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Confermata assoluzione chirurghi che non avevano rilevato precedente errore diagnostico del radiologo: “La responsabilità d’équipe non vale in assoluto”


Secondo la Corte di cassazione rientra tra gli obblighi di ogni singolo componente di una équipe chirurgica prendere visione, prima dell'operazione, della cartella clinica per verificare la necessità di adottare precauzioni in base alle condizioni del paziente ed eventualmente segnalare eventual i errori diagnostici di altri specialisti, ma in caso di diverse specialità e necessità di competenze che non ha un medico in generale, dove cioè serve uno specialista con comprovata esperienza in un determinato settore, il discorso non è più valido. LA SENTENZA.

11 NOV - L’obbligo di diligenza non tocca solo a chi effettua un intervento, ma all’intera équipe che segue, per le sue competenze, un paziente, anche con il controllo di ciascuno sull’operato dell’altro e sugli errori che siano evidenti e non settoriali.
 
È un principio consolidato e ribadito a livello generale dalla Cassazione, che tuttavia nel caso specifico della sentenza 26307/2019 (terza sezione civile) ha affermato che se le specializzazioni coinvolte sono diverse e il caso non è di normale entità, non può considerarsi valido il principio.
 
Dando così ragione alla Corte d’Appello che nella vicenda ha esentato alcuni medici chirurghi dalla responsabilità di équipe, riconoscendo il principio esposto dai periti della Corte territoriale secondo i quali "non è affatto atteso che uno specialista di una disciplina possa o debba contrastare o smentire con la propria valutazione quella dello specialista della specifica disciplina oggetto dell'iniziale valutazione”.  

Il fatto
I parenti di una donna con neoplasia mammaria avevano chiesto il risarcimento del danno rispetto al trattamento terapeutico a cui era stata sottoposta la donna che aveva patito un errore diagnostico provocato dall'errata interpretazione dei radiogrammi mammari da parte dei radiologi, al quale era conseguito un ritardo diagnostico di circa un anno.

Il Tribunale, in primo grado, aveva condannato sia i radiologi che i chirurghi al pagamento di 240.855,28 euro oltre agli interessi.

Ma la Corte d'appello ha deciso poi per l'esenzione di colpa dei chirurghi perché la loro condotta era stata giudicata coerente con la buona pratica clinica, avendo adottato provvedimenti terapeutici in linea con le evidenze cliniche e con le indagini strumentali effettuate dallo specialista della disciplina; l'incisione chirurgica di accesso era stata praticata in sede periareolare, l'unica via di accesso attraverso cui le microcalcificazioni retroarticolari evidenti nei radiogrammi potevano essere asportate; le diverse sedi erroneamente indicate in cartella clinica come sede delle microcalcificazioni non erano mai state evidenziate sul radiogramma né dal radiologo, né nel corso della riunione del collegio peritale; la malattia neoplastica da cui era affetta la donna (carcinoma mammario bilaterale, con metastasi linfonodali ascellari multiple) poteva essere definita a rischio medio-elevato; la ripetizione dell'esame mammografico prima dell'intervento si poteva ritenere senz'altro superflua per intervallo breve di tempo intercorso fra l'esecuzione della precedente mammografia e l'intervento chirurgico.

La Corte d’Appello, inoltre, rispetto a quanto sottolineato dai periti dei ricorrenti in secondo grado secondo i quali "da uno specialista senologo e oncologo doveva attendersi una corretta interpretazione dei radiogrammi, e dunque l'identificazione della presenza di un nodulo nei quadranti
mammari inferiori", ribaltava l'affermazione ponendo facendo propria la posizione del collegio dei consulenti, secondo il quale, "non è affatto atteso che uno specialista di una disciplina possa o debba contrastare o smentire con la propria valutazione quella dello specialista della specifica disciplina oggetto dell'iniziale valutazione. Peraltro, nonostante successivi e ripetuti radiogrammi eseguiti dopo l'intervento chirurgico, interpretati da due specialisti in radiologia, si è dovuto attendere quasi un anno prima che gli stessi specialisti radiologi ponessero indicazione all'esecuzione di un prelievo per scopi diagnostici, con ciò documentando inconfutabilmente la difficoltà diagnostica delle lesioni da cui era affetta la donna, che certamente non avrebbero potuto essere valicate da altri se non da uno specialista in radiologia con prolungata esperienza in ambito senologico".

E secondo i consulenti il chirurgo oncologo non avrebbe proprio per questo mai dovuto “procedere di propria iniziativa all'eventuale asportazione del nodulo peraltro mal definibile nel radiogramma, in assenza della sua preliminare verifica diagnostica isto-citopatologica da effettuarsi a mezzo prelievo con ago la cui indicazione avrebbe dovuto essere posta dal radiologo senologo, qualora avesse inteso il nodulo mal definibile, presente nel predetto mammogramma, meritevole di ulteriori approfondimenti diagnostici, ciò che evidentemente non fu".

La sentenza
I parenti della donna hanno fatto ricorso per Cassazione per ricomprendere la colpa dei chirurghi e la Corte, richiamando anche la giurisprudenza penale, ha preminalarmente sottotolineato come nel caso di intervento chirurgico di équipe e in caso di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, anche se non contestuale, ogni medico, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza legati alle sue funzioni specifiche, deve osservare gli obblighi che derivano dalla convergenza di tutte le attività mirate alla cura del paziente.
 
Secondo la prassi infatti, come spiega la sentenza, che richiama una precedente decisione della Cassazione: “in presenza di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, svolta non contestualmente come nel caso di specie, rientra pertanto fra gli obblighi del sanitario il controllo sull'operato e sugli errori di altro sanitario. I limiti dell'obbligo in discorso sono rappresentati dal carattere evidente e non settoriale dell'errore altrui, come tale rilevabile ed emendabile con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio”.

Ma nel caso specifico la Cassazione ha sottolineato che “il giudizio di fatto del giudice di merito è stato dunque nel senso che il grado di difficoltà diagnostica delle lesioni era superabile solo da ‘uno specialista in radiologia con prolungata esperienza in ambito senologico’”.

“L'errore altrui – prosegue la sentenza - secondo tale giudizio di fatto non era evidente e non settoriale, tale da essere rilevabile con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, ma era suscettibile di percezione solo sulla base delle cognizioni settoriali dello specialista radiologo, "con prolungata esperienza in ambito senologico". Si tratta di giudizio di fatto, non sindacabile nella presente sede di legittimità se non nei limiti della denuncia di vizio motivazionale”.

Secondo la sentenza “ritenere quest'ultimo esente da responsabilità non sarebbe conciliabile con la rilevata responsabilità del radiologo. L'apparente contraddizione si scioglie ove si consideri che l'errore del radiologo è stato ravvisato sulla base di un parametro di valutazione della condotta del professionista che non appare estensibile a quella del chirurgo nell'ambito della cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica. Il parametro è quello dello ‘specialista in radiologia con prolungata esperienza in ambito senologico’, il quale è rilevante sotto il profilo dell'articolo 1176 c.c., comma 2, per valutare se vi è stato adempimento dell'obbligazione da parte del radiologo ma, in quanto implicante cognizioni settoriali eccedenti le comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, non può costituire criterio di valutazione dell'esattezza dell'adempimento nell'ambito della cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica per la quale l'obbligo di controllo dell'errore altrui è esigibile se quest'ultimo è evidente e non settoriale, tale da essere rilevabile con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio”.

Quindi “il giudizio di fatto del giudice di merito in ordine all'estraneità al contenuto dell'obbligazione del chirurgo di un dovere di controllo stante il riferimento al parametro dello ‘specialista in radiologia con prolungata esperienza in ambito senologico’ esclude ab initio la possibilità che possa venire in rilievo una violazione della diligenza generica di cui all'articolo 1176 c.c., comma 1, la quale, in quanto rilevante per stabilire se c'è impossibilità della prestazione imputabile al debitore (articolo 1218), non può operare una volta che si sottragga dal campo della prestazione la specifica condotta professionale. La censura in termini di apparenza della motivazione è dunque da disattendere”.

Perciò, secondo la Cassazione, nessun ricorso che coinvolga i chirurghi è accettabile e “alla luce delle alterne vicende processuali e della peculiarità del caso, che ha comunque visto riconoscere una responsabilità professionale (quella dei radiologi), sussistono giusti motivi (solo) per la compensazione delle spese”.

11 novembre 2019
© Riproduzione riservata

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