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Per evitare accessi non urgenti al Pronto soccorso servono strutture in grado di intercettarli

di Beniamino Susi

07 MAR -

Gentile Direttore,
in relazione all’articolo “Pronto soccorso, codici bianchi agli infermieri? Un percorso con molte insidie”, pubblicato su QS del 1 marzo us, firmato dal dott. Giuseppe Belleri di Brescia, mi permetto alcune considerazioni generali, lasciando quelle più tecniche a chi il triage lo conosce bene e lo pratica: gli infermieri.

Nella situazione di disastro in cui versano da anni i pronto soccorso di tutta Italia, con una forte carenza di medici ed infermieri e il pericoloso fenomeno del boarding (l’impossibilità a ricoverare per la mancanza di posti letto), pensare ed affermare che siano gli “accessi impropri” il problema principale del pronto soccorso, non solo è azzardato ma è anche fuorviante.

Intanto perché - e non è populismo - se un paziente si reca in PS per un problema di salute la motivazione è spesso legata al fatto che non sa a chi altri o dove altro rivolgersi. Tutto è troppo spesso facilmente criticabile a posteriori!

Aggiungo inoltre che - ad esempio – trattare una crisi di panico per chi l’ha vissuta da paziente o da operatore sanitario, non è certo una passeggiata, anche perché normalmente il paziente non indossa una maglietta che riporta la sua diagnosi. Certo, letta poi a posteriori, la crisi di panico di per se non è ”grave”, ma certamente non è considerabile in prima battuta come una “bassa priorità” o come “accesso inappropriato”.

E poi c’è un altro dato da analizzare: qual è il peso della non urgenza? Dei codici 5 per intenderci! La risposta è il 5-10 % e … possiamo dirci sicuri che per tutti non sia necessario richiedere accertamenti?

Infatti lo stesso collega più avanti scrive: ”Da uno studio in Veneto emerge che l’81% dei codici bianchi e il 90% dei verdi richiede in PS prescrizione di esami ematici, radiologici, strumentali e consulenze”.

Riportare - come ha fatto il collega - che i codici bianchi vanno a seconda delle regioni dal 5 al 50% è poi un dato inquietante, ma reale, sul quale riflettere.

Innanzitutto emerge che le linee guida sul triage pubblicate dalla Conferenza Stato-Regioni il 1 agosto 2019, ossia 4 anni fa, sono nella gran parte d’Italia inapplicate (e questo spiega la grossa differenza sul dato) ma anche che il collega, come molti che disquisiscono arditamente su triage e PS (un po’ come col COVID nel 2020) ignora che i codici sono diventati 5, che il giallo è sparito e che il sistema di by-passare la visita medica ai casi “apparentemente semplici”, si chiama See&Treat, previsto dalle LLGG ed è stato sperimentato ed è attualmente in vigore in Toscana, senza che siano stati segnalati eventi avversi.

In Toscana il percorso è stato lungo diversi anni, ha comportato un notevole investimento economico, perché sono stati formati TUTTI i medici, gli infermieri e gli OSS dei PS regionali. Si è attuata una lunga sperimentazione, è stato pubblicato un corposo manuale poi distribuito agli operatori.

Un percorso virtuoso così disegnato mette in sicurezza il paziente che rimane comunque libero di seguire il percorso tradizionale.

Concordo col collega sulla pericolosità di lavorare in PS e sulla necessità di poter ponderare le situazioni e fare le scelte diagnostiche e terapeutiche con i tempi che i vari quadri clinici richiedono.

Quindi se non si risolve il problema della spaventosa carenza di organici e di quel cancro che corrisponde al boarding, metteremo sempre più a rischio la gestione dei malati - tutti i malati – e del PS, riguardo spazi, organizzazione, risorse, tranquillità operativa.

Fast track (la possibilità di accedere su quadri definiti a consulenza specialistica senza passaggio dal PS) e See&Treat sono due modalità previste dalle LLGG del 2019, sperimentate con successo negli anni in varie nazioni e, come dicevo, nella regione Toscana, a testimonianza dell’evolvere del percorso culturale degli infermieri d’urgenza, che arrivano comunque ad esercitare il triage dopo corsi specifici ed un’esperienza triennale di area critica. Oltre al fatto che si tratta sempre di agire su procedure condivise.

Formazione e condivisione sono gli strumenti necessari per questi percorsi “alternativi” ma di certo se vogliamo veramente evitare che gli accessi non urgenti non entrino in ospedale è fondamentale che ci siano fisicamente ed operativamente le strutture in grado di intercettarle. Il PNRR è una grossa opportunità ma costruire case della salute e ospedali di comunità senza la certezza della disponibilità del personale che ci lavori dentro appare oggettivamente come un grande incubo.

Beniamino Susi

Vice presidente SIMEU - Società Italiana Medicina Emergenza Urgenza
Co-Direttore Faculty triage SIMEU



07 marzo 2023
© Riproduzione riservata

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