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Le voci della piazza: Cassi (Cimo), Cozza (Cgil medici), Gigli (Fesmed), Levoni (Snabi) e Troise (Anaao Assomed)


16 GIU - "Questa manovra uccide il Ssn". Questo il duro commento dei principali sindacati medici e della dirgenza del Ssn che hanno manifestato oggi a Roma. Ecco le loro testimonianze raccolte da Quotidiano Sanità:
 
Riccardo Cassi, presidente nazionale Cimo Asmd
Negli ospedali non si può intervenire con una decimazione indiscriminata
“I punti critici del decreto sono molteplici, dal taglio delle risorse alle Regioni al congelamento della progressione economica e alla precarizzazione di tutti gli incarichi dirigenziali. Ma a preoccupare è anche il blocco del turn over, senza il quale sono a rischio molti settori della sanità. Ci auguriamo che l’impegno dichiarato dal ministro Fazio a introdurre correttivi alle norme relative a questo argomento non si limiti alla sola oncologia, come già annunciato, ma riguardi anche le altre specialità. Se non si vogliono costringere i cittadini a rivolgersi al privato, occorre garantire negli ospedali e nei presidi territoriali gli specialisti necessari a erogare le prestazioni previste dai livelli essenziali di assistenza”.
Gli ospedali sono strutture complesse sulle quali non si può intervenire con una decimazione indiscriminata imposta dal centro, ma è necessario che i processi di razionalizzazione del personale del Sistema sanitario nazionale vengano demandati alle Regioni per essere effettuati nel contesto di piani di riorganizzazione mirati, rispettando i vincoli di spesa”.

Massimo Cozza, segretario nazionale Fp Cgil Medici
Una manovra piena di iniquità
“La lettura del decreto desta sempre più indignazione per le iniquità contenute. Il rischio è che si crei una miscela esplosiva che nei prossimi due anni potrà determinare nella sanità pubblica una carenza complessiva di 12.000 medici, e il taglio del 10% delle prestazioni mediche erogate ai cittadini. Ancora più grave la situazione sarà nelle Regioni soggette ai piani di rientro – Lazio, Campania, Molise, Calabria, Abruzzo e Sicilia – dove il blocco del turn over è spesso totale.
Il dimezzamento dei precari nel pubblico impiego e la cancellazione dell’80% delle consulenze mette a rischio, nelle Regioni che la recepiranno, il funzionamento dei servizi per l’emergenza e i pronto soccorso dove lavorano gran parte dei 12.000 medici precari.
I medici che rimarranno a lavorare vedranno congelati per tre anni i loro stipendi ed avranno un carico maggiore di lavoro, a partire dalle guardie ospedaliere. La controriforma di Brunetta paradossalmente sembra rimanere intatta, ma per premiare la professionalità e la produttività rimane in più la sola indennità di vacanza contrattuale, cioè 24,21 euro mensili lordi”.
 

Carmine Gigli, presidente Fesmed
A forte rischio anche la formazione dei giovani medici
Contrariamente a quanto sostenuto dal ministro dell’Economia, la manovra arreca un grave danno al Ssn e colpisce con disparità ingiustificata le retribuzioni dei medici dipendenti, penalizzando quelli a reddito più basso.
Il dimezzamento del numero di contratti a tempo determinato, insieme alla drastica riduzione delle assunzioni a tempo indeterminato, porterà ad un drammatico impoverimento delle dotazioni organiche dei reparti ospedalieri. In molti casi diventerà impossibile assolvere i compiti istituzionali in condizioni di sicurezza, esponendo i medici ed il personale sanitario al rischio di commettere degli errori ed i pazienti al pericolo di restare vittime di tali errori.
L’eventuale chiusura dei reparti i cui organici dovessero risultare insufficienti andrebbe ad allungare ancor più le liste d’attesa ed in alcuni casi, a privare o quantomeno, a ridurre sensibilmente la possibilità di accedere ai LEA, essendo noto a tutti che in questo momento le strutture territoriali non sono pronte a dare risposte equivalenti a quelle dell’ospedale.
Il mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato, inoltre, danneggerà in maniera irreparabile la formazione dei giovani medici ed in particolare quelli delle specialità chirurgiche, il cui apprendistato richiede tempi particolarmente lunghi e non può comunque attuarsi al di fuori di un reparto operatorio.
In questo quadro, che prevede un grande impegno da parte di chi resta in servizio, il Governo, invece di incentivare i medici che continueranno a lavorare, ha varato una manovra attraverso la quale si colpiscono duramente ed in maniera iniqua gli stipendi. Iniqua, perché la retribuzione verrà penalizzata in maniera molto diversa a seconda del rapporto di lavoro, dell’incarico attribuito e dell’anzianità di servizio; con delle percentuali che variano dallo 0% sino al 23% della retribuzione, colpendo maggiormente i dirigenti a rapporto di lavoro esclusivo e con i redditi più bassi.
Tremonti parla di principi etici e solidaristici posti alla base delle scelte economiche. Allora è indispensabile che ponga dei correttivi alla manovra economica del Governo”.
 

Paolo Levoni, segretario nazionale Snabi
I diritti dei lavoratori riportati 50 anni indietro
“I 24 miliardi della manovra sono un obiettivo irrinunciabili, ma le misure in molti casi rischiano di creare grandi problemi senza creano risparmi economici. L’esempio più sconvolgente è quello del comma 32 dell’art. 9 sul pubblico impiego, dove si stabilisce che le pubbliche amministrazioni possano revocare gli incarichi o attribuirne altri di valore minore senza che vi sia alcuna motivazione o valutazione negativa sull’operato del dirigente. In spregio alle norme contrattuali, si permette di retrocedere normativamente ed economicamente il singolo dirigente. Si tratterebbe di un passo indietro di 50 anni nei diritti dei lavoratori.
Si rischia inoltre di perdere in un triennio circa 150 mila dipendenti del Ssn. È impossibile pensare di mantenere il livello quanti-qualitativo delle prestazioni ad oggi erogate dal Ssn con una riduzione così cospicua del personale.
Anche la riduzione dei finanziamenti alle Regioni sarà deleteria. Si dice che non si tocca la sanità, ma la sanità rappresenta il 75-80% dei bilanci regionali. Come si può dunque pensare che un taglio dei finanziamenti alle Regioni non andrà ad abbattersi sulla sanità? La verità è che Roma non ha voluto mettere le mani in tasca alla sanità e agli italiani, però sta costringendo le Regioni a farlo al posto suo”.

Costantino Troise, segretario nazionale Anaao Assomed
Così si uccide la sanità pubblica
“La manovra mette le mani nelle tasche dei medici e dei cittadini, anzi direi che sfonda le tasche dei nostri camici. Spero che il Parlamento possa individuare insieme a noi quelle norme che rappresentano dei veri e propri punti di caduta per la tenuta del Ssn per modificarle. Sono punti che non incidono sul valore economico della manovra stessa, o almeno non incidono in maniera sostanziale, ma sono invece fondamentali per la tenuta del sistema. Un esempio: se si escludesse la sanità dalla norma che modifica la conferma degli incarichi professionali si avrebbero delle ricadute positive per la tenuta stessa del sistema e a costo zero.
Va modificata anche la norma che individua il congelamento del salario individuale al 2010. Non si tiene conto che le progressioni economiche dei medici non sono automatiche, ma legate la superamento della verifica professionale. Quindi per lo Stato non sono un’uscita aggiuntiva in quanto quei costi sono già stati pagati dai contratti nazionali e sono presenti come risorse economiche a livello di fondi contrattuali.
È indispensabile che si intervenga anche sul turn over, che in sanità vuol dire non garantire più l’offerta di cure.
Se il decreto non venisse modificato, il Servizio sanitario pubblico, come lo conosciamo, tra tre o quattro anni non ci sarebbe più. Avremo un sistema più povero solo per i poveri”.
 

16 giugno 2010
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