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Con la sanità integrativa lo Stato risparmia

di Marco Vecchietti

23 NOV - Gentile Direttore,
ho letto con attenzione il rapporto Health at a Glance Europe 2018, pubblicato il 22 novembre scorso su Quotidiano Sanità, e mi piacerebbe condividere alcune mie riflessioni soprattutto riguardanti la crescita della spesa sanitaria in Italia con l’obiettivo di avviare un confronto costruttivo tra gli addetti ai lavori.
 
Da tempo ritengo sia indispensabile supportare il Sistema Sanitario Nazionale con un Secondo Pilastro aperto a tutti e dunque “universalistico”, che rappresenterebbe l’unica alternativa per non costringere i cittadini a decidere se pagare di tasca propria o curarsi preservando i valori per cui 40 anni fa era nato questo servizio.
 
I dati parlano chiaramente: la percentuale della Spesa Out of Pocket supera la media Ocse (20,3) e pone il nostro paese all’undicesimo posto in una classifica dove al primo posto c’è la Lettonia e all’ultimo la Francia. Assicurare la Spesa Sanitaria Privata con la Sanità Integrativa costa molto meno che incrementare la spesa pubblica, dal momento che la spesa verrebbe pagata da fondi e polizze, mentre nel caso dell’estensione del campo di gioco del Servizio Sanitario Nazionale i costi aggiuntivi (e non solo quelli dei benefici fiscali) sono tutti a carico dello Stato.
 
Sostanzialmente è come dire: ponendo pari a 100 la Spesa Sanitaria da finanziare, nel caso di affidamento al S.S.N. di questa spesa lo Stato deve accollarsi un costo di 119 (100 di spesa + 19 di detrazione fiscale), nel caso di affidamento alla Sanità Integrativa, invece, il costo per lo Stato è solo 27 (aliquota IRPEF marginale media), necessario a finanziare il beneficio fiscale.
 
Bisognerebbe mettere a sistema risorse pubbliche e private superando il miraggio di LEA onnicomprensivi e formalizzando quello che già avviene nei fatti: ibridazione dei percorsi di cura.
 
Dall’indagine emerge anche un deficit di tipo organizzativo, in quanto l’Italia ha uno dei valori più bassi di posti letto per mille abitanti.In questa prospettiva il tema della disuguaglianza territoriale, già di per sè assolutamente rilevante, assume una rilevanza ancora maggiore per gli effetti a livello intergenerazionale che è in grado di favorire non solo dal un punto di vista economico, ma anche in una prospettiva sanitaria e demografica.
 
In quest’ottica anche sul rapporto tra Spesa Sanitaria Privata e PIL medio pro capite dei cittadini, credo che sarebbe necessario un maggior grado di approfondimento. Infatti, se è oggettivo che la spesa sanitaria privata media pro capite a Nord, dove il Servizio Sanitario Nazionale registra peraltro performance migliori, è più elevata non si può dimenticare che nella stessa area geografica anche il costo medio delle cure (per prestazioni sanitarie analoghe) ed il reddito medio per cittadino è più alto (34.000 Euro medi annui a Nord; 18.600 Euro medi annui a Sud, fonte MEF).
Se si osserva, infatti, l’incidenza della Spesa Sanitaria Privata sul reddito medio pro capite a Nord e a Sud si può agevolmente riscontrare come che le differenze siano minime (3,2% a Nord, 2,8% a Sud) a conferma che la necessità di integrare le cure garantite dal Servizio Sanitario Nazionale pagando di tasca propria è piuttosto omogenea in tutto il Paese.
 
Per comprendere fino in fondo, peraltro, la reale portata della Spesa Sanitaria Privata bisogna mettere in discussione altresì un’altra convinzione, a mio avviso non adeguatamente comprovata, in merito alla presunta “illegittimità”, da cui si fa derivare anche una conseguente “irrisarcibilità” da parte della Sanità Integrativa, di tutte quelle cure pagate di tasca propria riferibili a prestazioni sanitarie individuate all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza. Se si analizza, infatti, la funzione svolta dalla Spesa Sanitaria Privata emerge come mentre a Nord le cure che rimangono a carico dei cittadini hanno effettivamente natura “integrativa” del S.S.N., perché si riferiscono in grandissima parte a prestazioni non contemplate (in tutto o in parte) dai L.E.A. (in particolare, le cure dentarie), a Sud la medesima spesa è necessaria per ottenere, privatamente, prestazioni “teoricamente” ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza (segnatamente, diagnostica, specialistica e laboratorio).
 
Invece che continuare a trovare giustificazione ad una realtà che ormai non può più essere ingabbiata all’interno di un impianto teorico che ha segnato il passo, credo che sarebbe più responsabile prendere atto che oggi il Sistema Sanitario Italiano è già nei fatti un sistema “misto”, ovvero un sistema nel quale coesistono pubblico e privato. In questa prospettiva, poi, alla luce di una Spesa Sanitaria Privata che continua a crescere, per far fronte ai bisogni crescenti dei cittadini, e ad una Spesa Sanitaria Pubblica sostanzialmente stabile c’è da chiedersi se non sia preferibile affidare l’erogazione delle cure private ad un Pilastro Integrativo, anch’esso potenzialmente “universale”, gestito mediante strumenti privati ma con una governance pubblica o continuare ad ignorare il problema e lasciare che questi bisogni dei cittadini possano trovare una risposta solo per coloro che possono permettersi di pagare di tasca propria le cure necessarie.
 
In quest’ottica, onestamente, trovo piuttosto aprioristici anche i timori su un presunto effetto volano del Secondo Pilastro Sanitario rispetto a fenomeni di consumismo sanitario. Bisogna considerare, infatti, che i modelli di Secondo Pilastro europei, infatti, non si occupano dell’appropriatezza delle cure (diversamente da quanto avviene nei Paesi nei quali è il Primo Pilastro ad essere gestito con strumenti assicurativi), ma esclusivamente del loro finanziamento. Le prestazioni risarcite da Fondi e Polizze Sanitarie, in altre parole, sono prescritte nella stragrande maggioranza dei casi dal medesimo medico di base o curante al quale l’assicurato si rivolge per attivare le prestazioni presso il S.S.N.
 
Marco Vecchietti
Amministratore Delegato e Direttore Generale di RBM Assicurazione Salute

23 novembre 2018
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