifiutano le evidenze scientifiche , quelle che contrappongono ancora oggi l’università al territorio, quelle che incuranti del rischio di arbitrio consentono agli operatori  di agire non secondo il bisogno del malato ma secondo le loro  preferenze ideologiche e epistemiche  , quelle che fraintendono il concetto di territorio , quelle ancora che considerano il DSM un “insieme” di strutture ambulatoriali e non un “sistema” di relazioni  tra prassi tra loro interconnesse.  Quelle pesanti tra assistenza pubblica e assistenza privata, tra anti-manicomialità e neo-manicomialità.

Dai servizi…. agli operatori… alle prassi… alle modalità
La quinta operazione è quella “anti-burocratica” cioè si tratta di andare oltre il solito discorso sui servizi per occuparci di prassi  di professioni di soggetti.

Fino ad ora la discussione pubblica si è occupata molto dei problemi dei servizi, molto poco dei problemi delle prassi e degli operatori, per niente della grande questione delle modalità operative cioè del problema epistemico dei modi di conoscere.

Oggi  anziché puntare  sui servizi come “cose” e riempire i documenti nazionali con i problemi delle  “cose”  sapendo che le “cose” sono per altro definite in modo burocratico, si tratta di puntare sugli operatori come soggetti di cambiamento e nei   documenti pubblici  dare spazio ai problemi dei soggetti che lavorano, al fine di creare a favore dei malati  le condizioni più favorevoli  perché essi garantiscano le migliori prassi.

Ribaltiamo il ragionamento:  si parta  dalle prassi per definire il servizio perché il servizio se è definito a prassi assenti, cioè  se le prassi non sono desunte dalle complessità del malato (contesto incluso), ma  “sussunte” solo da regole formali, diventa nulla di più di un simulacro burocratico.

Provocazioni …ma mica tanto
Alcune tesi di questo libro, da “qualcuno” potrebbero essere  interpretate per delle provocazioni. Ma proporre di riflettere senza ipocrisie su come disincagliare la barca  non può essere considerato una provocazione.

Mi riferisco ad esempio al capitolo:

  • sul “pensiero unico” cioè a questo strano accozzo tra ideologia anti psichiatria e istituzione pubblica una specie di inutile consociativismo che, considerando tutto, non ci ha fatto fare nessun passo in avanti a parte produrre cose inutili come una doppia 180;
  • sul “cane morto” cioè a questa incredibile schizofrenia che separa la formazione universitaria degli psichiatri dalla pratica dei servizi e che considera l’esperienza di Basaglia incompatibile con  l’insegnamento universitario e con quello delle scuole di specializzazione;
  • sul “contro-riformismo indiretto” causato involontariamente proprio dal prevalere dell’ideologia sul lavoro critico;
  • sulla “regressività culturale” della salute mentale questione del tutto assente dalle  famose conferenze nazionali;
  • sul “caravan serraglio” rappresentato dai tanti tipi di psichiatri che operano nei servizi come se fosse impossibile definire quale psichiatra, rispetto ai malati, serva in questa società;
  • sull’ostilità storica di certa psichiatria nei confronti della psicoanalisi e nei confronti delle “tecniche psy” come venivano chiamate una volta, quindi sui problemi di difficile convivenza tra psichiatria e psicoterapia;
  • sulla privatizzazione sempre più estesa di forme subdole di manicomialità.

La sinfonia incompiuta
Il  ragionamento strategico di fondo del mio libro è già nel titolo: “oltre la 180”.

La legge 180,  neanche a dirlo resta una conquista fondamentale che non si può che difendere e ribadire, ringraziando il cielo e la storia di averci regalato un riformatore del calibro di Basaglia, e migliaia di “riformatori”  sul campo  autentici sperimentatori che con i loro sforzi  hanno fatto vivere in questi anni come hanno potuto  la sua riforma ( un vero esempio di  crowdsourcing).

Ma la 180 oggi si presenta  innegabilmente come una “sinfonia incompiuta” che oltretutto,  a causa degli enormi cambiamenti che sono intervenuti in questi anni , per essere finita merita,  a valori fondamentali invariati, di essere quasi reinventata nelle complessità enormi del nostro tempo.

Basaglia ha fatto al meglio la sua parte però ora, se vogliamo continuare sulla sua  strada  e andare avanti,  tocca a noi fare la nostra.

Equilibri, sostenibilità, salute
La metafora “dell’equilibrista”  che propongo  nel libro è quella di un nuovo operatore  della salute mentale al quale questa società affida , nei limiti del possibile e del ragionevole, l’incarico  tutt’altro che burocratico di prendersi cura degli “equilibri” delle persone.

Quindi il compito di produrre sostenibilità. Così oggi si chiama la cura degli equilibri. Gli “equilibristi” della salute mentale non sono funamboli  ma sono ”esperti di equilibri ” cioè “produttori di sostenibilità” individuale e sociale. Sono coloro che aiutano le persone in difficoltà a camminare sulla corda delle loro ondeggianti esistenze. Oggi quindi sarebbe meglio  anziché parlare di “salute mentale”  (per fortuna non parliamo più di “igiene mentale”) parlare di equilibri e di sostenibilità quale salute. Senza equilibri  non ci può essere  salute  mentale. Per questo gli equilibristi, in questa società, sono destinati a diventare sempre più importanti.

Il rischio di dimenticare Basaglia
Se diventeremo dei bravi  “equilibristi”  in futuro non ci sarà alcun bisogno di riaprire i manicomi  e Basaglia  avrà vinto definitivamente la sua battaglia. Ma se  non lo diventeremo , perché resteremo intrappolati  nelle  gabbie delle apologie,  dei riduzionismi ,nei  vecchi  concetti ,nelle nostre contraddizioni  e nelle nostre burocrazie, Basaglia sarà dimenticato.

Sta già avvenendo e proprio nei servizi.

Oggi dimenticare Basaglia sarebbe sul serio un bel problema .Ma lo sarebbe anche restare fermi al suo pensiero. “Oltre la 180” vuol dire proprio questo.

Ivan Cavicchi

29 settembre 2022
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