Studi e Analisi
“Duri i banchi”, per salvare il Ssn!
di Filippo PalumboDuri i banchi è una forte espressione veneziana che è traducibile nell’invito, rivolto a tutti, a tener duro e a non mollare di fronte ad un quadro di difficoltà che potrebbe travolgerci. Duri i banchi è un adattamento avutosi nel tempo della sequenza di parole “duri ai banchi” che nel periodo della Serenissima, durante gli scontri sul mare, erano lanciate come un ordine ai rematori delle galee veneziane nell’imminenza di uno scontro con le imbarcazioni nemiche. Occorreva che ciascun rematore e, quindi, tutta la squadra dei rematori mantenesse il controllo dei remi e si tenesse ben agganciato alle panche per meglio reggere l’impatto dello scontro con le navi nemiche.
Il ricordo dell’esortazione secca Duri i banchi ci può far capire l’importanza della partita che si sta giocando: il rilancio del nostro SSN. Rilancio necessario per reggere l’impatto non solo con le nuove sfide epidemiologiche e assistenziali, ma anche con forze che, pur riconoscendo la finalità pubblica del servizio sanitario, si candidano ad un ruolo alternativo o competitivo rispetto alle strutture pubbliche del SSN.
Per non cadere nella retorica, occorre essere consapevoli del perché oggi è necessario ri-formare la organizzazione sanitaria della Repubblica, organizzazione de-formata da scelte e avvenimenti di impatto sistemico negativo. Usiamo l’aggettivo deformato per posizionare l’assetto attuale del SSN rispetto alle sue caratteristiche fondamentali, come definite dalla legge 833/1978 e riconfermate, pur con forti problematicità, dalle leggi e decreti legislativi successivi, del 1992, del 1999, del 2012.
Oggi, ad avvenuta approvazione del DEF e della conseguente legge di bilancio 2023, le carte sul tavolo sono scoperte.Il primo problema è la mancanza di un’ aggiornata programmazione sanitaria nazionale integrata che in modo contestuale e sinergico proietti in una visione nazionale il tema dell’organizzazione sanitaria in ambito ospedaliero, distrettuale e preventivo, definendo anche modalità operative, tecniche ed amministrative per assicurare la necessaria integrazione all’interno di ciascuno dei tre ambiti sanitari, e poi tra gli stessi e poi ancora con i settori del sociale e della salvaguardia dell’ambiente. La mancanza di tale programmazione rende sempre più debole il ruolo del Ministero della salute, mentre la guida di questi settori sembra essere stata trasferita (ma chi lo ha deciso? e perché? ) ai Ministeri del lavoro e dell’ambiente.
Quella che va segnalata è la mancanza di una visione capace di gettare un ponte tra:
- le grandi strategie o le impostazioni generali riconducibili a programmi sovranazionali e intersettoriali
- le emergenti richieste di sviluppare in ogni parte del Paese specifiche iniziative di prevenzione di dimostrata efficacia o di presa in carico di piccole e grandi domande di cura e assistenza o di realizzazione di quelli che, anni fa, avremmo chiamato progetti obiettivo e azioni programmate e che ancora faremmo in tempo a integrare in un Piano Sanitario Nazionale (PSN)
Vale la pena evidenziare che solo un PSN potrebbe dare sistematicità, indicare priorità, incentivare sinergie tra i diversi Piani settoriali (Oncologia, Prevenzione, Cronicità, ecc. ecc.) e, in definitiva, fissare l’agenda del SSN.
La seconda tematica prioritaria è quella relativa alla necessità di affrontare e risolvere la questione del sottofinanziamento del SSN. Bisogna partire da quanto è accaduto. Nel decennio scorso si era determinata una situazione per cui ogni anno la spesa per il SSN era cospicuamente più elevata del finanziamento previsto nel bilancio dello Stato fino al 7 per cento annuo. Ma questa maggiore spesa non era riferibile al totale delle regioni, ma ad un gruppo limitato di 6 -7 regioni.
Ogni anno le regioni chiedevano un incremento del FSN per tener dietro al disavanzo complessivo . Quando il maggior finanziamento veniva accordato andava ad integrarsi nel finanziamento complessivo del SSN e quindi confluiva nel FSN che non poteva che essere ripartito con i criteri posti alla base del riparto annuale. Il risultato era che nell’anno successivo un gruppo di regioni beneficiava di un incremento del fondo che era stato deciso per fare fronte alla maggiore spesa registratasi in un gruppo limitato di altre regioni.
Avveniva quindi, che, di anno in anno, nonostante l’incremento del FSN, continuava la situazione per cui:
Per rappresentare questa situazione veniva fatto l’esempio di un secchio che veniva continuamente riempito, ma che avendo un buco sul fondo non garantiva mai tutta l’acqua necessaria. Tutto questo mentre si andava definendo l’avvio dei nuovi assetti e funzioni determinati dalla Riforma della Costituzione del 2001.
Fu dunque deciso che prioritaria era l’esigenza di porre fine a questa inefficiente allocazione delle risorse che si determinava a livello nazionale, vanificando la possibilità che i maggiori finanziamenti annualmente concessi potessero essere risolutivi. Nacque allora la decisione, condivisa su base pattizia, di attivare un percorso di rientro per le regioni in difficolta come condizione necessaria per valutare e disporre maggiori finanziamenti per affrontare la fisiologica crescita di costi per un evoluto servizio sanitario. In definitiva, è stata la forte collaborazione tra il governo nazionale e le regioni che ha consentito di delineare un percorso di razionalizzazione e di revisione della spesa che non ha eguali negli altri settori di spesa pubblica in Italia .
A conferma di quanto sopra sinteticamente ricordato, vi è il dato di fatto della particolare formulazione che è stata utilizzata per la definizione dei costi standard nell’ambito del D.lgs. 68/2011 in materia di federalismo fiscale, per la parte che riguarda i fabbisogni sanitari. Si tratta di un’ impostazione metodologica che è soprattutto finalizzata a superare le situazioni di inefficienza o inadeguatezza (attraverso il raffronto tra le varie regioni), in presenza di un livello del fabbisogno sanitario nazionale (ossia l’insieme delle risorse preordinate per il SSN al cui finanziamento concorre ordinariamente lo Stato) definito mediante interventi normativi e intese tra lo Stato e le regioni, coerentemente con i Livelli Essenziali di Assistenza da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza.
In definitiva , la logica che ha sostenuto questa collaborazione era quella che solo a valle di tale razionalizzazione poteva procedersi ad un adeguamento del finanziamento del SSN, tenuto anche conto dei processi innescati dalla Riforma del titolo V Cost. per la definizione dei costi standard per la erogazione dei LEA.
La Sanità si è comportata in maniera esemplare, come riconosciuto dalla stessa Corte dei conti.
Tuttavia, quando a partire dal 2013 hanno cominciato a funzionare a pieno gli strumenti di regolazione e qualificazione della spesa sanitaria pubblica, si è verificato qualcosa di non previsto: la mancata decisione politica centrale di rifinalizzare a favore del settore sanitario le risorse (o almeno una parte di esse), liberatesi a seguito dei processi di razionalizzazione e affiancamento.
In sostanza in sede di predisposizione e approvazione dei DEF di anno in anno, l’indirizzo politico programmatico, nella definizione dei tendenziali per il settore sanitario, avrebbe dovuto, almeno dal 2015, dare l’indicazione di tener conto non solo dell’effetto, in riduzione della spesa, dell’efficientamento in alcune aree erogative, ma anche della indispensabile espansione della spesa in altre aree erogative che fino ad oggi in molte regioni erano rimaste inattivate e che, proprio per effetto della sollecitazione contenuta nei vari Patti per la salute, finalmente cominciavano ad essere realizzate.
Negli ultimi anni pre-Covid, in mancanza di questo indirizzo, i tendenziali di spesa sono stati definiti scontando integralmente le varie manovre di anno in anno varate. Cioè la scelta di tipo politico programmatico è stata quella di non riallocare nel settore sanitario le risorse liberatesi con i processi di razionalizzazione e con i piani di rientro e di rifinalizzare (direttamente o indirettamente) i relativi importi verso altri settori della spesa pubblica. I dati relativi a questa operazione sono quelli che abbiamo riportato in precedenti contributi su questo quotidiano.
La Corte dei conti (nel Referto, approvato con Delibera n. 19/SEZAUT/2022/FRG, che la Sezione delle Autonomie ha presentato al Parlamento sulla gestione finanziaria 2020-2021 dei servizi sanitari regionali) ha ritenuto di:
- ribadire che dopo un decennio di contenimento della spesa nel settore sanitario nel biennio 2020-2021la spesa sanitaria, interrompendo il trend, è cresciuta mediamente del 5% contro un 1,3% del quadriennio precedente, pur rimanendo tra le più basse in Europa (ad esempio nello stesso biennio l’incremento registrato è stato per il Regno Unito del 20,2%, per la Germania del 9,7% e per la Spagna del 9,5%);
- ricordare che la NaDef 2022 prevede che la spesa sanitaria, dopo essere cresciuta in valori cumulati, nel triennio 2020-2022, di 16,1 miliardi, nel triennio 2023-2025 diminuisca di 4,6 miliardi, riportando l’incidenza sul Pil, nel 2025, al 6,0%, un livello inferiore di due decimi di punto alle previsioni del Def 2022 (6,2%), e di quattro decimi di punto rispetto al 2019 (6,4% del Pil).
Enfatizzando quanto ottenuto dal nostro Paese, cioè buoni risultati di salute a fronte di un livello basso di risorse economiche allocate per gli interventi sanitari pubblici, alcuni studiosi, dopo una comparazione standardizzata con gli altri Paesi europei, per la situazione italiana hanno utilizzato l’espressione “quasi miracolo” (O.C..I.S., Pavolini, https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/la-sanita-italiana-di-fronte-alla-crisi-del-coronavirus/)
Ma i miracoli durano poco ed allora se non si aumentano i finanziamenti per il nostro SSN, continueremo a dover registrare una situazione che ha provocato i seguenti molteplici effetti negativi:
Questa fase straordinaria nascerebbe, dunque, sull’onda forte dell’esigenza non solo di ripristinare un più adeguato importo per finanziare il fabbisogno del SSN per la erogazione uniforme dei LEA ma anche di provvedere ad un riassetto dei tre settori assistenziali (ospedaliero, distrettuale, di sanità pubblica e prevenzione), basato:
Si potrebbe partire anche da una verifica di quanto effettivamente è stato avviato in base alle norme approvate su iniziativa del Ministro della salute negli anni 2012-2013, che ci sembrano le ultime costruite con una logica parziale ma sistemica, peraltro in un momento molto difficile.
Questo approccio generale è necessario in quanto un approccio alternativo – basato sulla rifondazione del sistema conseguita procedendo per singoli (anche se ampi) campi tematici, magari coincidenti con quelli interessati alla realizzazione del PNRR-salute – non sembra funzionare. Ciò anche perché non appare più scontato il presupposto costituito dalla volontà di mantenere unitario l’impianto organizzativo gestionale ed amministrativo della tutela della salute. D’altra parte, l’approccio monotematico anche se progressivo è troppo esposto al rischio di essere condizionato dalla incapacità/non volontà della politica di fare sintesi e dalla sua preferenza ad acquisire consensi su singole questioni, nonostante il rischio di una implosione del sistema.
Ecco allora perché occorre pensare ad una fase straordinaria, la quale peraltro non basta da sola, in quanto, come già ricordato, ripercorrendo i 40 anni del SSN, per queste cose è necessario che si apra una finestra di opportunità, intesa come il contemporaneo verificarsi di tre ordini di elementi:
- la condivisa valutazione tecnica dell’esistenza di un problema o un insieme di problemi
- la disponibilità di soluzioni tecnico-organizzative per tali problemi
- la disponibilità della politica ad affrontare i problemi.
Ma in questa fase straordinaria quali più specifiche o ulteriori questioni affrontare? L’esigenza di intervenire riguarda i seguenti aspetti:Filippo Palumbo
Già Direttore Generale e Capo Dipartimento della Programmazione sanitaria del Ministero della salute