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A larghi passi verso (quale?) Pnrr  

di Gilberto Gentili

17 APR - Gentile Direttore,
ci avviamo a passi veloci verso le scadenze imposte dal P.N.R.R. in merito alla ridefinizione degli assetti erogativi della assistenza primaria. Le case della comunità sono già attive ed in parte operative, almeno in alcune regioni, e ferve il dibattito sulle prime considerazioni che possono essere fatte in merito a queste strutture.

Quel che appare già evidente è la vocazione tutta italiana alla identificazione della “struttura” tipica della nostra cultura sanitaria che con le case della comunità, come già in essere per gli ospedali ha centrato il focus sul contenitore tralasciando i contenuti. Tale difficoltà semantica la troviamo anche nel concetto di ospedale di comunità che nulla dovrebbe avere in comune con gli ospedali classici, ma che appare rassicurante se supportato da questa definizione.

Le certezze date da un finanziamento per il sistema territoriale, esplicitato dal D.M. 77 del 23 Maggio 2022, parevano aver fornito elementi che, direi finalmente, postulassero una definizione programmatoria e pianificatoria chiara.

In realtà ciò pare non essere avvenuto: la minaccia che si intravedeva negli atti di programma, ovvero la impossibilità di avere un numero di professionisti adeguato ai bisogni, è diventata realtà e possiamo già affermare che, nel breve, dovremo rivedere le azioni, operando scelte più coerenti con le risorse finanziarie e conseguentemente umane a disposizione.

Un infermiere di comunità ogni 3000 abitanti appare già un lusso dalla impossibile realizzazione e, ad oggi, direi non praticabile la contemporanea definizione di Ospedali di comunità, cure palliative ed A.D.I., quest’ultima gravata dall’ambizioso progetto di assistere il 10% della popolazione over65.

Ma le problematiche più difficili da esaminare sono certamente quelle relative ai rapporti di governo di una struttura che, già nella definizione di coloro che dovrebbero operarvi presenta una necessità di sinergia tra soggetti che rispondono ad almeno 4 modalità di contratto. Parrebbe, invero, che il Distretto debba avere un ruolo di organizzazione, in forza del ribadito riconoscimento della autonomia tecnico gestionale ed economica finanziaria con contabilità separata, e di un budget dedicato. Trattasi di enunciazioni già presenti in disposti legislativi precedenti (Art.3 quater D.L. 29/1999 riforma ter - Legge Bindi), ampiamente disattesi sia per incapacità delle Direzioni distrettuali, mantenute storicamente in situazioni di vassallaggio rispetto alle Direzioni Generali, sia per oggettive difficoltà alla definizione di “ciò che è territoriale “ e “ciò che non lo è”.

Giova ribadire ancora una volta come già la nomina di un Direttore di Distretto avvenga in Italia attraverso almeno tre diverse procedure concorsuali con ciò sancendone un ruolo quanto meno confuso nel sistema e senza dubbio, laddove non attuata con modalità chiara, soggetta a revoche unilaterali che rendono il ruolo poco appetibile,

Temo che tali problematiche si possano riproporre nelle case di comunità impedendone un pieno ed organico sviluppo.

A questo si aggiunga la ritrosia della componente meno giovane della Assistenza primaria a entrare ed operare in queste strutture evidenziandone, a buon titolo, la non congruità con due dei punti essenziali della attività dei medici di Medicina generale: libera scelta e prossimità.

Giova peraltro ribadire il concetto di cure a casa che ritroviamo nel DM, ma che ad oggi vede le reti della telemedicina in grave ritardo di implementazione. Pleonastico ribadire che solo la telemedicina può raggiungere certe qualità della prestazione erogata in fasce di residenza difficilmente accessibili.

Le stesse U.C.A. paiono evoluzioni delle U.S.C.A. che tanto bene agirono sotto pandemia. Ma credo utile specificare che, un conto è agire in uno stato di emergenza conclamata ove parte dei medici era riluttante ad esercitare appieno il proprio ruolo, altro supportare la presa in carico dei pazienti (cronici?) mantenendo immutata al medico scelto la responsabilità clinica.

In sintesi credo di poter sintetizzare alcune proposte:

1) Rivedere la rete delle case di comunità diminuendone il numero e prevedendo una attivazione dei servizi in progress, onde non trasformarle in cattedrali nel deserto,

2) superare il concetto hub & spoke mantenendo quali spoke gli assetti associativi dei gruppi di medicina generale, migliore espressione in termini di risultati tra tutti quelli sperimentati negli ultimi 120 anni, magari rafforzandoli con personale amministrativo ed infermieristico,

3) puntare fortemente sugli specialisti ambulatoriali, a mio parere, sottovalutati ed oggi, anche in ottica telemedicina, indispensabili per fornire risposte ai pazienti,


4) rivedere la rete della continuità assistenziale che in molte Regioni è rimasta quella del periodo ante istituzione del 118, recuperando personale e portando le sedi a coincidere con la Casa di Comunità hub garantendo il 7 giorni su 7 e H24.

In buona sostanza dovremmo fissare attraverso la stratificazione della popolazione i soggetti di assistere strutturando il sistema da un lato su una base epidemiologica e analitica con controllo di gestione dedicato e dall'altro su una parte clinica fondata sulla assistenza primaria e sugli specialisti. Fulvio Moirano con la sagacia che gli è propria definisce il PNRR un lascito….non una rendita con ciò ammonendo il sistema a investire su beni duraturi che si autofinanzino negli anni a venire Costruiamo “cose” ……..che durino .

Dr. Gilberto Gentili
Coordinatore nazionale Chronic on

17 aprile 2024
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