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Autonomia differenziata e a responsabilità limitata

di Salvatore Zavettieri

05 FEB - Gentile Direttore,
il 23 gennaio 2024 è stato approvato dal Senato con 110 voti favorevoli dei partiti di maggioranza e del gruppo per le autonomie il cosiddetto ddl Calderoli, ovverosia il disegno di legge governativo per l’autonomia differenziata. Esso si snocciola in 10 articoli, nei quali viene regolamentata, nell’ambito del titolo V Stato-regioni, l’autonomia differenziata. Ma è la salute il tema più delicato oggetto di dibattito. Non solo rappresenta una delle voci più significative nei bilanci regionali, ma è anche chiaramente differenziata e differente, sotto gli occhi di tutti, di regione in regione (in barba, alcuni dicono, alla gratuità e universalità del SSN).

La riforma, sempre secondo i guru massmediologi, andrebbe a dare un colpo di grazia alla sanità pubblica, vuoi remando contro il Pnrr, vuoi rafforzando il divario assistenziale Nord-Sud. In realtà, proviamo a cambiare la prospettiva di questa faccenda: il taglio autonomistico del ddl, a rigor di logica, rappresenterebbe un momento ideale per responsabilizzare l’Italia tutta su entrate/uscite, risorse, LEA e LEP, su cui ruota sostanzialmente l’intera assistenza sanitaria regionale.

È lapalissiano che alcune regioni (peraltro in costante deficit) non abbiano mai invertito o perlomeno sanato la rotta del dissesto. La centralizzazione, così come la si vuole intendere da decenni, in maniera garantista, non ha funzionato e non funziona. Le poche superstiti regioni virtuose, zavorrate da responsabilità nazionale, sono frenate nel loro affaccio di respiro europeo (la sanità lombarda non dovrebbe invidiare quella inglese o quella svizzera).

Smettiamola, quindi, con finti moralismi e guardiamo in faccia la realtà: non si tratta di libero mercato (come si vuol far credere), ma di saper bene amministrare risorse di cui ci si fa carico per il buon andamento di ogni singola regione (non ultima l’assistenza sanitaria). Si provveda, piuttosto, a rendere attrattive e competitive sul territorio nazionale le strutture ospedaliere (in particolare mi riferisco agli ospedali del Mezzogiorno), a ben amministrare e gestire in maniera produttiva le stesse, a investire su medici e personale sanitario.

Ricordiamo che i finanziamenti e il riparto regionale dei fondi per la sanità sono frutto di una analitica valutazione di criteri variabili della popolazione, nella fattispecie parametri anagrafici, quali residenti, frequenza dei consumi sanitari, tasso di mortalità, eccetera. Da ciò vengono fuori degli indicatori, poi, che definiscono se le regioni garantiscono o meno i LEA, ovverosia i livelli essenziali di assistenza. Chiaramente già sussiste sul territorio nazionale una eterogeneità dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi, i cosiddetti LEP, a riprova che ogni regione ha dei fabbisogni peculiari.

Ricordiamo, altresì, che da riparto dell’ FSN per l’anno 2023 (stimato sui 128.005,20 milioni, al netto dei 864 milioni da destinare al Fondo per il concorso al rimborso alle Regioni delle spese per l’acquisto di farmaci innovativi) sono 220 i milioni di euro che nel 2023 sono stati spostati da Nord a Sud tenendo conto dei cosiddetti “coefficienti di deprivazione”, ovverosia di vari elementi che svantaggerebbero le regioni del Sud rispetto a quelle del Nord. Questa è un’ulteriore riprova che comunque dal governo vi sia il chiaro intento di sostenere e garantire il più possibile una sorta di uniformità di assistenza sanitaria sul territorio nazionale.

Pertanto, ribadisco e concludo, che occorre cogliere il nuovo ddl con incoraggiante stimolo a voler pareggiare i conti col passato e proiettarsi in un futuro, sottolineo, di “maggiore responsabilità”, e quindi di vera opportunità per favorire lo sviluppo dei territori.

Dott. Salvatore Zavettieri
Specialista in Chirurgia Vascolare
Medico di Medicina Generale ATS Brianza

05 febbraio 2024
© Riproduzione riservata

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