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ll riformista che non c'è. A partire dalle nostre stesse professioni

di Massimiliano Paganini

05 NOV - Carissimo Direttore,
dopo aver letto il libro del professor Cavicchi vorrei anch'io unirmi al dibattito in corso sul suo quotidiano come hanno già fatto molti altri. Innanzitutto ringrazio il professore per analisi e soluzioni che lucidamente, approfonditamente e appassionatamente egli sviscera nel suo libro circa tre tematiche principali: la reinterpretazione dell'articolo 32 della Costituzione, la "ricostruzione" del concetto di medicina, la rivisitazione delle professioni e, quindi, dei professionisti che da "compitieri" debbono diventare "agenti cognitivi" (da ciò anche un ripensamento circa l'atto professionale).
Evito di entrare nel dettaglio delle tematiche citate sia perché il professore le ha già spiegate in una intervista, sia perché altri colleghi della sanità le hanno sviscerate su QS, sia perché se spieghiamo troppo il libro di Cavicchi c'è il rischio che qualcuno faccia a meno di comperarlo e il professore ci richieda i diritti d'autore.

Ne approfitto, quindi, per ripartire dal finale della lettera della dottoressa Paola Arcadi (Presidente Accademia Scienze Infermieristiche) dove afferma che i riformisti esistono e all'appello da lei rivolto: troviamoci!
Il punto è proprio questo: nei nostri reparti, ospedali, Asl, Regioni e, persino, Ministero esistono dei riformisti ed essi sono in numero maggiore rispetto agli anni novanta e primo decennio del duemila, ma certamente sono un po' dispersi, non coordinati e, soprattutto, con molta difficoltà riescono ad incidere nelle università, nella sanità, nelle istituzioni e nei tavoli ministeriali.

Avviene, così, che ancora oggi che è in atto una crisi del sistema che sta determinando scelte importanti da compiere ci troviamo nuovamente nelle mani dei vari "riformisti che non ci sono" ovvero a coloro che nella stesura di codici deontologici, documenti Ministeriali, linee guida, definizioni di atti e profili professionali continuano a riproporre una logica di una sanità passata e di concetti di cura e tutela obsoleti.
La logica del "riformista che non c'è" è quella che ha condotto la sanità, in seguito a inefficienze e sprechi, sotto logiche a volte troppo economiciste, che ha portato a conflitti e frustrazioni tra le professioni sanitarie, che ha causato tagli lineari al comparto e che, nel presente e in un futuro prossimo, assommerà a quanto già citato: revisione al ribasso dei Lea (oppure aumento della tassazione), incremento delle polizze assicurative, blocco dei turn-over e mancato rinnovo dei contratti.

La politica ha avuto ed ha delle responsabilità in tutto questo, ma non le principali. I “riformisti che non ci sono” si trovano anzitutto all’interno del comparto sanitario e gli istinti primitivi di conservazione, di paura ed emotivi negativi in generale si annidano anche tra i riformisti.
Dimostrazione sono alcuni passaggi di un paio di articoli scritti ad elogio del libro del professor Cavicchi dove, dopo un plauso generale, si è passati immediatamente al “particolare” della propria professione che, naturalmente, deve essere centrale al sistema sanità. I tolemaici li trovi dappertutto! Ma qui servono dei copernicani! E se il sole fosse il paziente?
Cantava Gaber: “Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”.
C’è sempre il rischio di non “mangiare l’idea”.

Il professore paragona e profetizza le professioni come delle “menti cognitive”. Ebbene i neuroscienziati ci insegnano che noi controlliamo solo il 5% del nostro cervello, mentre il restante 95%, dove sono collocati istinti primitivi ed emozioni, è controllabile solo indirettamente.
Di questo devono tenerne conto e ricordarsi anche i riformisti perché, come insegnano i Padri del deserto e il nostro Francesco d’Assisi, “la cosa più difficile è vincere se stessi!”.

Occorre uno sforzo e grande per essere “professionisti cognitivi” e non “compitieri” e per essere “copernicani” e non “tolemaici”.
Sempre parafrasando Gaber si potrebbe dire “io non temo il reazionario in sé, temo il reazionario che è in me!”
Il libro del professor Cavicchi può essere un ottimo punto di riferimento per un manifesto ed un programma dei riformisti.
Occorre, poi, dare al più presto la possibilità alla politica di "pescare" anche tra i “riformisti che ci sono” per progettare il presente e il futuro e, quindi, mi associo all'appello della dottoressa Arcadi: riformisti di tutta Italia, troviamoci!


Massimiliano Paganini
Tecnico Sanitario di Radiologia Medica

05 novembre 2013
© Riproduzione riservata

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