“L’agognata ripartenza del Paese si concretizza con una giravolta normativa senza precedenti nella storia della Repubblica: il DL 16 maggio 2020 n. 33 (art. 1, comma 16) demanda interamente alle Regioni la responsabilità del monitoraggio epidemiologico e delle conseguenti azioni, con il Ministero della Salute che rimane spettatore passivo da informare sui dati e sulle eventuali azioni intraprese dai governatori. Secondo il nuovo decreto spetta infatti a ciascuna Regione in totale autonomia monitorare lasituazione epidemiologica nel proprio territorio, valutare le condizioni di adeguatezza del proprio sistema sanitario e introdurre misure in deroga, ampliative o restrittive, rispetto a quelle nazionali”, è quanto sostiene in una nota la Fondazione Gimbe.
“L’emergenza coronavirus – afferma il presidente
Nino Cartabellotta – e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la ‘competizione’ tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. Questo decentramento decisionale dimostra che, sulla tutela della salute, dalla leale collaborazione Stato-Regioni siamo passati ad una ‘ritirata’ del Governo al fine di prevenire conflitti con le Regioni”.
Secondo Gimbe “la decisionedi affidare alle Regioni unatotale autonomia sul monitoraggio dell’epidemia e sulle conseguenti azioni da intraprendere avviene in un contesto molto incerto e poco rassicurante” per quanto riguarda il monitoraggio dell’epidemia come dimostrano i risultati controversi del primo
Report di Monitoraggio della Fase 2 di ministero e Iss.
Inoltre, “l’impatto sulla curva dei contagi di qualsiasi intervento di allentamento del lockdown può essere misurato solo 14 giorni dopo il suo avvio: in altri termini, le conseguenze delle riaperture del 4 maggio possono essere valutate solo a partire dal 18 maggio e quelle del 18 maggio lo saranno non prima del 1° giugno”.
Secondo Gimbe, poi, “a fronte di linee guida elaborate da Governo e Regioni per la riapertura delle attività produttive e sociali, non esiste una strategia sanitaria nazionale ma solo variabili orientamenti regionali variabili per bilanciare tutela della salute e rilancio dell’economia”.
E in proposito Gimbe cita la difformità tra regioni in termini di tamponi effettuati, il fatto che l’indagine siero-epidemiologica nazionale sia partita in grande ritardo e le diseguaglianze regionali ancora pressenti anche nell’assistenza.
“È evidente che le decisioni sulle riaperture– conclude Cartabellotta – hanno anteposto gli interessi economici del Paese alla tutela della salute. Tuttavia la dichiarazione del Premier Conte secondo cui si tratta di un rischio calcolato è smentita dall’impossibilità stessa di calcolarlo, perché la gestione e il monitoraggio dell’epidemia sono affidati a 21 diversi sistemi sanitari che decideranno in totale autonomia ampliamenti e restrizioni delle misure in base ad una situazione epidemiologica autocertificata. La storia insegna che non è sano quando controllore e controllato coincidono”.