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Cancro. Scoperta proteina che mantiene "giovani" le cellule tumorali 


Lo si deve all'Istututo nazionale dei tumori di Milano che ha pubblicato i risultati della ricerca sul Journal of Molecular Cell Biology. Allo studio nuove terapie che, grazie a questa molecola, blocchino questo meccanismo e provochino la morte delle cellule tumorali. 

09 AGO - I ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano hanno scoperto che una proteina, chiamata DBC1, è in grado di far ripartire il meccanismo che porta le cellule tumorali a invecchiare e poi a morire: queste cellule, infatti, sono così terribili e aggressive perché mantenute sempre giovani da un “elisir di lunga vita”, rappresentato da un’altra proteina, SIRT1. 

I ricercatori hanno dimostrato che DBC1 è capace di annullare l’effetto di eterna giovinezza che SIRT1 ha sulle cellule del tumore.
L’individuazione dell’effetto di questa proteina apre la strada allo studio di nuovi trattamenti che portino a un aumento nell’organismo di DBC1 causando così l’invecchiamento e la morte delle cellule tumorali. Inoltre, poiché SIRT1 ha un ruolo essenziale anche nella regolazione del metabolismo e dell’invecchiamento, i ricercatori ritengono che l’identificazione di questo meccanismo potrà avere riflessi anche in altri campi, quali lo studio dell’invecchiamento cellulare e di malattie metaboliche, come l’obesità e il diabete.

La ricerca è stata pubblicata su Journal of Molecular Cell Biology, una delle più importanti riviste scientifiche internazionali (scarica il testo)

Lo studio
Quando le cellule del corpo umano presentano una grave alterazione del DNA si attiva al loro interno la proteina p53, chiamata “il guardiano del genoma” in quanto è responsabile dell’apoptosi, cioè un meccanismo naturale che spinge le cellule con il DNA troppo danneggiato a morire.
Questo suicidio cellulare è essenziale perché evita che cellule con il patrimonio genetico alterato e potenzialmente in grado di trasformarsi in cellule tumorali possano continuare a crescere in modo incontrollato.

In caso di tumore, questo meccanismo non solo non si attiva ma è anche molto alto il livello della proteina SIRT1, l’elisir di lunga vita delle cellule, che blocca p53 e mantiene in vita le cellule tumorali per un periodo superiore alla norma.
Lo squilibrio tra i valori di DBC1 e SIRT1 all’interno delle cellule tumorali era un fenomeno già noto. Ciò che non era conosciuto era il tipo di rapporto che lega queste due proteine.

I ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori per dimostrare che i valori di queste due proteine sono vincolate da un rapporto di causa ed effetto hanno aumentato artificialmente il livello di DBC1 in cellule del tumore mammario. Conseguenza di questa variazione è stata una diminuzione di SIRT1. Alla riduzione di questa proteina è corrisposto un aumento di p53 e si è intensificato di molto il fenomeno di morte programmata delle cellule tumorali.
Sulla base dei risultati di questo studio i ricercatori hanno anche compreso perché nei tessuti di tumori del seno e dello stomaco dalla prognosi particolarmente infausta si registrano valori alterati di DBC1 e SIRT1: come detto, un livello limitato del primo consente un’elevata presenza di quest’ultima proteina e quindi, purtroppo, una lunga vita e azione delle cellule del tumore.

Sottolinea Domenico Delia, responsabile della Struttura meccanismi molecolari di controllo del ciclo cellulare dell’Istituto Nazionale dei Tumori: “La nostra ricerca ha studiato la presenza di queste proteine e come interagiscono tra loro nei tessuti del tumore del seno, tuttavia queste molecole sono presenti e coinvolte nel ciclo vitale di tutte le cellule e questo implica che i risultati di questa ricerca sono applicabili a diverse forme di cancro. Si aprono quindi importanti prospettive di ricerca: possiamo studiare nuove strategie terapeutiche che aumentino la presenza nell’organismo e nei tessuti del tumore di DBC1, contrastando così l’azione di ringiovanitrice di SIRT1 e spingendo al suicidio le cellule tumorali”.
“E’ importante precisare – continua Delia – che si tratta ancora di una scoperta effettuata in laboratorio e che prima di avere un applicazione clinica di questo meccanismo saranno necessari alcuni anni”.

Lo studio è stato reso possibile da finanziamenti del Ministero della salute italiano e dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (AIRC). 

09 agosto 2012
© Riproduzione riservata

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