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Tumore prostata. Solo 1 uomo su 10 ottiene la protesi dopo malattia. Andrologi: “Esclusa dai nuovi Lea, va inserita come per il seno”


Secondo i dati del Registro nazionale della Società Italiana di Andrologia (Sia), a fronte di 3mila richieste l’anno, le protesi erogate sono circa 400: appena un paziente su 10 accede all’impianto tramite servizio pubblico o convenzionato. Allo studio protesi touchless, di più facile utilizzo che al posto della “pompetta”

23 GIU -

Mezzo secolo fa un team di chirurghi in Texas, ebbe l’intuizione di realizzare la prima protesi che sostituisce il sistema idraulico del pene. Ma a distanza di 50 anni l’intervento oggi sicuro, efficace, mininvasivo e in futuro di utilizzo più agevole, non è ancora inserito nei Lea del nostro Paese, nonostante la recente approvazione del decreto tariffe. Così per i limiti di budget, solo poche strutture pubbliche lo assicurano e appena il 10% degli italiani che hanno bisogno di una protesi peniena riesce a farsi operare in ospedale per tornare a una normale attività sessuale. Il restante 90% è costretto a ricorrere al privato.

“L’intervento deve quindi essere inserito quanto prima nei Livelli essenziali di assistenza perché non sono più accettabili differenze di genere nei trattamenti oncologici, nonostante il problema riguardi migliaia di uomini e imponga un decisivo cambio di passo“. È questa la richiesta avanzata dagli esperti della Società Italiana di Andrologia (SIA), finora inascoltata.

La denuncia degli andrologi. Ogni anno in Italia circa 20mila uomini vengono sottoposti a un intervento di rimozione radicale della prostata a seguito di un tumore e di questi, almeno 10mila vanno incontro a disfunzione erettile con indicazione all’impianto di protesi peniena per risolverla. Ma la maggior parte dei candidati non ha accesso alle cure perché escluse dal nuovo decreto tariffe e le Regioni non sono tenute ad erogarle. Così sono pochissimi gli impianti a disposizione, in altrettanti pochi centri pubblici, distribuiti in modo disomogeneo sul territorio.

“Le protesi peniene non sono un vezzo o un lusso ma un diritto per continuare una normale e degna vita di coppia quando le terapie mediche falliscono”, dichiara Alessandro Palmieri, presidente SIA e professore di Urologia all’Università Federico II di Napoli.

“L’efficacia terapeutica di questi device e il carattere ‘non estetico’ dell’intervento, sono infatti ampiamente riconosciuti dalle più recenti linee guida europee per gli uomini reduci da chirurgia oncologica per la prostata, ma anche per vescica e retto, che superano il cancro e però perdono ancora giovani la propria funzionalità sessuale. Ma il problema riguarda anche altre malattie dal diabete a patologie neurologiche fino a malattie deformative del pene che impediscono l’erezione. Tuttavia – ricorda l’esperto – contrariamente a quanto ormai consolidato per le donne, per cui da tempo è prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie, a seguito di una mastectomia, gli uomini non ricevono invece lo stesso trattamento dopo una chirurgia pelvica radicale”.

“Questo succede perché si tratta di presidi non compresi nei Lea che presentano un Drg che non copre le spese: 2740 euro a fronte di un costo per la sola protesi di circa 8500 euro, più sala operatoria e chirurghi – rimarca Marco Bitelli, co-presidente del congresso e Dirigente Medico Unità Ospedaliera Complessa di Urologia all’Ospedale San Sebastiano di Frascati -. La conseguenza è che questi presidi vengono concessi con il contagocce, non più di 3/5 l’anno per ogni centro in cui viene praticata questa chirurgia. Stando ai dati del Registro nazionale della SIA, a fronte di 3000 richieste, le protesi erogate sono circa 400 l’anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro. A conti fatti, meno di un paziente su 10 elegibile, accede all’impianto tramite la sanità pubblica e convenzionata: tutti gli altri devono rivolgersi alle strutture private”.

“La Società Italiana di Andrologia rinnova l’appello al Ministero e alle Regioni affinché sia modificato il decreto tariffe recentemente approvato e l’intervento di protesi peniena venga inserito quanto prima nei Lea, per garantire a tutti i pazienti oncologici e non, candidati all’impianto, un accesso equo e omogeneo alle cure, destinate ad incidere su aspetti critici legati alla salute psicofisica di migliaia di uomini di ogni età”, conclude Palmieri.

Primo intervento di protesi peniena 50 anni fa: dalle protesi di legno agli attuali accessi mininvasivi con impianti idraulici. “Dal primo impianto, le protesi sono evolute con l’avvento di nuove tecnologie, materiali e con il perfezionamento della tecnica chirurgica sono diventate una procedura sicura, mininvasiva ed efficace. Il posizionamento protesico richiede circa un’ora ed è completamente nascosto perché non ci sono componenti esterne – spiega Palmieri – la convalescenza è molto breve e i tempi di recupero complessivamente rapidi: nel giro di un mese e mezzo circa si può riprendere ad avere una vita sessuale attiva con una erezione ripristinata al 100%. Il principale rischio è quello di infezione della protesi, che ne richiede l’immediata rimozione. Tale complicanza è tuttavia molto bassa e avviene in un caso ogni mille impianti”.

E per il futuro? “Oggi è in sperimentazione presso l’ospedale universitario Eleuterio Gonzalez della Universidad Autonoma di Monterrey in Messico, un prototipo penieno che ha il vantaggio di essere attivato senza la necessità di pompare manualmente sullo scroto, come avviene tipicamente negli impianti idraulici convenzionali”, dichiara Simone Cilio, andrologo del Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Riproduttive e Odontostomatologia, Unità di Urologia dell’Università "Federico II" di Napoli.

“In questo caso, è un neurotrasmettitore modulare che percepisce lo stimolo eccitativo dal sistema nervoso centrale per innescare l’erezione. Per il futuro – aggiunge l’andrologo - si sta studiando anche un altro meccanismo che permette di innescare la funzione di erezione per induzione termica, grazie alla attivazione di un elettromagnete”.



23 giugno 2023
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