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Per gli esperti il metodo non ha valenza scientifica


15 MAG - Tutti concordi sulla necessità di far sottostare il metodo stamina alle regole previste per la sperimentazione dei farmaci: una procedura lunga, rigorosa e costosa, fatta nell’interesse della salute dei pazienti. Viene sottolineata, inoltre, la pressione esistente per deregolamentare il mercato dei farmaci, in particolare per quelli a base cellulare, in modo da facilitarne la commercializzazione saltando la fase II e III.

Ecco le opinioni di De Luca (Università Modena), Santosuosso (Università Pavia), Bianco (La Sapienza) sull’argomento rilasciate a “Il Maratoneta – speciale” di Radio Radicale:


Michele De Luca (Professore Ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Modena). Il metodo Stamina non è definibile, la definizione migliore è quella dell’olio di serpente o dell’estratto di scorpione. Volevo far notare una evidente contraddizione in termini all’interno di Stamina, perché o è  un benefattore dell’umanità e ha trovato una cura per tutte le malattie rare (che sono circa 7-8.000) con un solo prodotto medicinale e allora deve metterlo a disposizione di tutti, oppure ha un interesse commerciale e la prima cosa che fa è cercare di brevettarlo. La seconda azione è trovare un’azienda che sia interessata a sviluppare commercialmente l’idea, ed è stato dichiarato pubblicamente che dietro Stamina c’è la Medestea, un’azienda che si occupa di prodotti per la cosmesi e medicinali a base di erbe.
L’ufficio brevettuale americano dice chiaramente che la metodica Stamina non è brevettabile, non è possibile muovere rivendicazioni in merito (l’Ufficio Brevetti Usa utilizza l’espressione “no claims”). L’escamotage adottato da Stamina, a questo punto, è quello di declassificare la coltura di cellule a trapianto, perché la legge 1394 della CE si è trovata davanti a questa cosa nuova che è la coltura cellulare ed ha stabilito che si tratta di un prodotto medicinale, in particolare inserendoli nelle terapie avanzate, che possono essere applicate sui pazienti solo dopo sperimentazione clinica.
La mancanza della sperimentazione clinica di fase II e di fase III esime dal dimostrare l’efficacia, si deve solo dimostrare che non fa male, il che è probabile essendo olio di serpente. Dal punto di vista scientifico, nel 2013, parlare di staminali di per sé non vuol dire niente. Abbiamo quelle embrionali, totipotenti, e quelle somatiche o adulte che originano i tessuti per cui sono state create. Pensare che con una singola cellula possano essere fatti tutti i tessuti di questo mondo, inclusi i neuroni, credo che sia scientificamente una bufala.
 
Amedeo Santosuosso (Docente di diritto all’università di Pavia, consigliere presso la Corte d’Appello di Milano). La formulazione originaria del decreto legge, poi modificata al Senato, era gravissima e poteva dar luogo a una procedura d’infrazione delle regole europee da parte dell’Italia. Questa stranezza è stata superata nel testo emendato al Senato con un escamotage altrettanto grave: cambiare la natura di queste terapie da farmaci a trapianti, bypassando così le regole che prevedono, per la sperimentazione dei farmaci,  una procedura lunga e anche costosa fatta nell’interesse dei pazienti per evitare che singoli scienziati, gruppi di interesse, case farmaceutiche possano sperimentare qualsiasi cosa senza garanzie per il malato. Ma la questione non si affronta con un decreto legge. Il problema va sollevato in sede europea, di fronte all’Ema e in tutte le sedi appropriate. Un testo di questo genere era sbagliato sia dal punto di vista del merito che del metodo, perché viviamo in una comunità internazionale e non possiamo pensare sempre di essere i più furbi di tutti.
L’obiezione più frequente in Senato era che ci sono le sentenze dei giudici. A mio modo di vedere quelle sentenze sono profondamente sbagliate. La Corte Costituzionale è intervenuta in varie occasioni su questioni molto critiche, come la legge 40, l’elettroshock ecc., e ha detto che il legislatore non può entrare nel merito di materie di competenza medico-scientifica. L’efficacia di una terapia non la può decidere il legislatore e quindi neanche il giudice: è un problema che va portato in ambito scientifico. È vero che la scienza è provvisoria per definizione ma non si può confondere la provvisorietà delle acquisizioni scientifiche con l’aleatorietà delle decisioni. Qui non si pone solo un problema scientifico ma anche un problema clinico: chi somministra questi trattamenti è un medico e il medico è tenuto a rispettare la deontologia e quindi anche a somministrare ciò che corrisponde a un livello di conoscenze scientifiche e mediche appropriato. Il medico quindi dovrebbe rifiutarsi opponendo obiezioni cliniche, proprio alla luce di quella sentenza della Corte Costituzionale.  
Sulla questione del ‘diritto alla sperimentazione’ vorrei fare una precisazione: esiste il diritto del cittadino di esporsi a una sperimentazione anche pericolosa ma non l’obbligo per una struttura pubblica di impiegare risorse pubbliche per tali sperimentazioni senza che vi sia alcun razionale.
Secondo la comunità scientifica si tratta di farmaci, quindi le regole da applicare sono quelle dei farmaci, l’Autorità competente in Italia è l’Agenzia italiana del Farmaco e l’Agenzia europea di riferimento è l’Ema. Quindi o si seguono le regole della sperimentazione clinica, quindi procedure formalizzate anche dal punto di vista giuridico, e allora la decisione politica può fondarsi su principi oggettivi, oppure si decide di dar ascolto agli agitatori di piazza, ma allora diventa impossibile qualsiasi discorso razionale.
Probabilmente ci sono dei grossi interessi economici. Quelli che dicono che bisogna essere aperti al dolore di chi soffre e delle loro famiglie, non tengono conto che utilizzare così le risorse pubbliche significa sottrarle ad altri pazienti. L’unico modo sarebbe poter giustificare le spese in modo appropriato. Strutture che utilizzano risorse pubbliche per questi trattamenti, come gli Spedali di Brescia, prima o poi dovranno rendere conto di come si stanno impiegando le risorse pubbliche.

 
Paolo Bianco (Professore Ordinario di Anatomia Patologica nell'Università di Roma La Sapienza). La pressione per deregolamentare il mercato è potentissima nell’ambito dei farmaci convenzionali e lo è ancora di più nell’ambito dei farmaci a base cellulare. Perfino nel caso Stamina ci sono state pressioni indirette di natura lobbistica su governi di mezzo mondo per indurli a facilitare la commercializzazione saltando la fase II e III.
Coltivare cellule in un laboratorio non a norma, infatti, costa molto meno di quanto costi in laboratori a norma. Stamina ha uno sponsor commerciale alla luce del sole ed è stupefacente che nessuno abbia fatto questa elementare connessione. Qualcuno paga la produzione di quelle cellule, e produrre senza regole significa far risparmiare chi produce. Nel momento in cui si dice noi vogliamo curare 18.000 pazienti – come fa Stamina – nessuno sponsor o colletta possono però coprire quei costi e viene da pensare che qualcuno voglia che a coprirli sia lo Stato.
Credo realmente che non abbiamo ben chiaro di quale portata sia questo problema. Secondo Stamina questi trattamenti sarebbero in grado di curare tutte le malattie rare. C’è dietro una quantità di interessi commerciali che va ben oltre il miliardo di euro che servirebbe per curare 18.000 piccoli pazienti. Cose del genere sono state tentate all’estero. In Germania un’azienda ha fatto una cosa simile e il governo tedesco l’ha chiusa. Lo stesso è avvenuto in America. Una situazione analoga si sta verificando in paesi non occidentalizzati dove un’azienda promuove un vero e proprio turismo medico. Alcune aziende stanno cercando di operare in Europa e non vorrei che trovassero proprio  nell’Italia l’anello debole. C’è realmente da essere preoccupati. Per questo tutto il mondo scientifico internazionale sta dicendo all’Italia di fare attenzione. Gli interessi delle multinazionali e delle aziende sono dietro Stamina.


 
Al coro si è unita anche Elena Cattaneo, direttore del laboratorio sulle cellule staminali dell'Università di Milano. È un metodo ‘mediatico’, non scientifico. Non c’è un razionale, non ci sono prove, non ci sono verifiche. In un primo momento Stamina disse che le informazioni relative al metodo non potevano essere disponibili perché c’era una richiesta di registrazione di brevetto in corso. E ciò aveva due implicazioni: da una parte, significava che, in un ospedale pubblico, dei medici stavano iniettando dei preparati senza sapere di cosa si trattasse; la seconda implicazione era un controsenso intrinseco: la richiesta di brevetto si sottomette proprio perché dal giorno dopo si può rivelare tutto con la garanzia che l’innovatività e la proprietà del metodo vengano riconosciute interamente all’inventore. A marzo le dichiarazioni di Stamina cambiano: i responsabili sostengono che il metodo è pubblico e può essere rintracciato su internet. Abbiamo fatto una ricerca e, di fatto, sul portale dell’Ufficio Brevetti americano si trova la richiesta di brevetto presentata da Stamina. Il testo è grossolano e superficiale e contiene una serie di frasi copiate da wikipedia. L’Ufficio brevetti americano ha esaminato il testo e la sua risposta è stata un rifiuto preliminare in quanto non è stato individuato nulla che potesse essere qualificato come metodo. Secondo l’Ufficio americano il testo non contiene spiegazioni dettagliate tali da consentire la possibilità di replicazione in mano esperta del cosiddetto “metodo”. Inoltre l’Ufficio raccomanda di usare cautela perché il trattamento potrebbe essere citotossico o addirittura dannoso per le cellule. Stamina ha poi sottomesso la richiesta anche all’Ufficio europeo ma l’ha ritirata in tempo per evitarne la pubblicazione. La stessa cosa Stamina ha provato a fare con l’Ufficio Brevetti americano a maggio 2012, ma non ha fatto in tempo. Quindi se oggi abbiamo questo straccio di informazioni su questo presunto brevetto è perché Stamina non ha esercitato in tempo l’opzione di ritirare la richiesta e impedirne la pubblicazione. Se davvero l’esigenza fosse stata quella di tutelare la proprietà intellettuale, sarebbe stato logico rendere pubblico il metodo attraverso una pubblicazione scientifica. La visibilità delle scoperte e dei risultati è una garanzia per l’intera società, perché chiunque le può incorporare nelle proprie strategie sperimentali e verificarne la validità.

15 maggio 2013
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