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Diastasi addominale, patologia sottovalutata e sottostimata


Il 30% delle donne, dopo la gravidanza, soffre di diastasi addominale, una patologia che comporta un indebolimento della parte centrale della parete addominale cui segue un vero e proprio disturbo funzionale, di difficile gestione fisica e psicologica. Di diastasi addominale e delle sue implicazioni psico-fisiche ed economiche si è parlato oggi in occasione dell’evento “La governance della diastasi addominale“, realizzato con contributo incondizionato di BD.

12 OTT -

La diastasi addominale è una patologia ancora poco conosciuta, nonostante riguardi il 30% circa delle donne dopo la gravidanza. Comporta un allargamento dei muscoli retti dell’addome, quelli paralleli alla linea mediana dell’addome stesso, che tendono a separarsi fra loro determinando un indebolimento della parte centrale della parete addominale, causando spesso anche ernie o una ridotta funzionalità della muscolatura, per cui quando ci si alza in piedi o si fanno gli addominali è possibile che ci sia una protrusione dei visceri verso l’esterno, che non vengono più tenuti all’interno della parete addominale da questi muscoli.

Su questa patologia ha fatto il punto l’evento “La governance della diastasi addominale“, realizzato con contributo incondizionato di BD.

“La diastasi addominale non è solo disturbo estetico – osserva Michele Carlucci, Primario dell’Unità Operativa Chirurgia Generale e delle Urgenze e dell’Unità Operativa Pronto Soccorso, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Presidente ISHAWS – Italian Society of Hernia and Abdominal Wall Surgery, in apertura dell’evento – Le donne che ne soffrono possono andare incontro a un vero e proprio disturbo funzionale perché il cedimento della parete addominale fa assumere posture sbagliate dando luogo a lombalgia, mal di schiena, incontinenza urinaria, alterazioni della normale funzione gastrointestinale, oltre al disturbo psicologico conseguente al fatto di non sentirsi a posto con il proprio fisico. Tutti questi aspetti impattano fortemente sulla qualità di vita delle pazienti e sulla conseguente decisione di rivolgersi al chirurgo per correggere questo tipo di patologia.

Ma qui c’è ancora il problema della sostenibilità: oggi esistono diverse tecniche chirurgiche per correggere la diastasi addominale, ma non è chiaro come dobbiamo classificare questo tipo di malattia per poter avere poi un rimborso dalle regioni della prestazione data. Come se non bastasse, ci troviamo di fronte a donne giovani, spesso in età fertile, e quindi anche nelle scelte delle tecniche da utilizzare dobbiamo considerare il fatto che potrebbero avere un’ulteriore gravidanza nel tempo, successiva all’intervento. Tutti aspetti che vanno considerati per cercare di poter offrire la miglior cura minimizzando il danno estetico e pensando alle conseguenze che potrebbe avere mettere una rete, per esempio. Ritengo perciò molto utili incontri come questo di oggi, che mettono a confronto le istituzioni, le associazioni dei pazienti, i clinici e gli economisti, per trovare gli strumenti atti a gestire questo tipo di quadro clinico”.


L’impatto economico
“La sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale si gioca sulla capacità di rispondere ai bisogni dei pazienti attraverso interventi sanitari che producono valore – sottolinea Rosanna Tarricone, Associate Dean della SDA Bocconi School of Management e Professore Associato in Economia delle Pubbliche Amministrazioni al Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche SDA Bocconi School of Management – Il trattamento della diastasi ne è un esempio in quanto costo-efficace, Le analisi economiche comparative, come quella condotta nel caso del trattamento della diastasi, servono a supportare il processo decisionale di allocazione delle risorse in modo da massimizzare la produzione di salute e dovrebbero diventare sempre più diffuse nel nostro Paese”.

“È opportuno sensibilizzare non solo il mondo sanitario, ma anche il mondo che definisce l’economia di scala della nostra sanità, affinché queste persone possano trovare una risposta in un trattamento quanto più completo possibile e risolutivo – conferma Pierpaolo Sileri, Primario dell’Unità di Chirurgia Colonproctologica e Malattie Infiammatorie croniche Intestinali, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano – Siamo di fronte a un problema crescente nella popolazione, sottovalutato e sottostimato: abbiamo circa 400mila parti l’anno e, purtroppo, una buona quota di queste donne sviluppa una diastasi dei muscoli retti, per altro anche sintomatica”.

Un danno importante per pazienti e SSN
“La Diastasi dei retti storicamente non è mai stata considerata dalla comunità chirurgica una patologia degna di trattamento – denuncia, a fine incontro, Alessandro Carrara, Direttore Unità Operativa Chirurgia Generale – Rovereto e Arco – Ancora oggi la maggior parte dei testi sacri della chirurgia non ne parla affatto. È stata considerata un problema prettamente estetico e non se ne è mai capita la problematica funzionale che comporta. Eppure, è un problema che riguarda quasi il 50% delle donne pluripare oltre i 50 anni. Queste donne soffrono spesso di lombalgia, incontinenza urinaria, dispepsia, gonfiore addominale. Un corteo di sintomi che ne danneggiano fortemente la qualità di vita. Spesso questi sintomi vengono inquadrati come effetti di una disfunzione del singolo apparato e pertanto i medici curanti inviano le pazienti ad una serie di visite specialistiche da urologo, gastroenterologo, ortopedico, neurochirurgo senza ottenere apprezzabili risultati in molti dei casi, perché sfugge che alla base di tutto c’è una disfunzione della muscolatura addominale, quello che in America viene definito ‘abdominal core”.

“È evidente la perdita di tempo e di risorse che questo comporta per le pazienti e per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – continua Carrara – Va aggiunto un altro dato statistico molto rilevante: in quasi il 90% delle diastasi dei retti coesiste un’ernia della linea mediana (ombelicale o epigastrica) conditio sine qua non, e la chirurgia non è prevista dal nostro SSN. Molto spesso l’intervento che viene proposto a queste pazienti è la riparazione della sola ernia con o senza protesi. Ma dati di letteratura ci dimostrano che la riparazione di un’ernia della linea mediana nel contesto di una diastasi è gravata da un 30% di recidive in più, se contestualmente non viene eseguita anche la riparazione della diastasi stessa. Questo vuol dire che una quantità inaccettabile di queste pazienti dovrà essere nuovamente ricoverata e operata per recidiva erniaria. Un intervento non banale, eseguito su un campo anatomicamente già alterato dalla precedente chirurgia, con un’ulteriore incremento del tasso di recidiva. Un danno importante tanto per le pazienti quanto per il SSN” .

Un problema anche maschile
“Non dimentichiamo infine – conclude Carrara – che il problema riguarda anche gli uomini che, per accumulo di adipe viscerale, possono avere una distensione cronica della loro parete addominale. La tensione cronica porta inevitabilmente a un cedimento della linea mediana. E nel tempo, persistendo la distensione, questo cedimento può progredire arrivando a raggiungere dimensioni notevoli spesso associandosi a una o più voluminose ernie della linea mediana. Quadri, insomma, che richiedono un intervento a quel punto complesso e gravato da rilevanti tassi di recidiva e complicanze. Questi sono i motivi per i quali la diastasi dei retti merita un corretto inquadramento chirurgico e un adeguato trattamento quando si associa a un’ernia mediana, o quando la distanza tra i muscoli retti supera abbondantemente il limite fisiologico”.



12 ottobre 2023
© Riproduzione riservata

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