toggle menu
QS Edizioni - domenica 19 maggio 2024

Lettere al Direttore

La Cgil e la "Responsabilità professionale". Una proposta che non convince

di Arnaldo Capozzi
14 marzo - Gentile Direttore,
nella “Proposta sulla Responsabilità professionale per il tavolo tecnico OOSS-Ministero della Salute” della CGIL leggiamo della necessità di prevedere gare regionali per un contratto assicurativo unico valido su tutto il territorio, dell’importanza  della partecipazione delle organizzazioni sindacali al percorso di definizione dei contratti assicurativi da parte delle aziende insieme al  broker e dell’importanza di obbligare le Asl a farsi carico di stipulare contratti per la copertura della colpa grave dei propri dirigenti ed operatori.

Mi chiedo se sia sufficientemente chiaro il rapporto tra la categoria dei medici e le società assicurative ovviamente qui, sulla terra. Non parlo dell’aumento pari a venti volte della mia rata assicurativa professionale documentato in questi ultimi anni così come quello della rata di molti altri Colleghi,  ma, ad esempio, dei recenti fatti che hanno coinvolto un’importante società assicurativa nazionale nota per l’attività in campo sanitario e che attualmente si trova sull’orlo del fallimento. Tralasciando le problematiche dei numerosi dipendenti di questa compagnia, faccio presente che molte Asl erano coperte dalle sue polizze e che, in questi casi, il singolo assicurato (ad esempio medico) dovrà risarcire in prima persona il danno, se condannato, per  poi sperare di riuscire a recuperare con l’azione del commissario liquidatore della compagnia.
Per quale motivo ritenere le agenzie assicurative áncora di salvezza quando le continue procedure giudiziali comportano inevitabilmente  una loro potenziale sofferenza e insostenibilità?

Nelle proposte sindacali è, inoltre, palesemente assente una politica orientata a concludere le controversie nella loro sede di appartenenza (Ordine professionale) al fine di arrestare il loro viaggio verso il tribunale.
Onore, quindi, al legislatore che con il D.Lgs.C.P.S.13.09.1946 n.233 art.3, lett.g.  riteneva che nel controllo deontologico del comportamento dei sanitari  si potevano celare le giuste modalità per far emergere leggerezze colpevoli  di eccessi di procedimenti risarcitori.
Non conclusioni  tecnico-giuridico-scientifiche  ma controllo in grado di porre una rapida distinzione tra le perizie con timbro deontologico da quelle senza.

Pur non conoscendo gli effetti nefasti della Medicina Difensiva, il legislatore era ben conscio della necessità di porre argini ai contenziosi e per questo istituì  l’Ordine professionale con funzione di interposizione. Nella mia precedente lettera  “Medicina difensiva. Un decreto dimenticato”  ponevo l’accento sull’interposizione fra medico chiamato in causa e perito medico-legale su richiesta del primo secondo il decreto del 1946, perché, nel caso di perizie firmate, è conclusa  la fase preliminare verbale tra medico e paziente e ne deriva naturale il controllo deontologico delle perizie così come per ogni atto professionale.
Nella “proposta sulla Responsabilità Professionale” della CGIL leggiamo della necessità che venga superato l'attuale meccanismo dei consulenti tecnici d'ufficio scelti in modo arbitrario e  della necessità di istituire albi specialistici con l'obbligo per la magistratura di consultare gli specialisti appropriati per quel determinato caso.
L’art. 62 del Codice Deontologico afferma, in tema di perizie medico-legali, che: ” … L’accettazione di un incarico  deve essere subordinata alla sussistenza di un’adeguata competenza medico-legale e scientifica in modo da soddisfare le esigenze giuridiche attinenti al caso in esame”. In altre parole, sarebbe sufficiente far rispettare il Codice Deontologico il quale, tra l’altro, non lascia nulla al caso: “… L’espletamento di prestazioni medico-legali non conformi alle disposizioni di cui ai commi precedenti costituisce, oltre che illecito sanzionato da norme di legge, una condotta lesiva del decoro professionale” (sempre art. 62).

Nella sua “Proposta” il sindacato parla di un tetto ai risarcimenti civili. Vorrei far presente che nel caso (auspicabile) ciò divenisse legge, comunque sarebbe inficiato dall’aumento del numero delle cause che  il mediatore civile, secondo il D.lgs 28/2010,  inevitabilmente comporterà (vedi precedente lettera). Aggiungendo che il tavolo delle trattative del mediatore civile nasce, oggi, in qualche modo, drogato, poiché, come noto, le pratiche in campo sanitario sono spesso inquadrabili tra quelle frivole, in cui “la salute non c’entra nulla, si tratta di tentativi di arricchimento” (dott. Carlo Nordio, Procuratore della Repubblica, Venezia), risulta ancor più evidente l’azione positiva del decreto del 1946 nel suo tentativo di arginare gli eccessi di procedimenti in sanità. Agendo direttamente sulle gambe del perito, irrigidendole sul Codice Deontologico, il decreto agisce conseguentemente sul paziente eccessivamente e sospettosamente lamentoso nonché sull’eccesso di richieste da parte dell’avvocato.
Nelle cause con perizie ben stilate, deontologicamente corrette, cioè quelle che lo stesso decreto in oggetto protegge, il ruolo del mediatore secondo il D.lgs 28/2010 potrà essere  effettivamente prezioso perché le carte in tavola sono in regola. In un ambiente più sereno anche le assicurazioni potranno svolgere il loro compito in libera concorrenza sempre, ovviamente, sotto  auspicabile controllo democratico.
Cosa rimarrà della contenziosità in medicina se si annulleranno le perizie senza sicure e forti basi scientifiche (deontologicamente opinabili) e se si annulleranno le perizie senza quel grado di competenza richiesto dall’art.62 del Codice Deontologico?
Forse è bene considerare la Medicina Difensiva una patologia generazionale e chiedere consiglio a chi ci ha preceduto. Sperando di non consegnarla alla generazione successiva.

Dott. Arnaldo Capozzi
14 marzo 2012
© QS Edizioni - Riproduzione riservata