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Sla. Partnership Generali-Revert per ricerca su terapia cellulare. Parla Vescovi, che su Stamina dice: "Chi mi insultava, oggi mi chiede scusa"

di Maria Rita Montebelli

Il gruppo assicurativo supporterà per tre anni gli studi della onlus italiana impegnata nella ricerca sulle malattie neurodegenerative. Entro l’anno si completerà la fase 1 di un progetto che prevede l’uso di staminali su pazienti affetti da Sla. Polemica sul metodo stamina: “Oggi molti pazienti che mi avevano insultato su internet  mi chiamano per chiedermi scusa”

16 GEN - E’ stato annunciato ieri l’avvio di una partnership triennale tra Generali e Revert, una onlus italiana impegnata nella sperimentazione clinica della terapia cellulare di patologie neurodegenerative a livello internazionale. In una prima fase, l’obiettivo sarà quello di consentire al gruppo del professor Angelo Vescovi, Direttore Scientifico di Revert Onlus e dell’IRCCS ‘Casa Sollievo della Sofferenza di San Pio’  a San Giovanni Rotondo (presieduta da Mons. Vincenzo Paglia) di completare entro la fine di quest’anno lo studio di fase 1 sulla terapia cellulare in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), avviato nel giugno del 2012. 
 
“Siamo lieti di sostenere – afferma Mario Greco, CEO del Gruppo Generali – un progetto scientifico di eccellenza italiana in una delle principali sfide di carattere medico e sociale. Riteniamo che questa ricerca possa dare un apporto significativo nell’individuazione di una cura delle malattie neurodegenerative, migliorando la società nella quale viviamo”.
 
“La peculiarità della nostra onlus – sottolinea il professor Vescovi - è quella di raccogliere fondi per progetti di ricerca specifici, già impostati per arrivare alla sperimentazione clinica sull’uomo.  Siamo partiti con questa sperimentazione su una patologia neurologica tra le peggiori, senza essere certi se saremmo arrivati in fondo al progetto, come copertura finanziaria; per questo siamo molto contenti dell’endorsement di Generali,  che evidentemente ha colto il carattere di urgenza di questo tipo di ricerca per questa patologia. Purtroppo nel nostro Paese, si raccolgono dal nulla e in men che non si dica 3 milioni di finanziamenti per una iniziativa come quella di Stamina; mentre per chi come noi, ha una sperimentazione in corso, fatta secondo i criteri EMA, approvata da tutti i comitati etici, ma non ‘strillata’ sui giornali, è molto più difficile reperire fondi. L’aiuto finanziario di Generali sarà determinante per portare a termine la nostra ricerca. E siamo fieri di essere stati adottati da questo gruppo così prestigioso, perché questo rappresenta un chiaro attestato di stima, che speriamo faccia anche da traino per attrarre altri finanziamenti”.
 
Professor Vescovi a quale punto è la vostra ricerca con le staminali nella SLA?
Siamo a metà dello studio di fase 1, che prevede un arruolamento complessivo di 18 pazienti, divisi in tre gruppi. Ogni gruppo è suddiviso a sua volta in due sottogruppi. Finora abbiamo completato il primo gruppo, trattando i primi tre pazienti con tre iniezioni di staminali da una sola parte del midollo spinale (o la destra o la sinistra); gli altri 3 pazienti del primo gruppo, hanno ricevuto invece sei iniezioni di staminali, tre per parte del midollo spinale. Nel primo gruppo il trapianto è stato fatto a livello lombare.
Il secondo gruppo, viene invece sottoposto a trapianto di staminali a livello cervicale (tra C3 e C4); abbiamo per ora trattato i tre ‘monolaterali’; nelle prossime settimane tratteremo altri tre pazienti con i trapianti bilaterali. Il terzo gruppo prevede anch’esso un trapianto cervicale ma comprenderà pazienti in condizioni migliori rispetto a quelli del secondo gruppo, con una diagnosi di malattia più recente e dunque con una migliore funzione respiratoria residua”.
 
Che tipo di staminali utilizzate nel vostro studio?
La terapia cellulare scelta per questo studio utilizza cellule staminali cerebrali, prelevate da feti morti naturalmente in utero. Il nostro protocollo è completamente scevro da qualunque problematica etica perché rispetta in tutto e per tutto i criteri della donazione d’organo. Si tratta di una tecnica che è sempre stata reputata impossibile, tant’è che in letteratura non c’è nulla. Noi ci abbiamo lavorato due anni, trovando tutte le soluzioni del caso, con il risultato che adesso è una tecnica riproducibile e anche molto sicura. E’ un’unicità. La utilizziamo solo noi in tutto il mondo.
 
Qual è l’obiettivo di questo trattamento sperimentale?
L’obiettivo terapeutico è quello di rallentare la progressione di questa malattia; non possiamo parlare di cura, le false promesse le lasciamo ad altri. Andiamo a giustapporre cellule normali, quali quelle che trapiantiamo, ai motoneuroni malati che stanno morendo, nel tentativo di bloccare i fenomeni che ne causano la morte, cioè fenomeni tossici, infiammatori, di disregolazione metabolica. Esiste un’enorme branca della letteratura che dimostra che quando si immettono cellule normali in un contesto di questo genere, se sono staminali  queste producono sia cellule, che agenti neurotrofici e ormonali, che tendono a normalizzare la situazione. La speranza è che questo serva a bloccare la progressione della malattia; sicuramente non si va a ricostruire, a rigenerare i neuroni che sono già morti; quello è tecnicamente impossibile al momento attuale.
 
L’eziologia della SLA non è nota; la vostra va quindi considerata una terapia empirica?
Si e no. L’empirismo nasce dal non conoscere l’eventuale dettaglio molecolare dell’azione potenzialmente benefica. Nella terapia cellulare, nonostante le cellule vengano considerate un farmaco, quello che andiamo ad immettere è un’entità vivente, che produce un numero indefinito di sostanze farmacologiche (es. l’interleuchina 17 o il TNF alfa), che tra l’altro funzionano in maniera sinergica; il numero di combinazioni d sostanze che la cellula può secernere è in realtà infinito. In questo caso, più che andare a determinare tutti i possibili bersagli molecolari, si va a determinare prima di tutto l’azione. E in letteratura si sa che quando vai a mettere le staminali in un contesto come la SLA, ma anche come quello della sclerosi multipla, delle lesioni da Alzheimer, delle lesioni post-ischemiche, queste cellule hanno la capacità di ‘normalizzare’ il tessuto e di bloccare ad esempio la reazione della microglia (ovvero la microgliosi reattiva), riuscendo in questo modo a bloccare la formazione di una cicatrice. E’ una terapia ‘empirica’ nel senso che sappiamo che fa qualcosa di buono, pur non conoscendo tutti i possibili bersagli molecolari, che verranno scoperti magari molto più in là nel futuro.
                                                                                                                                      
Dove viene condotta la vostra sperimentazione?
Per il momento la sperimentazione è vicina al luogo di produzione delle cellule, cioè all’Ospedale ‘Santa Maria’ di Terni, dove il dottor Alessandro Carletti, primario della neurochirurgia procede al trapianto. Le cellule, prodotte nella Banca delle Cellule Staminali nella cittadina umbra, non possono stare infatti più di 40 minuti, prima di essere trapiantate nel paziente. I pazienti da trapiantare vengono inviati dai centri Ospedalieri Universitari di Padova e di Novara, dove i colleghi neurologi analizzano le richieste inviate compilando un modulo sul sito della Revert onlus (www.revertonlus.org).
Stiamo valutando tuttavia un protocollo che permetta di trasportare queste cellule, per trapiantarle anche in altre strutture sanitarie; in questo ci aiuterà il finanziamento di Generali.
 
Lo scorso autunno è stato presentato all’American Academy of Neurology, uno studio della Emory University sempre relativo alla terapia cellulare nella SLA. Di cosa si tratta?
E’ uno studio parallelo al nostro; stiamo collaborando con loro, anche se i protocolli dei due studi sono diversi. L’ago stereotassico che utilizziamo per iniettare le staminali è più grande ad esempio e utilizziamo un numero di cellule superiore di 5 volte rispetto a quelle che iniettano loro. Noi abbiamo beneficiato del fatto che loro, essendo finanziati da una società biotech profit, sono partiti prima e quindi avevano già tentato una serie di approcci. Ad esempio avevano usato immunosoppressori a dosaggio molto alto, che hanno provocato una serie di problemi; anche per questo, noi abbiamo optato per un dosaggio di tacrolimus molto più basso (pari a un sesto di quello usato nei trapianti d’organo). Un’altra differenza sostanziale è rappresentata dal fatto che loro utilizzano cellule prese da aborti procurati (e non spontanei), che sono cellule prodotte nel 1996 e da allora congelate. Non usano una tecnica di continuo rinnovamento. Al contrario noi ogni giorno produciamo cellule che poi vengono utilizzate in varie sperimentazioni e sono cellule che biologicamente sono molto diverse da quelle usate nello studio americano. Le nostre sono staminali, con la dimostrazione di essere staminali; le loro sono cellule indifferenziate del sistema nervoso centrale, ma non è chiaro se appartengono alla famiglia delle staminali o meno.
 
Lei è stato oggetto di aspre contestazioni da parte di familiari di pazienti pro-Stamina. Come commenta gli ultimi sviluppi di questa vicenda?
In questi giorni mi hanno chiamato numerose associazioni di pazienti che in precedenza mi avevano insultato su Internet, per chiedermi scusa. Si sono resi conto che noi stiamo facendo una sperimentazione seria, a differenza degli altri. Una sperimentazione fatta con tutti i crismi ha diversi vantaggi: intanto è riproducibile, poi mette a disposizione di tutti un protocollo scientifico, sperimentale e clinico, automaticamente allargabile ad altre patologie e ad altri pazienti. Si basa su solidi dati dimostrati, prima di iniziare la sperimentazione. Il principale obiettivo è quello dell’assoluta sicurezza garantibile ad ogni paziente in termini di procedura, di natura delle cellule e di processo di preparazione delle cellule. In altre parole, nei protocolli non certificati, il rischio di nuocere al paziente è altissimo, perché si utilizzano magari sieri bovini, prodotti senza regole, quindi anche potenzialmente contaminati dal morbo di Creutzfeldt-Jakob (la ‘mucca pazza’). Noi non utilizziamo sieri animali e abbiamo impiegato anni a sviluppare un protocollo del genere. Ribadiamo che la prima cosa è la massima sicurezza per il paziente; poi ci si può avviare sul percorso dell’efficacia. Ma al di là del dato tecnico, nel momento in cui si avvia una sperimentazione con un trattamento su esseri umani, si deve documentare tutto quello che si fa, deve esistere una documentazione scientifica, tecnica e clinica, che garantisca che quello che si fa ha una ragione per essere fatto, perché esistono dei dati, delle evidenze che portano a concludere che quello è un trattamento percorribile; devono essere forniti tutti i dati che attestino la garanzia di massima sicurezza per i pazienti. Qualunque violazione di qualunque passaggio di questi elencati è un elemento di brutalizzazione dei pazienti, finalizzato a carpire la loro fragilità emotiva, psicologica, il loro stato di assoluto bisogno e di disperazione nei confronti di malattie che non hanno una cura e il cui esito neurologico, clinico, umano, familiare è drammatico. Chiunque si muova lontano da questa via è una persona che non merita il rispetto della società civile e che dovrebbe essere fermata in ogni momento possibile. Ed è inammissibile che in questo mondo (succede anche in Messico, in Cina) si consenta ancora perpetrare l’uso e l’abuso di trattamenti non verificati e a pagamento, nei confronti di pazienti che sono disperati.
 
Maria Rita Montebelli

16 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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