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Malattie mitocondriali. La vitamina B3 potrebbe aiutare a combatterle

di Viola Rita

Questa vitamina innesca una reazione a catena, con cui è stato possibile migliorare la capacità motoria e i parametri biochimici di topolini affetti da malattia mitocondriale. Si tratta di “potenziali terapie per disordini mitocondriali umani”, si legge nello studio pubblicato su Cell Metabolism

05 GIU - Innescando una reazione a catena, la vitamina b3 ha mostrato, in uno studio su animali, proprietà di azione volte a regolare la funzionalità dei mitocondri, riducendo i problemi motori e i sintomi collegati alle relative malattie. La scoperta, ottenuta dall’Istituto Neurologico “Carlo Besta”, con la collaborazione della Mitochondrial Biology Unit del Medical Research Council di Cambridge, è pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Cell metabolism (titolo NAD+-Dependent Activation of Sirt1 Corrects the Phenotype in a Mouse Model of Mitochondrial Disease, DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.cmet.2014.04.001).
Somministrata per quattro settimane in topolini con una malattia mitocondriale, questa vitamina, in pratica, favoriva un processo che ha portato ad un miglioramento della loro capacità di correre, fino a prestazioni normali, riferiscono i ricercatori.
Ma qual è il meccanismo di azione della B3? In pratica, la vitamina in questione potrebbe essere paragonata ad una sorta di ‘interruttore’ di una serie di eventi che portano ad un miglioramento della malattia: aumentando un componente della vitamina, il nicotinammide riboside (NR), infatti, si innesca una reazione a catena che, attraverso vari intermedi, porta a un aumento di una proteina, chiamata PGC1alpha, uno dei principali regolatori della funzionalità dei mitocondri.
 
Infatti, l’Istituto Besta aveva già dimostrato qualche anno fa che l'attività dei mitocondri può essere migliorata stimolando farmacologicamente PGC1alpha, agendo su uno dei suoi regolatori (chiamato AMPK).
“Sebbene costituisse un'importante prova di principio, questa scoperta non era trasferibile all'uomo facilmente in quanto la sostanza usata non era approvata per l'uso clinico e aveva alcune controindicazioni”, riferiscono i ricercatori. “Per tale ragione, abbiamo cercato di usare un approccio alternativo per stimolare PGC1alpha. Questa proteina é regolata, oltre che da AMPK, da una seconda proteina, chiamata Sirtuina 1, la quale a sua volta é regolata dai livelli intracellulari di nicotinammide adenina di nucleotide (NAD+), una sostanza naturalmente presente nelle cellule dove ha importanti ruoli nel metabolismo e come co-fattore per numerosi enzimi. In sintesi, alti livelli di NAD+ attivano Sirtuina 1 e di conseguenza PGC1alpha”.

In questa strada alternativa, i ricercatori hanno cercato di aumentare i livelli di NAD+ nel topo, mediante somministrazione di NR e uso di un farmaco che blocca l’enzima PARP1 (nemico del NAD+), riuscendoci con successo: “dopo quattro settimane di trattamento, i topi malati miglioravano la loro performance motoria e i paramentri biochimici associati alla funzione dei mitocondri”, hanno dichiarato gli scienziati.
“La sirtuina 1 ha un ruolo centrale nella biogenesi mitocondriale. L’inibitore di PARP1 e nicotinammide riboside NR aumentano i livelli del NAD+ contenuto nei tessuti”, si legge nello studio, “questi composti migliorano il fenotipo della malattia mitocondriale nel modello murino e rappresentano potenziali terapie per disordini mitocondriali umani”.
 
In generale, I mitocondri sono organelli cellulari, che rappresentano una sorta di centrale energetica che rifornisce la cellula stessa: un loro malfunzionamento può causare patologie anche molto serie, che compromettono la capacità motoria o altre funzioni, soprattutto dei muscoli, del cervello e del cuore. Tra i problemi possibili, disturbi fisici e cognitivi, degradazione cellulare accelerata, disturbi cardiovascolari.
“Attualmente non ci sono cure per queste malattie e vi è quindi una forte necessità di sviluppare nuovi approcci terapeutici”, ha illustrato Carlo Viscomi, ricercatore dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta” e uno dei coordinatori dello studio. “Il punto di forza di questa nuova strategia è usare composti naturali, di fatto un componente della vitamina B3, e gli inibitori di PARP1, attualmente in sperimentazione clinica come farmaci antitumorali, con effetti collaterali inferiori rispetto ad altri chemioterapici attualmente in uso. Va precisato che si tratta ancora di un esperimento di laboratorio e non di una cura ma, visto che si tratta di sostanze già in studio, si spera di poter passare in tempi rapidi a un trial clinico”.
 
Viola Rita

05 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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