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Gli anestesisti-rianimatori alla prova, fallita, con l’etica medica

di Ivan Cavicchi

In estrema ratio per la Siaarti diventa etico distribuire dei privilegi/vantaggi ad alcuni malati e degli handicap/svantaggi ad altri malati quindi diventa moralmente giustificata una medicina che distribuisce in modo diseguale dei diritti per definizione universali sulla base di una diseguale valutazione delle necessità, della speranza di vita e del successo terapeutico. In questa idea di giustizia distributiva, che non nego ha un suo razionale che è quello della maggiore speranza di vita, la Siaarti non si accorge di cadere in una grave contraddizione

09 MAR - Solo pochi giorni fa sul Manifesto (5 marzo 2020) sulla base di alcuni fatti raccolti qui e là, ho pubblicato con una certa preoccupazione un articolo “Per curare il virus non creiamo malati di serie b”, con il quale paventavo il rischio che nella gestione difficile dell’epidemia, si consumassero discriminazioni a danno dei malati, al punto da parlare di un ritorno dissimulato al darwinismo sociale che, ricordo, è quella brutta teoria che si basa sulla legge della sopravvivenza del più forte in funzione del meccanismo della selezione naturale e che in quanto tale nega per intero il diritto alla salute descritto dall’art. 32.
 
L’articolo infatti si concludeva in questo modo “sopravvivere anche nel tempo del coronavirus non è una legge della jungla ma un diritto”. Alla faccia dell’art. 32 la regione Umbria con una circolare ha disposto, in modo del tutto darwiniano, la sospensione dell’intera attività operatoria elettiva, compreso quella della day surgery, per l’ospedale di Terni pur non avendo questo ospedale un solo malato di coronavirus ricoverato. Una vera follia che penalizza centinaia di malati.
 
Il ministro Speranza dovrebbe intervenire per garantire anche al tempo del coronavirus comunque a tutti i malati le cure di cui hanno diritto. In certi casi non è per nulla giustificato interrompere le cure.
 
Il documento Siaarti
L’altro eri su questo giornale la Siaarti, una prestigiosa società scientifica che riunisce tutte le professioni dell’area critica, di cui ho sempre apprezzato il rigore scientifico, ha pubblicato con il consueto stile chiaro e rigoroso un documento risultato di un lavoro di gruppo che s’intitola “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risposte disponibili” (QS, 7 marzo 2020).
 
Questo documento a mio avviso non ha, allo stato pratico delle cose, alcuna plausibilità né teorica e ne pratica, quindi esso vale come un puro esercizio speculativo, come quando ci si pone il problema di cosa farà l’anima quando saremo morti, ma in piena epidemia ormai pandemia, ripropone, in modo inquietante non solo semplicemente la teoria del darwinismo sociale ma addirittura abusando dello status di società scientifica punta a trasformare una teoria politica bocciata ormai dalla storia in una necessità scientifica e quindi in una evidenza.
 
E questo lo trovo, al di là della plausibilità delle sue proposte, francamente inaccettabile.
 
Le tesi del documento 
Sono molto chiare:
• in una epidemia può verificarsi il caso che si crei uno squilibrio tra necessità di cura e risorse disponibili,
 
• in questi casi si tratta di usare l’età del malato come titolo per accedere alle cure, in modo da privilegiare il criterio della speranza di vita e quindi del maggior successo terapeutico,
 
• chi ha per tante ragioni meno speranza di vita deve cedere il passo a chi ne ha di più, chi cede il passo naturalmente non viene abbandonato ma comunque non ha accesso alle cure come gli altri, cioè diventa un malato darwinianamente discriminato.
 
Quindi il documento nel mezzo di una epidemia tra mille difficoltà, ci pone una questione tanto delicata da far tremare le vene ai polsi, a metà strada tra l’economia quindi la giustizia distributiva e la morale, e che definisce “etica clinica” proponendoci di integrare i soliti criteri clinici che si usano per ammettere i malati alle cure con criteri economici al limite dell’ergonomia.
 
Impossibile non rammentare a noi stessi che nel nostro paese i sindacati più forti sono quelli dei pensionati e non immaginare un dialogo tra loro e la Siaarti.
 
Intendiamoci che la clinica in futuro, epidemia a parte, debba fare i conti con l’economia è ormai fuori discussione. Nelle 100 tesi per gli Stati generali della professione medica a questo problema è dedicata una ampia analisi, ma in nessun modo si accetta la subordinazione della clinica all’economia come al contrario sembra fare il documento Siaarti.
 
Contro lo statuto
Il documento della Siaarti mi ha sorpreso in parte perché:
• nell’epidemia di coronavirus il suo significato contestuale è innegabilmente dirompente,
• esso, nel configurarsi come la classica fuga in avanti, è rispetto alla Siaarti di fatto una negazione del proprio statuto fondativo.
 
Tale statuto prevede tra i suoi scopi quello di “approfondire gli aspetti deontologici e giuridici comportamentali della disciplina” (art. 2 punto 3) ma prevede anche un comitato etico (art. 24) che tra le varie cose ha il compito di aggiornare “la posizione dell’associazione negli ambiti della bioetica”.
 
Mi stupisce che, un gruppo di lavoro, in luogo del comitato etico, ci proponga pubblicamente, durante una epidemia, un ritorno, seppur condizionato, al darwinismo sociale senza essere autorizzato da una discussione e da una decisione societaria e senza un confronto di merito con la Fnomceo che fino a prova contraria è la vera titolare della deontologia.
 
Mi stupisce che una società scientifica normalmente irreprensibile nel corso di una epidemia, ignori quei valori che il suo stesso statuto riconduce alla “bioetica”.
 
Sono note le mie riserve verso questa disciplina, tuttavia la disciplina esiste ma in tutto il documento la parola “bioetica” non compare mai come se le proposte che avanza non avessero implicazioni bioetiche.
 
Qualche obiezione
Il documento parte dal presupposto che il limite economico è sufficiente a giustificare nei confronti dei malati dei trattamenti discriminati.
 
Questa ipotesi che, come postulato non mi sento di condividere, ormai è del tutto teorica per due ragioni:
• è indubbio che a seguito del coronavirus la sanità sia diventata epicentro di attenzioni e misure straordinarie: tutte le restrizioni sono saltate, tutti i limiti di spesa ridiscussi, assunzioni a go go, gli interessi si fanno sotto e i sindacati parlano di premialità di compensazioni, di straordinari, di indennità, addirittura l’Europa ha autorizzato il finanziamento delle spese sanitarie in disavanzo e tutte le spese sanitarie per il coronavirus sono escluse dal calcolo strutturale. Quando la buriana sarà passata (speriamo presto) probabilmente ci ritroveremo con un eccesso strutturale,
 
• oggi sappiamo che se la gente muore di virus l’economia muore di scelte antieconomiche e che finanziare la salute vale come investire in economia, naturalmente questo non vuol dire che i problemi della sostenibilità spariranno al contrario come ho ricordato più volte al ministro Speranza, essi in futuro ci saranno e come, ma solo che la condizione posta dal documento Siaarti non può essere data in termini assoluti.
 
Extrema ratio
Il documento propone la selezione dei malati come estrema ratio quindi "l’ultima soluzione”, alla quale si ricorre quando non vi sono altre via di uscita posto che tutte le possibili alternative sono state già tentate senza successo.
 
Extrema ratio era l’espressione che nel ‘600 era stampata sui cannoni intendendo i cannoni come “l’ultima ragione dei re”.
 
E’ vero che ora nella sanità in via di riorganizzazione alle prese con i malati di coronavirus può verificarsi soprattutto nelle zone rosse, il caso di non avere sufficienti rianimazioni, ma dopo la circolare del ministero sull’incremento delle terapie intensive ecc, si deve pensare che l’obiettivo del governo non è scadere nelle discriminazioni ma il contrario assicurare a tutti uguali diritti alla cura. Il ricorso ai cannoni è fuori luogo anche perché come sanità abbiamo molte altre soluzioni possibili da usare.
 
Mi ha colpito del documento il suo riferirsi alla “medicina delle catastrofi”, che a dir il vero non prevede nessuna estrema ratio e meno che mai il ricorso a logiche malthusiane o darwiniane.
 
Essa ha lo scopo di fornire la risposta sanitaria corretta proprio quando le risorse sono insufficienti rispetto alle necessità dell'evento, e si basa non sulla discriminazione del bisogno di aiuto ma sull' equazione di Bernini Carri detta "regola del danno dinamico" che a sua volta si basa sostanzialmente sull’ integrazione delle varie componenti dei soccorsi (sanitari e logistici). Che in tutta sincerità mi pare sia la linea della protezione civile.
 
Giustizia distributiva
Infine il documento riduce, secondo me in modo arbitrario, il discorso dell’etica clinica a un discorso di mera giustizia distributiva.
In estrema ratio per la Siaarti diventa etico distribuire dei privilegi/vantaggi ad alcuni malati e degli handicap/svantaggi ad altri malati quindi diventa moralmente giustificata una medicina che distribuisce in modo diseguale dei diritti per definizione universali sulla base di una diseguale valutazione delle necessità, della speranza di vita e del successo terapeutico.
 
Che il ruolo delle Parche sia esercitato dai medici mi sembra una pretesa molto poco meditata, che contrasta con l’indirizzo deontologico più complessivo della Fnomceo.
 
In questa idea di giustizia distributiva che non nego ha un suo razionale che è quello della maggiore speranza di vita, la Siaarti non si accorge di cadere in una grave contraddizione.
 
Nella teoria della giustizia di Rawls, ad esempio, la redistribuzione egualitaria di beni (giustizia) è temperata da una particolare attenzione per chi sta peggio. Cioè non può essere data una distribuzione uguale se nello stesso tempo non si avvantaggiano i più deboli.
 
La Siarti ribalta il discorso: proprio perché per essere giusti bisogna aiutare i più deboli allora dobbiamo essere ingiusti per favorire chi ha più speranza di vita mollare e quindi autorizzare i medici ad essere giusti in senso darwiniano. Ho trovato inquietante che nella definizione degli scopi del documento Siaarti il primo sia quello di “sollevare i medici dalla responsabilità delle scelte”.
 
Conclusione
Mi dichiaro completamente d’accordo con il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, che, sul documento della Siaarti, in un momento tanto delicato come quello che stiamo vivendo, al fine anche di prevenire equivoci e malintesi sugli orientamenti della professione ha chiarito con grande coerenza deontologica la linea da seguire: ”Per noi tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni” (QS, 8 marzo 2020).
 
Le tesi del documento Siaarti altro non sono che la riesumazione delle vecchie teorie dell’Hasting center e della “medicina impossibile” di Callahan, (The goals of medicine 1997) che però a distanza di anni si sono dimostrate una strategia del tutto implausibile anche se, qua e là, molti criteri selettivi applicati alle cure dei malati in tutta Europa in qualche modo sono informalmente in uso.
 
Lo stesso triage si basa sulla valutazione delle priorità assistenziali, ma ricordo, che esso è ponderato alla gravità e alla necessità del malato, quindi non ha niente di discriminativo mentre se le priorità fossero decise in base all’età del malato il rischio di discriminare sarebbe molto forte.
 
Khalil Gibran il grande poeta libanese, ha scritto: “l’esagerazione è una verità che ha perso la calma”.
 
Al tempo del coronavirus con rispetto e amicizia invito la Siaarti alla quale desidero rinnovare la mia stima incondizionata a non esagerare e a recuperare, se possibile, la calma perduta.
 
Ivan Cavicchi
 
 

 

09 marzo 2020
© Riproduzione riservata

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