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QS Edizioni - martedì 30 aprile 2024

Scienza e Farmaci

Le scelte degli anestesisti e gli “angeli della morte”

di Ivan Cavicchi
immagine 12 marzo - Ciò che è ammissibile in tempo di guerra non può essere ammissibile in tempo di pace perché se fosse il contrario vorrebbe dire che alla fine gli anestesisti sono sempre in tempo di guerra. Ciò che è ammissibile suppongo debba essere un anestesista che sappia fare il suo mestiere al meglio delle proprie possibilità nulla di più. Gli angeli della morte si trovano nell’apocalisse di Giovanni ma non nel codice deontologico della Fnomceo
Nonostante lo “schifo” suscitato in qualche anestesista e i commenti tutt’altro che cortesi ricevuti per quello che ho scritto sul documento Siaarti:
• esprimo la mia avversione e contrarietà per tutti gli argomenti pregiudizialmente contra homine, convinto che una società scientifica non può comportarsi come una setta di fanatici ma deve ragionare e che la libertà di pensiero, anche durante una epidemia, sia la più bella cosa del mondo
• ribadisco quanto già scritto: “al tempo del coronavirus con rispetto e amicizia invito la Siaarti alla quale desidero rinnovare la mia stima incondizionata a non esagerare e a recuperare, se possibile, la calma perduta”.
 
Quindi con rispetto amicizia e stima vediamo davvero di recuperare la calma e di capirci.
 
Preliminarmente vorrei sapere
Ma preliminarmente ho bisogno di chiedere agli anestesisti dei chiarimenti:
• uno chi non è anestesista e chi per mestiere analizza il pensiero, i ragionamenti, i comportamenti della medicina, ovviamente senza intubare nessuno, può analizzare, un documento Siaarti? Cioè può studiare il pensiero che è in quel documento, soprattutto se il documento in questione va oltre la scienza e assume posizioni morali, afferma concetti sociali e economici oltrepassando lo stretto dominio delle terapie intensive? Converrete con me, che, se per analizzare un documento Siaarti si dovesse obbligatoriamente essere iscritti alla Siaarti, allora dovremmo dedurne che per scrivere sulla battaglia di Waterloo per qualsiasi storico varrebbe l’obbligo di essere stato a Waterloo. Ma secondo voi è ragionevole? Personalmente non credo che l’autoreferenzialità giovi alla Siaarti anche perché in medicina è una condizione impossibile. Vogliate o no oltre gli anestesisti esistono gli altri e gli altri anche se non intubano, hanno delle idee che può capitare siano diverse da quelle degli anestesisti.
 
• secondo voi è giusto che ogni specialità medica abbia una propria “etica medica” cioè una propria deontologia anziché come dice la legge avere un solo codice deontologico valido per tutti. Se si, dovremmo ammettere la possibilità di un possibile conflitto tra diverse deontologie come ad esempio tra il codice dei geriatri e quello degli anestesisti che sui criteri di accesso alle cure hanno idee diverse. Ma avere conflitti deontologici tra medici ci conviene?
 
• siete rimasti male che Anelli presidente della Fnomceo abbia ribadito l’art. 32 della Costituzione quindi il concetto che “tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni”, reagendo, in una fase del paese di enorme delicatezza, protestando le ragioni dell’emergenza, come se qualcuno volesse togliervi delle prerogative, delle facoltà, o il potere di “tagliare il filo”.
Vi assicuro che anche io che non intubo nessuno conosco i problemi gravi dell’emergenza, delle terapie intensive e degli anestesisti con i quali ho sempre collaborato detto ciò dico anche che è necessario che vi sforziate di comprendere la differenza che esiste tra una società scientifica e un ordine e una federazione di ordini, quindi tra i problemi specifici di una specialità medica e i problemi fondamentali di tutta la professione.
La Fnomceo che non rappresenta solo gli anestesisti ma l’intera comunità medica, con saggezza e lungimiranza, secondo me facendovi un favore, ha semplicemente azzerato in anticipo le obiezioni prevedibili al vostro documento, quelle che poi si sono regolarmente manifestate, valutando, secondo me a ragione, pericoloso e dannoso per tutta la professione accreditare idee facilmente strumentalizzabili, equivocabili e comunque di non facile comprensione o comunque discutibili perché intrinsecamente divisive e che non si possono sparare così semplicemente in una società terrorizzata da un virus.
 
Veniamo al sodo: la questione dell’opportunità
La mia obiezione al vostro documento che, a giudicare dai commenti irridenti e sprezzanti ricevuti, quanto meno è stata fraintesa, non riguarda il merito (a parte un paio di questioni) ma l’opportunità quindi è una obiezione non di natura tecnica ma politica.
 
In tante occasioni, anche su questo giornale, ho spiegato un principio che ha cambiato la natura della semantica e cioè che il significato di base di qualsiasi cosa viene a dipendere sempre dai significati contestuali, e quindi che il significato di ogni malattia non è più auto-riferito a sé stesso, sostenendo che questo in medicina ha delle importanti conseguenze epistemiche.
 
Il punto tre, del vostro documento sostiene che in certi casi l’art. 32 non vale, e che esso sempre in certi casi, se applicato in modo meccanico, può essere ingiusto. Il punto tre cambia la regola generale: per accedere alle cure il criterio del diritto è sostituito con il criterio dell’utilità, e recita testualmente così: “Può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in TI. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone”.
 
Per l’approccio utilitarista l’uso del criterio dell’età equivale al gioco della torre ed è la conseguenza di un semplice ragionamento razionale, cioè è una conseguenza puramente logica, per altri approcci (consequenzialismo, welfarismo, comunitarismo, neo-contrattualismo, ecc ), il criterio dell’età può essere pericoloso, produrre discriminazioni, non essere davvero logico come si pensa, dal momento che l’età ha a che fare con una variabilità biografica immensa, e perfino poco scientifico perché l’età pur essendo in medicina un indicatore importante non sempre è un indicatore di complessità.
 
Ma io qui non desidero discutere questo criterio, semmai altrove, desidero solo chiedere: ma è opportuno che una società scientifica dica con le rianimazioni in tilt e gli anestesisti stremati e i malati di coronavirus in crescita che “può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso delle terapie intensive”?
 
Io dico che non è opportuno, anzi se penso al contesto ritengo che sia apertamente fuori luogo, e lo dimostrano due fatti:
• immediatamente dopo la pubblicazione del documento si sono aperte le polemiche i dubbi i sospetti, le prese di posizione contrarie,
 
• nessuno di voi a domanda precisa ha esplicitamente difeso pubblicamente questo principio pur da voi scritto comprendendo che non era il caso e secondo facendo bene.
 
Peraltro mi sono chiesto se in questo contesto terribile non ci fosse un altro modo per esprimere più o meno lo stesso concetto magari complessificandolo un po’. Per esempio chi vi impedisce, a parità di casi estremi, gli stessi previsti dal documento di ragionare di una funzione a tanti argomenti uno dei quali l’età?
 
Il punto tre è, nel contesto dato, troppo laconico e perentorio e nel casino in cui siamo propone l’età incautamente come un criterio unico quindi pericolosamente sommario. In quanto tale per molti, sicuramente per tutti gli anziani, esso finisce per essere moralmente inaccettabile.
 
Il pragmatismo degli anestesisti
L’ultima questione che vorrei affrontare tralasciando tutto il resto, chiama in causa la questione del pragmatismo degli anestesisti.
Chi ha letto le 100 tesi per gli Stati generali, o i miei lavori di questi anni sul ripensamento della medicina positivista, sa bene che personalmente da decenni teorizzo una evoluzione epistemica della medicina da semplicemente convenzionale a decisamente pragmatica.
 
Per me, più che mai oggi, con la “questione medica” sul collo, non si tratta solo di rispettare regole o evidenze o metodologie (sia chiaro comunque irrinunciabili), ma anche di interpretare queste cose nelle situazioni difficili e complesse per raggiungere risultati e soprattutto per riconquistare la fiducia della gente.
 
Il ragionamento sul quale vorrei riflettere è quello che ho letto nell’articolo di Gristina in difesa del documento Siaarti (uno dei pochi anestesisti che su questo giornale discute senza insultare e che leggo immancabilmente, tra i suoi articoli in particolare consiglio quelli sul suicidio assistito) ed è quello che dice: anni di de-finanziamento della sanità a noi anestesisti ci hanno messi nelle condizioni di selezionare i malati, nel senso che obbligandoci a lavorare in condizioni inammissibili siamo stati costretti a diventare pragmaticamente una sorta di angeli della vita e della morte (la metafora è volutamente esagerata) concludendo con questa frase, “ora, questo è ammissibile in tempo di pace”e non lo è in tempo di guerra?”.
 
La questione dell’estrema ratio
Ecco secondo me questo è il punto. Su questo punto avrei tante cose da dire ma mi limito a rivolgere agli anestesisti una domanda: le condizioni limitate in cui lavorate, a partire dal dato cronico dell’insufficienza del numero delle terapie intensive e dalla mancanza di anestesisti, vi è stato imposto dalla politica, tuttavia per tacita convenzione esse vi hanno dato pragmaticamente il potere di vita e di morte sulle persone, potere, che la politica tollera perché voi anestesisti vi prendete, per suo conto, delle responsabilità anche di ordine morale indicibili e che a mio parere vanno ben oltre il vostro mandato deontologico…secondo voi in un servizio pubblico anche per rispettare la deontologia che c’è, la costituzione che c’è, ma anche per agire una scienza realista “dal volto umano” queste condizioni troppo limitate che vi sono state imposte vanno tollerate o rifiutate?
 
Se lo tolleriamo allora l’extrema ratio con cui l’anestesista ha a che fare diventa ordinaria, per cui come scrive Gristina, non ha senso rifiutarla in tempo di guerra. Se la rifiutiamo, perché rispettiamo i principi della costituzione o perché siamo semplicemente un servizio pubblico, o perché vorremmo esercitare la nostra professione come si deve, allora dobbiamo dire con forza che l’extrema ratio nelle terapie intensive oltre l’ordinaria complessità clinica non può essere data. Quindi guerre a parte. Io ritengo che la politica e questo Stato si devono riprendere la responsabilità morale di decidere oltre l’ordinaria complessità clinica, come trattare i malati cioè se dare o non dare loro il diritto di vivere.
 
Cosa è ammissibile?
La politica se crede faccia essa l’angelo della morte, dica a tutti gli anziani del nostro paese, che nell’epidemia di coronavirus i giovani nelle terapie intensive vengono prima degli anziani, ma non obblighi gli anestesisti a vicariarla. Questo la politica non lo farà mai perché i pensionati che votano sono tanti. Allora alla politica non resta che mettere in condizioni gli anestesisti di fare al meglio il loro mestiere.
 
Gristina nel suo ragionamento pone un grande problema che è quello di definire ciò che “ammissibile”. Prendendo il modulo standard di TI descritto in Gazzetta ufficiale (8 posti letto, 12 anestesisti e 24 infermieri) e programmando il numero delle terapie intensive ai livelli europei chiedo in queste condizioni quale anestesista è ammissibile e quale anestesista non è ammissibile?
 
Ribalto quindi il ragionamento di Gristina:
• ciò che è ammissibile in tempo di guerra non può essere ammissibile in tempo di pace perché se fosse il contrario vorrebbe dire che alla fine gli anestesisti sono sempre in tempo di guerra,
• ciò che è ammissibile suppongo debba essere un anestesista che sappia fare il suo mestiere al meglio delle proprie possibilità nulla di più.
 
Gli angeli della morte si trovano nell’apocalisse di Giovanni ma non nel codice deontologico della Fnomceo.
 
Conclusione
Il coronavirus ha messo a nudo tutte le magagne del sistema compreso quelle delle terapie intensive. Pochi servizi, pochi anestesisti, pochi infermieri e in molte zone del paese tanta obsolescenza tecnologica. Oggi alla sanità piovono soldi finanziati dalla crescita del disavanzo. Però il debito qualcuno prima o poi lo dovrà pagare, siccome è un film già visto, non mi meraviglierebbe se per pagarlo in sanità ritornassero quelle restrizioni che in tempi di pace hanno obbligato gli anestesisti a perdere il sonno per risolvere pesanti dilemmi morali.
 
Oggi il coronavirus ci dice che la ratio del nostro sistema sanitario va ripensata per non essere costretti ad agire in regime di estrema ratio.
 
Da quando è uscito il documento Siaarti in molti, (Balduzzi, Fumagalli, ecc.) compreso la sua brillante presidente, ci hanno assicurato che non siamo all’estrema ratio e che i malati saranno curati tutti senza discriminazioni. Di questo me ne rallegro. Le utilità e i diritti nle tempo del coronavirus anche nelle terapie intensive possono ancora dialogare. Con rispetto amicizia e stima.
 
Ivan Cavicchi
12 marzo 2020
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