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Medici di famiglia. Se non ora, quando?

di Enzo Bozza

21 FEB - Gentile Direttore,
se c’è una cosa che supera l’arrogante, fastidiosa inconsistenza del governo nelle questioni sanitarie, è la lamentosa litania dei miei colleghi medici di base che hanno assunto l’apotropaica ed evangelica sottomissione al fato, con la postura tipica del pensionato in visita ai cantieri, criticando tutto e tutti ma sempre con le mani dietro la schiena e l’occhio torvo di chi la sa lunga ma si sottomette al volere degli dei. Ma tutte le mancate soluzioni ai tanti problemi della medicina di base che sarebbero risolti con una genialata governativa che aspettiamo da circa due secoli, ovvero la dipendenza, hanno a che fare non con la volontà degli dei, ma con una necessità ultrauranica che li sovrasta: l’ananke dei greci: la necessità del cosmo che vuole le sue leggi immutate.

Rimane immutata la convinzione di circa sessanta governi che i problemi di salute del territorio si debbano affrontare con un esercito preso in affitto. Perché tali siamo: medici non dipendenti dal servizio pubblico ma pagati un tanto al chilo come i sanniti dell’esercito romano, mandati in prima linea perché particolarmente incazzosi e pronti a menar le mani, ma mai opliti di Roma. Giulio Cesare la sapeva lunga in fatto di strategia bellica e aveva capito chi piazzare davanti alle legioni. Tra l’altro, i sanniti morti non venivano mai conteggiati, perché non erano romani.

Noi continuiamo ad essere in prima linea, sul territorio ad affrontare i problemi di salute della gente, nonostante le mille corbellerie aziendali e la perniciosa miopia cerebrale governativa. Il cervello può essere miope solo se si tratta di cervelli ministeriali, concetto politico, non medico. Solo così si spiega l’attaccamento al tragicomico concetto che il medico di base debba essere, si subordinato a tutto e a tutti, ma giammai dipendente pubblico di uno stato che dice di volerci bene e poi ci tratta a calci nelle terga. E ai calci ci siamo così abituati da riuscire solo a borbottare tra noi come pensionati in coda davanti all’ufficio postale. Sempre pazienti ma mai determinanti, né determinati a cambiare le cose.

E questo è il punto nodale di tutta la questione: non siamo mai stati e non ci sentiamo una categoria lavorativa. Nessuna compattezza e nessun vero peso sindacale, siamo cani sciolti e abituati al lavoro in solitudine senza nessuna vera programmazione, né tutela. Non è un caso il fatto che da quaranta anni nulla è cambiato, nemmeno con l’evidenza di una profonda crisi pandemica, nemmeno davanti alla fuga di tanti di noi. Da qui la amara constatazione della nostra insipienza e la più grave totale incapacità dei nostri sindacati di rappresentare e tutelare la nostra categoria-NON categoria. Le nostre chat grondano di malumore, risentimento, rabbia, solitudine ma manca la forza e la convinzione per scendere in campo e far valere, una volta per tutte, la nostra professionalità e l’importanza del nostro lavoro per il SSN.

Sarebbe ora di smetterla con gli inconcludenti piagnistei da cuori solitari e dare concretezza al malumore. Oppure, dichiariamoci sconfitti e specie in via di estinzione. Probabilmente l’ananke ha deciso che non serviamo più all’economia del cosmo: prendiamone atto. Però basta con i piagnistei da prefiche in lutto perpetuo, poteva bastare l’umiliante marginalità in cui siamo finiti nel sistema cure, non mettiamoci pure l’inconcludente, indecente e indegno proclamarci vittime sacrificali sull’altare della sanità pubblica. Dipende solo da noi. Facciamo un comitato di base nerboruto e incazzato come i sanniti e mettiamoci in prima fila: il posto che ci spetta da secoli.

Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore (BL)

21 febbraio 2023
© Riproduzione riservata

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