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Ma perché l’infermiere dovrebbe “alleggerire” il medico?

di Marcella Gostinelli

20 NOV - Gentile Direttore,
sono una infermiera, di quelle che non assiste, di quelle “imboscate” negli uffici direzionali, ho letto i diversi articoli sulle professioni, infermieri –medici e vorrei dire quello che penso nel merito. Personalmente non darei molto peso all’articolo di Pirani i cui contenuti riflettono un pensiero ormai vecchio, troppo vecchio, contaminato, incapace di percepire il nuovo, pensato da una mente ormai gremita di cose note, dove non c’è più spazio per l’ignoto o per l’appena conosciuto o il presente.
 
Un pensiero neanche più demagogico, che cerca un consenso popolare che non avrà perché punta su un’emotività non più attuale o facendo mostra di condividere rivendicazioni o malumori di questo o di quell’altro portatore di interessi, nello specifico il medico, un certo tipo di medico (Abbati, Melotti, Vergallo?) quello che ha ancora bisogno di aggrapparsi al conosciuto perché insicuro, per rivendicare un professionalismo che vuole ancora riproporsi in termini di medical dominance, vale a dire in termini di controllo esercitato dai professionisti medici. 
 
Freidson nel 1973, quando si iniziò a porre in dubbio il potere della medicina, sosteneva che il dominio della medicina poteva anche ristratificarsi purchè le diverse limitazioni provenissero da altri medici e avessero un fondamento esclusivamente clinico. Quindi il professionalismo medico rinasceva allora e vorrebbe riconfermarsi oggi con le stesse caratteristiche, con medici gestiti e medici gestori,una elite che vorrebbe continuare ad esercitare una considerevole autorità non solo sul controllo del proprio lavoro , sui pazienti, ma anche sulle politiche sanitarie, e sulle altre professioni sanitarie.
 
Il medico sappia però che se questo rimane il pensiero, se l’elite mantiene i suoi impegni, se vuole mantenere il controllo unico su tutto allora rinuncia all’etica professionale, ad un’etica adulta caratterizzata dalla convivenza di molteplici prospettive non riducibili le une alle altre, ad un’etica post moderna, chiamata ad uscire dalla sua infanzia epistemologica. Ma anche di questo non mi preoccuperei eccessivamente perchè la logica professionale statica porta ad una forma di regolazione che si contrappone a due forme meglio conosciute e diffuse e ad una forse meno conosciuta ed affermata ma in via di risoluta affermazione: quella del mercato in cui sono i pazienti -consumatori a controllare le condizioni dello scambio dei servizi sanitari. 
 
Pazienti sempre più consapevoli-esigenti, il controllo burocratico di questo scambio che non è più nelle mani dei manager medici e neanche dell’etica, ma dell’economia o meglio dell’economicismo e infine l’affermarsi del professionalismo ideal-tipico infermieristico che si basa sui valori di salute e di servizio, esattamente come quello medico ma che a differenza di questo è dinamico perché nasce come processo di professionalizzazione e deprofessionalizzazione insieme a causa della subordinazione alla professione medica e alle logiche di razionalizzazione, ma anche al declino della dominanza medica cosi come intesa negli anni ed al riconoscimento sociale della professione infermieristica come professione intellettuale e di aiuto .
 
Ricordo di Pirani la brutale domanda “Chi pulisce il culo al vecchietto” in un articolo su Repubblica una domanda spogliata di ogni pudore che percepii allora come demagogica e irrispettosa dell’uomo in quanto tale, cosi oggi, quando scrive sugli infermieri «Gli infermieri rappresentano solo il potere che governa oggi gli ospedali»" quel “solo”, sono d’accordo con la Presidente Silvestro in prima lettura è spiazzante, davvero riduttivo, dispregiativo direi, poi però senti che è un’espressione, priva di creatività e dunque, si capisce che chi l’ha scritta è ormai incapace di recepire il nuovo ed onestamente non me la sento neanche di spiegare al giornalista Pirani e a quelli che la pensano come lui, medici non medici, che per capire chi è oggi l’infermiere dovrebbero prima capire il processo del loro pensare che è come cominciare un viaggio senza avere nulla addosso e che ahimè non richiede una conoscenza tecnica, nello specifico quella del giornalista o del medico per quanto grandi essi siano, ma richiede di cominciare da loro stessi, perché la conoscenza porta nella pratica all’ autoproiezione, per proteggere se stessi, ma cosi non ricercherà mai la verità, quello che è. 
 
Questa modalità di conoscere, gli infermieri l’hanno imparata dalle persone malate che non proiettano mai loro stessi, i loro pensieri su ciò che si determina, sulla malattia e che per indossare gli abiti da malato hanno bisogno di tempo, di osservarsi senza giudizio e di non portarsi dietro il bagaglio del loro conosciuto, perché quella conoscenza quel bagaglio non li rende consapevoli della verità e non li aiuta. Un malato per sperimentare al meglio la malattia deve avere la mente calma, non gremita, docile e per questo la conoscenza appresa, vecchia rappresenta per loro un impedimento. Impedisce di capire cosa sta accadendo qui ed ora a chi vuol cercare di capire ciò che è fuori dal previsto, dal desiderato, dall’atteso, la malattia, l’altro. 
 
La consapevolezza di “ciò che è”, è osservazione silenziosa. Dice bene la collega Edi Sostero quando afferma che se si intende parlare, dire sugli infermieri è necessario prima comprenderli, osservarli, non criticarli solo, non si deve perseguire la conoscenza degli infermieri come un piacere o evitarla come non- piacere. Questo non vale solo per i giornalisti, ma anche per i tanti medici che non ci vorrebbero dietro le scrivanie, che non vorrebbero riconoscere agli infermieri altra razionalità che quella tecnico-scientifica . 
 
Ma chi è l’infermiere oggi? Che tipo di professionista è? L’infermiere oggi è un professionista che trattiene presso di sé quello che genera perché non si sente autonomo nel porsi perché la norma non ha ancora cambiato la prassi e per avere un minimo di titolarità, intesa come insieme di poteri , delega alla tecnica l’attività assistenziale sminuendo cosi l’autonomia dei suoi giudizi e quindi dei suoi atti. Si è invece convinti che sia necessario accentuare la natura relazionale della funzione assistenziale rispetto alla quale c’è una forte domanda sociale e rispetto alla quale l’infermiere diviene il principio, cuore e cervello di un altro modo di conoscere, di scegliere, di decidere di concepire la complessità, di demarcare ciò che è logico da ciò che non lo è; un altro modo di essere presenza,assistenza. 
 
Per finire chiedo ai medici ed agli infermieri ma soprattutto a Saverio Proia: “esiste una riflessività istituzionale che porti i professionisti medici ed infermieri ad interrogarsi sui valori adottati (salute, servizio) e a confrontarsi insieme sull’ampiezza sociale della loro condivisione? Se sì, perché l’infermiere dovrebbe sentirsi valorizzato a fare attività che alleggeriscono il medico? Il valore di Servizio il medico lo agisce se alleggerito di alcune attività? E l’infermiere, alleggerendo il medico facendo alcune attività tecniche risponde alla domanda sociale?
 
Marcella Gostinelli
Dirigente sanitario, Centro oncologico fiorentino,Sesto fiorentino

 

20 novembre 2012
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