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Nomine Dg. Tutti i limiti della proposta di Crisanti 

di Marco Geddes da Filicaia

19 MAG - Gentile Direttore,
da alcuni giorni gira su Change.org e ampiamente ripresa da vari quotidiani una petizione a sostegno di un disegno di legge di iniziativa del senatore Crisanti che intende modificare le procedure di nomina dei direttori generali del Aziende sanitarie. Il Ddl prevede che tali nomine siano effettuate da una Commissione istituita dall’Anac e composta da rappresentanti dei medici, degli operatori sanitari, da un rappresentante delle associazioni dei pazienti e da uno delle istituzioni territoriali (Camere di commercio? Fondazioni? Associazioni di volontariato?).

Confesso che tale proposta, che raccoglierà certo consensi accarezzando i sentimenti di una diffusa “antipolitica”, mi ha lasciato assolutamente sbigottito, anche perché proveniente da una persona che per più aspetti stimo.

Il senatore Crisanti sa – o dovrebbe sapere – che i direttori delle Aziende sanitarie devono avere un particolare curriculum, titoli di studio e qualifiche, (quali esperienza dirigenziale di almeno un quinquennio) precisamente normate; devono avere partecipato a una formazione specifica presso alcune istituzioni, (ad esempio l’Università Bocconi di Milano o La Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa), provvedendo periodicamente a un aggiornamento. Tali requisiti sono esaminati da una commissione nazionale che, attraverso una procedura selettiva mediante la valutazione dell’esperienza dirigenziale e dei titoli formativi e professionali, li iscrive in un apposito Albo presso il Ministero della Salute.

La Regione, tramite il “legale rappresentante”, cioè il Presidente, sceglie da tale elenco - dopo aver acquisito, per le Aziende Ospedaliere Universitarie, il parere favorevole del Rettore - il professionista a cui affidare, con un contratto pluriennale, la direzione dell’Azienda sanitaria.

Immagino che il senatore Crisanti ritenga che la Commissione da lui ipotizzata, composta da medici, operatori sanitari, rappresentanti delle associazioni dei pazienti nonché delle istituzioni territoriali sarà platonicamente immune da amicizie, parentele, raccomandazioni e connessioni professionali e politiche...

Una volta effettuate le proprie scelte la Commissione porterà al ministro della Salute l’elenco dei prescelti e il titolare del Dicastero, con apposito decreto, provvederà alla nomina?
Faccio sommessamente notare che questa strampalata procedura potrebbe avere una qualche giustificazione se la sanità nel nostro Paese fosse materia riservata al Governo nazionale.

Ma, come il Senatore sa – o dovrebbe sapere – il nostro assetto istituzionale, la nostra Costituzione, con le relative modifiche e integrazioni occorse negli ultimi decenni, affida alle Regioni la programmazione e gestione la sanità nell’ambito territoriale di loro competenza, avvalendosi delle aziende sanitarie locali (Asl) e delle aziende ospedaliere.

La Regione, pertanto, non è un Ente di controllo, quali ad esempio il Collegio dei revisori o la Corte dei Conti e alcune funzioni di controllo sono invece affidate a organismi centrali, quali ad esempio l’Agenas per i LEA.

Pertanto, risulta assolutamente logico che, in base a un rapporto fiduciario, la Regione, che è ha compiti di programmazione (forse troppo scarsamente attuata) e gestione, nonché è responsabile del bilancio complessivo, di cui quello sanitario rappresenta una porzione rilevantissima, affidi la Direzione delle sue aziende a una persona di propria scelta.
Persona che ha la qualificazione certificata, ma che condivide le strategie e le “politiche sanitare” dell’ente che gli affida tale incarico.

Peraltro è la Regione che provvede ad un coordinamento fra Aziende, a ripianare eventuali deficit finanziari attingendo ad altre voci del proprio bilancio, ad approvare norme e criteri di definizione e ripartizione del Fondo sanitario nazionale nell’ambito della Conferenza Stato Regioni, a intervenire con la leva fiscale di propria competenza, ove necessario, o ad essere commissariata dal Governo in caso di deficit finanziario, come è occorso a più Regioni per molti anni.

Mi è capitato, in occasione di incontri con colleghi che hanno funzioni di rilevo in Fondazioni pubbliche, Istituzioni di ricerca e Università, sentire opzioni analoghe a quelle rappresentate dal collega Crisanti mentre giustamente evidenziano che varie procedure di acquisizione di personale seguono modalità concorsuali lente e complesse; auspicano pertanto che dovrebbe essere consentito al direttore generale o amministratore o segretario generale o presidente ecc. (secondo le funzioni attribuite dai diversi Statuti) di selezionarli in base al curriculum.

Tale procedura, fanno notare, è quella logica poiché chi dirige o è proprietario (il Consiglio di amministrazione) poi ne risponderà e verrà giudicato - come nel mondo anglosassone (si osserva con giusta o malcelata invidia) - sul piano del prestigio della istituzione che dirige, del “rating” in termini di pubblicazioni, fama, brevetti, contratti di ricerca ecc.

Ma per una Regione non è sostanzialmente la stessa procedura che viene in tali casi auspicata, limitatamente alla direzione di un numero ormai ridotto di Aziende territoriali o miste (in tal caso con il parere della Università)?

Pertanto tutto bene? Non sempre ovviamente. Dipende dalle capacità della Regione di scegliere adeguatamente e di dare obiettivi precisi ai propri amministratori. Vi è poi, si fa da più parti notare, un problema di eccesiva “personalizzazione” dei Presidenti di Regione. Un problema che è emerso progressivamente a seguito del sistema di elezione diretta e, contestualmente, di un indebolimento e instabilità dei partiti e della loro capacità, attraverso la propria rappresentanza nei Consigli regionali, di controllo e di bilanciamento dell’esecutivo (anche in termini di carriera politica futura: parlamentare, parlamentare europeo ecc…); un potere esecutivo intestato sostanzialmente sulla figura del Presidente.

Anche le aziende private funzionano in relazione alla capacità degli azionisti e dei loro consigli di amministrazione di indicare obiettivi e di scegliere adeguatamente i propri amministratori.

La questione è analoga per le aziende pubbliche. Anche queste funzionano, e spesso con risultati migliori di quelle private, come dimostrano ricerche in vari Paesi europei: la produttività totale delle imprese pubbliche è maggiore di quella delle imprese private, ma solo nei paesi con indicatori di elevata qualità dei governi; altrimenti è vero il contrario! (Massimo Florio, La privatizzazione della conoscenza, Laterza).

Vi è quindi un generale problema di formazione e qualità della “classe politica”, anche a livello regionale… Ma questo è un altro tema e certo la proposta che viene avanzata dal senatore Crisanti non porta alcun rimedio.

Marco Geddes da Filicaia

19 maggio 2023
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