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Breast Unit: dal 2016 ne sarà obbligatoria l’istituzione in Italia


16 OTT - Al centro delle cure c’è il paziente oncologico, attorno ad esso un pool di professionisti per garantire al paziente stesso l’utilizzo appropriato delle terapie migliori e una migliore qualità della vita. La Breast Unit risponde a questa mission importante. Grazie a questo modello culturale, infatti, che si esprime nell’assetto organizzativo dell’Unità, la persona cui viene fatta diagnosi di patologia oncologica può essere seguita lungo l’intero iter diagnostico-terapeutico da un team interdisciplinare di professionisti che si trova in un unico ambiente strutturato.
 
Eppure esistono ancora realtà in cui c’è un nodo che ancora deve essere risolto: le donne rischiano di trovare ostacoli. Nonostante i grandi traguardi della ricerca si muore ancora non per malattia avanzata ma per l’avanzamento di malattia dovuta a cure non adeguate e personalizzate. La Breast Unit può evitare che questo accada. I vantaggi delle Breast Unit certificate sono, infatti, una migliore qualità di vita e di sopravvivenza delle donne, una migliore qualità dell’offerta sanitaria, una riduzione degli sprechi e l’ottimizzazione delle risorse.
 
Di questi temi ed altri si è parlato nel corso del workshop dal titolo “Breast Unit: quale futuro?” a cui sono intervenuti Nicola Balestrieri, Responsabile del Centro di Senologia ULSS 9 di Treviso, Maurizio Bersani, Direzione Generale Salute Regione Lombardia, Pierfranco Conte, Professore di Oncologia Università di Padova, Direttore Oncologia Medica 2 IRCCS Veneto, Angelo Lino Del Favero, Presidente Nazionale Federsanità ANCI e Direttore Generale Città della Salute–Torino, Antonio Del Santo, Medical Affairs & Clinical Operations Director di Roche S.p.A, Anna Mancuso, Presidente Associazione Salute Donna e Valeria Tozzi, Cergas Università Bocconi.
 
A gennaio 2016 sarà obbligatoria l'istituzione di Breast Unit in Italia. La notizia arriva dal convegno veneto “Motore Sanità”, e a confermarlo è stato il Dottor Nicola Balestrieri. “La Regione Veneto nel Giugno 2013 ha istituito con delibera regionale un gruppo di lavoro di esperti in ambito Senologico, di cui facciamo parte io e il Professor Pierfranco Conte, Professore di Oncologia dell’Università di Padova, per definire i parametri quantitativi e qualitativi delle Breast Unit nel Veneto. Il progetto prevede l'istituzione di 5-6 centri di riferimento detti Centri HUB che saranno in rete tra loro e con la Rete Oncologica Veneta. L'obiettivo è quello di istituire un Network assistenziale in cui tutte le donne (circa 43.000 l’anno) che si ammaleranno di carcinoma della mammella avranno accesso a strutture multidisciplinari dedicate che potranno vantare personale dedicato alla diagnosi e al trattamento del carcinoma mammario. L’obiettivo è di offrire un trattamento di altissima qualità come previsto dalle linee guida europee (EUSOMA) e ministeriali nell'ottica di una ottimizzazione delle risorse. Gli studi pubblicati nel 2012 hanno dimostrato che questo modello organizzativo è in grado di migliorare la sopravvivenza di queste pazienti e di garantire una miglior qualità erogata e percepita. Attualmente il progetto è stato concluso e consegnato in Regione”.
 
Sull’importanza delle figure professionali competenti nel campo oncologico – dalla diagnosi della malattia al trattamento - si è soffermato Pierfranco Conte, Professore di Oncologia Università di Padova, Direttore Oncologia Medica 2 IRCCS Veneto, che ha spiega alcuni punti essenziali della sua relazione.
“L’avanzamento delle tecniche di imaging radiologico e di screening consentono oggi di diagnosticare tumori sempre più piccoli o lesioni tumorali non ancora infiltranti. Solo radiologi dedicati possono garantire un corretto utilizzo delle tecnologie e una corretta interpretazione delle immagini acquisite. In secondo luogo l’avanzamento delle conoscenze biologiche ci consente oggi di individuare tumori che insorgono nella mammella ma che hanno una aggressività biologica, una storia clinica e una sensibilità alle terapie molto diversificate. Oggi non si dovrebbe parlare più di carcinoma mammario ma piuttosto di diversi tipi di carcinomi che insorgono nella ghiandola mammaria. Solo la presenza di un patologo dedicato alla patologia mammaria consente di differenziare questi differenti tipi di carcinoma mammario”.
 
“Oggi – ha proseguito l’oncologo - il chirurgo senologo ha numerose opzioni terapeutiche a disposizione che tendono a ridurre al minimo l’estensione dell’intervento chirurgico arrivando sino al linfonodo sentinella e ad evitare la dissezione linfonodale ascellare. Solo una discussione interdisciplinare con radiologi, patologi, oncologi medici e radioterapisti, consente al chirurgo senologo di scegliere l’opzione chirurgica più adatta”.
 
Dopo la chirurgia conservativa, ecco che interviene la radioterapia, che richiede, allo stesso modo, competenze dedicate. “La radioterapia – ha spiegato il Professor Conte - consente di ottenere un controllo locale di malattia uguale a quello ottenuto con la chirurgia radicale. Anche qui sono oggi disponibili varie tecniche radioterapiche, dalla IORT alla radioterapia parziale della mammella, alla radioterapia esterna convenzionale che richiedono competenze dedicate e discussione interdisciplinare”.
 
Altro punto concerne le terapie. “Le terapie mediche adiuvanti (chemioterapia, ormonoterapia, terapie biologiche) – ha commentato il Professor Conte - hanno consentito di ridurre la mortalità globale da tumore mammario di circa il 10% ogni anno nonostante una aumento in incidenza. E’ questo il più grande successo ottenuto nella storia della medicina per la cura di malattie severe, frequenti e croniche. Solo oncologi medici dedicati in un panel multidisciplinare possono garantire l’utilizzo appropriato delle terapie migliori che sono spesso costose per il servizi sanitari e, se mal utilizzate, indurre tossicità anche severe alle pazienti”.
Una percentuale di circa il 10-15% dei tumori mammari riconosce una base ereditaria.
“Per individuare al meglio queste pazienti è necessaria un’equipe multidisciplinare che include, oltre alle figure precedenti, anche genetisti e biologi molecolari e psicologi – ne è convinto il Professor Conte -. Quanto alle giovani pazienti (sempre più pazienti giovani possono ammalarsi di tumore mammario e, fortunatamente, sempre più guariscono), possono presentare problematiche particolari di fertilità (desiderio di gravidanza) e di sessualità che richiedono competenze ginecologiche, psicologiche, endocrinologiche specifiche”.
 
Eppure c’è un nodo che ancora deve essere risolto: in alcune realtà le donne rischiano di trovare ostacoli. Un modo per evitarli è proprio la Breast Unit. I vantaggi delle Breast Unit certificate sono infatti una migliore qualità di vita e di sopravvivenza delle donne, una migliore qualità dell’offerta sanitaria, una riduzione degli sprechi e l’ottimizzazione delle risorse.
 
Perché per le donne è quindi importante affidarsi ad una Breast Unit certificata? Le risposte giungono da un attore della sanità che si chiama volontariato. Nello specifico si tratta dell’Associazione Salute Donna che, nata nel 1994 all'Istituto Nazionale Tumori di Milano, cresce rapidamente grazie all'impegno degli specialisti dell'Istituto e dei Volontari che, con grande disponibilità, lavorano per diffondere una diversa cultura della malattia oncologica, che va dalla promozione del Codice Europeo contro il cancro alla diffusione ed insegnamento di tecniche che portino verso una diagnosi il più precoce possibile della malattia. La Brest Unit ha un ruolo fondamentale in questo e nel sostegno della donna colpita da cancro.
 
Perché per le donne è importante certificarsi? Sono diverse le ragioni presentate da Anna Mancuso, Presidente Associazione Salute Donna all’interno della sua relazione.
«Avere certezze sulla qualità dell’offerta sanitaria è la prima ragione, e poi un team multidisciplinare le aiuterebbe a prendere decisioni mediche informate e consapevoli, e questa è la seconda ragione».
Avere un unico punto di riferimento - come una Breast Unit certificata - è di fondamentale importanza anche per affrontare l’iter della malattia con serenità e per abbattere i molti ostacoli di tipo psicologico. «Con la Brest Unit – ha spiegato la Dottoressa Mancuso - si ridurrebbe, inoltre, la disomogeneità dell’assistenza e aumenterebbero le garanzie sulla qualità, senza discriminazioni territoriali. Per le donne è importante certificarsi perché la differenza di trattamento tra le diverse regioni, quando non addirittura tra i diversi ospedali, fanno variare notevolmente la possibilità di sopravvivenza; e poi evitano “i viaggi della speranza” che incidono notevolmente e negativamente sulla qualità della vita della donna sia psicologicamente che economicamente» aggiunge la Presidente di Salute Donna.
 
Una Brest Unit abbrevia inoltre i tempi degli interventi ed evita che la donna cada nell’errore inconsapevole di affidarsi a strutture non adeguate attraverso suggerimenti di “corridoio” o su ricerche sbagliate in internet. «Grazie ad una Brest Unit certificata non si disperdono, infine, i dati importanti per le attività di ricerca nazionale ed europee» ha concluso Anna Mancuso.

16 ottobre 2013
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