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Speciale ESC. Un’Odyssey di successo per il farmaco anti-colesterolo del futuro

di Maria Rita Montebelli

Presentati al congresso dell’ESC a Barcellona i risultati ad interim di quattro trial con alirocumab, un PCSK9-inibitore. Il farmaco dimostra una significativa e duratura azione nel ridurre i livelli di LDL, con un ottimo profilo di safety. Sanofi e Regeneron, ad un passo dalla presentazione del dossier registrativo ad EMA ed FDA.

01 SET - L’hanno chiamato un ‘illuminato’ esempio di medicina genomica e in effetti l’alirocumab ha bruciato tutte le tappe, se si considera che la sua storia è iniziata solo nel 2003 e che Sanofi e Regeneron (la piccola azienda biofarmaceutica americana che ha sviluppato inizialmente il farmaco) stanno scaldando già i motori per presentare la domanda di registrazione alle autorità regolatorie americana ed europea, tra fine 2014 e inizio del prossimo anno.
 
A poco più di dieci anni fa, risale la scoperta, in due famiglie francesi, di una mutazione nel gene PCSK9 che lo rendeva ‘super-attivo’, con il risultato che i soggetti portatori della mutazione presentavano elevati valori di LDL e rimanevano vittime di eventi cardiovascolari maggiori, in giovane età. Qualche anno dopo, negli Usa fu scoperta una mutazione ‘speculare’ a quella francese: in questo caso i soggetti portatori presentavano una scarsa attività del gene, che determinava bassissimi livelli di LDL circolanti e conferiva una protezione dagli eventi cardiovascolari. Era la prova provata che il prodotto di questo gene, la proteina PCSK9, fosse dunque uno dei responsabili delle fluttuazioni del colesterolo cattivo.
 
La PCSK9 (Proprotein Convertase Subtilisin/Kexin type 9) è una proteina enzimatica che, legandosi ai recettori per l’LDL presenti sugli epatociti, ne accelera la degradazione, impedendo così loro di rimuovere il colesterolo LDL circolante per metabolizzarlo all’interno dell’epatocita. Alirocumab è un anticorpo monoclonale che blocca l’azione della PCSK9, permettendo così ai recettori dell’LDL di svolgere la loro azione.
 
In quattro degli studi del programma Odyssey, dei quali sono stati presentati all’ESC i risultati di analisi ad interim,  alirocumab è stato testato con successo non solo su pazienti con forme di ipercolesterolemia familiare (Odyssey FH I e II), ma anche nella popolazione generale (Odyssey Combo II e Odyssey Long Term).
 
“La produzione di PCSK9 – ricorda il professor Claudio Borghi, Ordinario di medicina all’Università di Bologna – è tra l’altro fortemente stimolata dalla riduzione del colesterolo LDL, indotto ad esempio dalle statine, per un meccanismo classico di contro-regolazione. Il nuovo anticorpo monoclonale, oltre a funzionare nelle forme di ipercolesterolemia familiare, ha un chiaro razionale come terapia di add on anche in associazione alle statine nelle forme non genetiche di ipercolesterolemia, andando a rimuovere questa ‘zavorra’ che limita il pieno effetto delle statine e contribuendo di suo a ridurre ulteriormente i livelli di LDL circolanti”.
 
“L’ipercolesterolemia familiare – ricorda Alberto Zambon, lipidologo dell’Università di Padova – è la più comune delle malattie genetiche cosiddette rare, ancora del tutto sotto diagnosticata e sottotrattata; secondo le ultime stime solo l’1% dei pazienti viene individuato e trattato, anche se con risultati non sempre ottimali”.
Ne esistono due forme, quella eterozigote che interesserebbe una persona su 200 nella popolazione generale, cioè circa 250 mila italiani, e quella omozigote, rarissima, che interessa una persona su un milione.
Nella forma eterozigote, i livelli di colesterolo LDL sono in genere 200-400 mg/dl e chi ne è affetto presenta un evento cardiovascolare maggiore entro i 50-60 anni; in quella omozigote, i valori di LDL superano i 500-600 mg/dl e gli eventi cardiovascolari, spesso fatali, possono colpire prima dei 20 anni.
“L’Italia, e non solo – prosegue Zambon - presenta un evidente deficit culturale nell’individuazione dei soggetti affetti dalla malattia, che dovrebbe poi indurre a sottoporre ad uno screening a cascata anche tutti gli altri membri della famiglia. Nell’ipercolesterolemia familiare, il colesterolo LDL non è solo un fattore di rischio ma una vera e propria malattia che si esprime con un LDL elevatissimo, fin dalla nascita ”.
Un registro danese, pubblicato lo scorso anno, ha rivelato percentuali di prevalenza di questa malattia, soprattutto nella sua forma eterozigote, praticamente doppie rispetto a quanto ritenuto in passato.
 
Per la diagnosi, il gold standard è rappresentato dal test genetico, non facile da effettuare a livello di pratica clinica e costoso. Ma gli stessi ricercatori danesi del Dutch Clinic Lipid Network, autori dello studio sul registro, hanno messo a punto uno score di rischio per ipercolesterolemia familiare che ne consente un’agevole diagnosi utilizzando solo dei criteri clinici; la loro tabella è stata subito ripresa dalle società scientifiche nazionali e internazionali , quali la European Atherosclerosis Society (EAS). Uno score superiore a 8 rende certa la diagnosi di ipercolesterolemia familiare. Nel 2013 anche il Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi ne ha pubblicato una versione tradotta, nel suo documento di consenso sulla prevenzione della cardiopatia ischemia nell’ipercolesterolemia familiare.
 
La stessa Società Italiana di Aterosclerosi, sta lanciando un progetto di screening per l’ipercolesterolemia familiare, al fine di creare un registro nazionale. Secondo quanto anticipato da Marco Scatigna, direttore medico-scientifico di Sanofi Italia, la sua azienda sosterrà questo ambizioso progetto con un grant incondizionato.
 
Maria Rita Montebelli

01 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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