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Riforma Pa. Cgil, Cisl e Uil lanciano la propria proposta. Domani incontro con Madia


Al centro del documento l'idea che la Pubblica amministrazione abbia bisogno di un cambiamento vero. "Non dell'ennesima riforma di facciata, ma di una riorganizzazione profonda che punti all'eccellenza e faccia del settore pubblico il presupposto dello sviluppo economico e sociale del Paese". IL DOCUMENTO.

11 GIU - Una proposta in 20 pagine per illustrare la riforma della Pubblica Amministrazione dove dovrebbe essere. A presentarla, oggi, la Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa, che anzitutto precisano una cosa: la Pa ha bisogno di un cambiamento vero, “non dell'ennesima riforma di facciata, ma di una riorganizzazione profonda che punti all'eccellenza e faccia del settore pubblico il presupposto dello sviluppo economico e sociale del Paese".

"Oggi la percezione diffusa è quella di una presenza massiccia della sfera pubblica in termini di spesa e quindi di tasse, che però  non si traduce in un ritorno in termini di servizi" avvertono Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa. "E in mezzo a tante riforme tentate o annunciate, è mancata una visione complessiva sulle funzioni e sui compiti della pubblica amministrazione che vogliamo". "Una riforma della Pubblica amministrazione che voglia essere il motore di un Paese avanzato deve definire gli orizzonti strategici: quale sanità, quali servizi sociali, quale giustizia, quale valorizzazione dei beni culturali, quale istruzione, quale ricerca, quali politiche del lavoro deve essere in grado di realizzare" si legge ancora nel documento. E su queste linee occorre riorganizzare il modello di welfare: "A partire dai contratti di lavoro, ma anche dalla semplificazione amministrativa e normativa, dalla costruzione delle reti territoriali e dei punti di accesso unificato per cittadini e imprese, dalla razionalizzazione che taglia la spesa cattiva e innova i servizi. E poi dall'investimento nelle competenze, da una diversa gestione degli organici, dagli strumenti della flessibilità che migliorano la produttività e i servizi, dalla valutazione che premia i risultati, da un modello più avanzato di dirigenza responsabile, meno dirigenti, nuove assunzioni per favorire l'ingresso dei giovani nella P.A. ed il pensionamento dei dipendenti che svolgono mansioni usuranti."

Ecco la sintesi della proposta unitaria che le quattro categorie del pubblico impiego porteranno al governo domani, in particolare al ministro per la Pa Marianna Madia, che li ha convocati a Palazzo Vidoni.
 
Per la riforma e il ridisegno della Pubblica amministrazione
La Pubblica amministrazione ha bisogno di un cambiamento vero. Non dell’ennesima riforma di facciata, ma di una riorganizzazione profonda che punti all’eccellenza e faccia del settore pubblico il presupposto dello sviluppo economico e sociale del Paese.
Oggi la percezione diffusa è quella di una presenza massiccia della sfera pubblica in termini di spesa e quindi di tasse, che però non si traduce in un ritorno in termini di servizi. E in mezzo a tante riforme tentate o annunciate, è mancata una visione complessiva sulle funzioni e sui compiti della pubblica amministrazione che vogliamo.
Una riforma della Pubblica amministrazione che voglia essere il motore di un Paese avanzato deve definire gli orizzonti strategici: quale sanità, quali servizi sociali, quale giustizia, quale valorizzazione dei beni culturali, quale istruzione, quale ricerca, quali politiche del lavoro deve essere in grado di realizzare.
E su queste riorganizzare il modello di welfare. A partire dai contratti di lavoro, ma anche dalla semplificazione amministrativa e normativa, dalla costruzione delle reti territoriali e dei punti di accesso unificato per cittadini e imprese, dalla razionalizzazione che taglia la spesa cattiva e innova i servizi. E poi dall’investimento nelle competenze, da una diversa gestione degli organici, dagli strumenti della flessibilità che migliorano la produttività e i servizi, dalla valutazione che premia i risultati, da un modello più avanzato di dirigenza responsabile.
Una riforma fatta “con” e non “contro” i lavoratori pubblici.

LE AZIONI

1. L’organizzazione
Ogni intervento sulle Pa deve puntare a renderle più vicine alle esigenze di cittadini e imprese, più accessibili nel territorio, più efficaci nella loro azione di garanzia dei diritti costituzionali e di presidio della legalità e dell’equità.
Servono una poderosa semplificazione legislativa e una riaffermazione della certezza del diritto. Vanno elaborati testi unici legislativi e ridotti gli adempimenti amministrativi. E sul piano organizzativo:
• Razionalizzazione delle strutture centrali e periferiche. Il nuovo assetto dei governi locali - a partire dalla riforma del titolo V e degli enti territoriali - va armonizzato con una riorganizzazione delle amministrazioni centrali sul territorio, realizzando punti unici o unitari di accesso per cittadini e imprese. Serve cioè un assetto istituzionale più snello, con un’attribuzione chiara di materie e funzioni e un’articolazione più semplice dei livelli di governo.
• Puntare ad un sistema semplificato e integrato dei vari livelli. Vanno incentivati nuovi modelli organizzativi fondati sulla collaborazione, la sinergia, l’interoperabilità, la messa in comune di obiettivi, mezzi, professionalità e risorse. Funzioni e competenze vanno allocate secondo i principi di sussidiarietà, appropriatezza, sostenibilità finanziaria, responsabilità dei centri decisionali.
• L’innovazione organizzativa deve condurre ad un modello aggiornato di welfare territoriale che sappia intercettare i bisogni emergenti in base a questi, rafforzare le strutture titolari di funzioni strategiche.
• Fare una mappatura dei processi di esternalizzazione e - ove possibile, conveniente e produttivo – reinternalizzare facendo salvi livelli occupazionali e know-how. In questo processo deve rientrare una razionale riduzione delle società partecipate.

2. Il capitale umano
Nei prossimi anni si tratterà di gestire i fenomeni legati alla riorganizzazione e di introdurre strumenti adeguati per la valorizzazione professionale del personale.
• I processi di razionalizzazione possono coinvolgere amministrazioni appartenenti anche a comparti diversi. Per questo è indispensabile, sul piano legislativo e soprattutto contrattuale, una razionalizzazione e integrazione dei modelli di inquadramento che serva nel contempo a definire nuovi profili professionali.
E si deve tornare a investire in formazione, eliminando i vincoli di spesa e definendo in modo chiaro mission e risorse disponibili per le nuove strutture che deriveranno dai processi di razionalizzazione.
• La valutazione del personale deve poter essere articolata, ma occorre ridimensionare il giudizio individuale e comparativo per dare più risalto ad una valutazione di gruppo e di struttura. Le rigidità della normativa vigente vanno superate così come va valorizzato il ruolo della contrattazione integrativa per favorire la necessaria flessibilità organizzativa.
• Bisogna porre fine al blocco delle assunzioni e lanciare una campagna mirata orientata alla ricerca di nuove competenze professionali e alla gestione di modelli organizzativi innovativi, anche per favorire l’ingresso di giovani.
• Serve una mappatura delle competenze che permetta di capire quali sono le professionalità di cui dispongono le amministrazioni, quali sono i gap da colmare, dove occorre riallineare competenze e servizi alle esigenze degli utenti.
• Serve un piano demografico del pubblico impiego per sapere quali professioni escono e quali mancano, creare un sistema di incontro domanda-offerta per profili specifici e altamente specializzati.
• La mobilità volontaria va incentivata anzitutto elaborando tabelle di equiparazione, e inoltre con procedure che rendano conosciuti e accessibili i posti vacanti e con bandi di mobilità intercompartimentale. Alla mobilità deve sempre associarsi la formazione, con costi a carico sia dell’amministrazione cedente che di quella ricevente.
• Misure di flessibilità vanno applicate soprattutto nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e ad attivarle deve essere la contrattazione collettiva, a cui va affidato anche il compito di individuare possibili soluzioni alternative alla mobilità, ad esempio la ridefinizione delle competenze del lavoratore.
• Vanno previsti percorsi di stabilizzazione del personale precario e misure più rigorose contro l’abuso dei contratti a termine, prevedendo in caso di violazione anche la conversione a tempo indeterminato.
• Vanno rilanciati gli strumenti che contribuiscono a conciliare vita e lavoro come il telelavoro e il parttime, superando le rigidità introdotte negli ultimi anni.

3. I controlli e le responsabilità
Il sistema dei controlli e delle responsabilità è diventato sempre meno efficace e sempre meno adeguato a sostenere il cambiamento. Siamo tornati poco a poco al controllo formale, alla verifica ex ante del rispetto delle norme, mentre serve una verifica dei risultati ottenuti in rapporto alle risorse umane e finanziarie disponibili e utilizzate.
• Vanno rafforzati e resi obbligatori gli strumenti di programmazione delle risorse e dei risultati e a questi vanno collegate le fasi della valutazione. A questo scopo deve diventare obbligatorio definire gli obiettivi all’inizio dell’esercizio, al massimo entro il 31 gennaio.
• Vanno previste sanzioni rigorose per gli organi di indirizzo politico in caso di sforamento dei parametri di spesa e di assenza di programmazione: non è ammissibile attribuire (anche economicamente) questo onere ai lavoratori.

4. Dalla dirigenza al management responsabile
Definire la “giusta” retribuzione del dirigente pubblico e l’eventuale “tetto” socialmente accettabile non è tutto. Si tratta di riscrivere un sistema di regole – agile ma esigibile – che determini i contenuti e la responsabilità della funzione dirigenziale, definisca meccanismi di verifica e di durata degli incarichi, e correli l’efficacia del lavoro dirigenziale con la sua conferma e la sua retribuzione.
• Prevedere requisiti di esperienza per la nomina dei dirigenti.
• Favorire nei criteri di conferimento degli incarichi la capacità di innovazione e gestione e non solo la conoscenza normativa.
• Passare al ruolo unico, abolendo le fasce giuridiche.
• Prevedere una maggiore flessibilità all’interno degli uffici con rotazione e durata certa degli incarichi. Va affidata ad un organismo terzo la definizione di una rosa di candidati, all’interno della quale individuare il dirigente più adeguato alle caratteristiche dell’incarico. Va istituita una commissione di garanzia per il contrasto alle violazioni dei criteri di nomina. Vanno previsti strumenti che garantiscano contro il rischio di precarizzazione dei dirigenti pubblici e contro le ingerenze della politica. In questo quadro può trovare uno sviluppo il ruolo dei Segretari comunali.
• Implementare la mobilità della dirigenza tra comparti diversi.
• Semplificare i sistemi di valutazione privilegiando la performance organizzativa. L’oggetto della valutazione del dirigente deve diventare la professionalità, intesa come complesso di competenze e capacità orientate all’efficienza, alla capacità di innovare e di perseguire gli interessi generali, alla gestione delle risorse.
• La scelta degli indicatori di risultato, più che sull’andamento generale dell’economia, deve focalizzarsi sugli obiettivi complessivi degli enti e sulla qualità dei servizi, coinvolgendo nella valutazione gli utenti dei servizi e i corpi intermedi.
• Ridimensionare gli uffici dirigenziali e investire invece nella formazione di figure con competenze di elevata responsabilità organizzativa e gestionale.

GLI STRUMENTI
• Gli indicatori di performance devono entrare in tutte le fasi del “ciclo di produzione” del servizio pubblico: a monte, nelle scelte e nella gestione strategica, e a valle, nella valutazione degli impatti misurando qualità, velocità e appropriatezza del sevizio.
• Va superato il sistema contabile fondato sulla competenza giuridica per passare al bilancio di cassa, che consentirebbe di collegare le risorse all’efficienza delle amministrazioni e di responsabilizzare il management.
• Vanno superate le misure lineari che ingessano i servizi e non determinano di per sé un processo di razionalizzazione. E invece incentivati piani di riorganizzazione e ottimizzazione in ogni ente, capaci di coniugare attraverso la contrattazione integrativa riqualificazione della spesa, valorizzazione di professionalità e ottimizzazione dei servizi. Il percorso di integrazione dei fondi va ampliato a tutte le possibili forme di riorganizzazione: di processo, di costo, e rendendo vincolante l’esame del piano, anche su proposta sindacale, soprattutto se riguarda ipotesi di internalizzazione e/o integrazione tra amministrazioni.
• Informatizzazione delle procedure amministrative, attivazione di banche dati condivise, digitalizzazione dei servizi, interoperabilità delle amministrazioni. Vanno impostati piani di informatizzazione per settori e per servizi, e attivato un piano di formazione straordinario affinché possano contare su un personale qualificato. Ad esempio, per anni è stata promessa la carta d’identità elettronica, sarebbe il momento di realizzarla.

La contrattazione
Rilanciare la contrattazione come strumento di governo e risposta ai bisogni del settore pubblico:
- costruire un modello di partecipazione innovativo,
- rispondere ai mutati fabbisogni professionali,
- rendere flessibili modelli organizzativi troppo gerarchici,
- mettere a disposizione dell’innovazione e della reingegnerizzazione delle P.A. istituti contrattuali aggiornati e adeguati,
- mettere fine ad un blocco pluriennale che ha fatto arretrare gravemente le retribuzioni dei dipendenti pubblici.
La qualità dei servizi dipende da una migliore qualità del lavoro che va garantita anche rilanciando la contrattazione aziendale su tutti i fattori della produttività e del rapporto di lavoro: orari, organizzazione del lavoro, produttività, formazione, istituti partecipativi.
Occorre coniugare il ruolo normativo ed economico generale del contratto nazionale e la funzione organizzativo/sociale del contratto integrativo.
Vanno affidati al secondo livello: la definizione di parametri, criteri e percorsi di riorganizzazione; l’individuazione di spazi di spesa improduttiva da recuperare per finanziare programmi di produttività collegati a riconoscimenti retributivi; la flessibilizzazione dei modelli operativi; la promozione di forme di contrattazione integrativa/territoriale di servizio che coinvolga diversi enti e comparti.

 

11 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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