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Decreto Calabria Bis. Ecco tutte le criticità del provvedimento

di Ettore Jorio

Oggi ho avuto l'opportunità di svolgere una audzione sulla sanità calabrese dinanzi alla Commissione Affari Sociali della Camera. Tra le cose che ho sottolineato il fatto che per valutare la portata del nuovo decreto Calabria occorre, preliminarmente, comprendere non “chi sia” bensì “cosa possa e debba fare” un Commissario ad acta

17 NOV - Ho seguito il D.L. 35/2019 sin dalla nascita e in tutte le sue ricadute nei diciotto mesi di sua vigenza. Stessa cosa, ovviamente, sto facendo con il DL 150 sin dalle sue precedenti quattro versioni che sono circolate nei diversi ambienti, più o meno istituzionali. Ho apprezzato, nel testo definitivo, l’eliminazione di tutte quelle parti che erano in forte conflitto soprattutto con il Testo Unico Pubblico Impiego, che riassumeva in capo al Commissario anche le competenze appartenenti alla dirigenza.
 
Per valutare la portata del provvedimento in oggetto occorre, preliminarmente, comprendere non “chi sia” bensì “cosa possa e debba fare” un Commissario ad acta, nominato a mente dell’articolo 120, comma 2, della Costituzione. In quanto tale, egli sostituisce gli organi regionali ritenuti inadempienti dal 2010 nel garantire l’esigibilità dei Lea alla popolazione interessata nonché incapaci di rendere sostenibile il bilancio regionale e di accertare correttamente il debito accumulatosi.

In Calabria, una storia vecchia della quale ebbi ad occuparmi, quale Soggetto Attuatore del Commissario di Protezione Civile incaricato della rendicontazione del deficit patrimoniale a tutto il 31 dicembre 2008 e dell'aggregazione delle precedenti 11 ASL in 4 ASP, esclusa la quinta in quanto era anche allora, così come oggi, sciolta per condizionamento della ‘ndrangheta.

Il Commissario ad acta, come dicevo, quale sostituto degli organi regionali, è tenuto a svolgere funzioni di programmazione e indirizzo residuando, a mente dell’articolo 4 del d.lgs. 165/2001, alla dirigenza regionale l’attività gestoria conseguente, da esercitarsi attraverso l’adozione di atti amministrativi.
Quindi, siamo di fronte ad un Commissario che sostituisce il presidente, la giunta e il consiglio (fatta eccezione per l’ambito legislativo) e, in quanto tale, mantiene a propria disposizione collaborativa tutto l’apparato regionale che si occupa di salute per l’adozione dei provvedimenti ordinari di carattere tecnico-amministrativo.

Fatta questa premessa, è da rilevare pertanto che il contenuto del decreto risulta segnatamente pleonastico nella parte in cui attribuisce al commissario ad acta funzioni e poteri che il medesimo ha già riconosciuti dalla Costituzione, dalla legge attuativa 131/2003, la cd. La Loggia, e dalla Finanziaria per il 2010.
 
In relazione al testo del D.L. 150, ritengo sottolineare le mie eccezioni riassumendole in quattro punti. Preliminarmente, potrebbero invero essere eccepite questioni di legittimità costituzionale che saranno verosimilmente opposte dalla Regione Calabria con conseguente riesame della Consulta.  Esse sono riferite a numerosi articoli, per l’appunto, della Costituzione, più precisamente agli articoli 5 (autonomia), 81, 97 comma 1 (equilibrio), 117 comma 3 , 119 comma 1, 120 comma 2, 121 comma 2, in relazione prioritariamente agli articoli 1, 2, 3, 4 e 7 del D.L. in esame. 
 
In tema di rispetto della Costituzione, è di certo violato il principio di leale collaborazione, considerato l’esercizio di imperio assoluto che il Governo pone in essere nei confronti dell’esercizio delle politiche sanitarie calabresi, limitandosi a una serie di affermazioni collaborative, dimostrative di una pericolosa superficialità.

Mi tocca tuttavia, proprio in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 233/2019, di prenderne un pezzo in prestito. Quello che pone qualche dubbio sulla compatibilità del D.L. 150 con i più generali principi costituzionali sottolineati anche dalla Consulta (a partire dalle sentenze nn. 125/2015, 219/2013, 155/2011 e 207/2010), con la quale viene testualmente affermato un ineludibile principio - e dunque riportato nella massima 41646 - che “(allor)quando una Regione viola sistematicamente gli obblighi derivanti dai principi di finanza pubblica” nonché genera le condizioni tali da imporre "agli utenti di assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore per qualità e quantità", la stessa vada commissariata a tal punto da subire una contrazione della propria sfera di autonomia.

Di conseguenza, il quesito che ho necessità di rimettervi è cosa debba avvenire allorquando questi inadempimenti - per esempio, registrati negli ultimi undici anni in Calabria - vengano riconosciuti ed esclusivamente ricondotti in capo al sostituto del Governo.

Al riguardo, quale sarebbe lo strumento occorrente per ripristinare i Lea e la sostenibilità di bilancio, se non quello di un Governo che debba commissariare se stesso, atteso che neppure il suo potere di controllo è stato esercitato in modo efficiente ed efficace? 
 
Ecco il testo integrale della mia audizione in Commissione Affari Sociali

 
Ettore Jorio

17 novembre 2020
© Riproduzione riservata

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